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Post n°368 pubblicato il 24 Febbraio 2015 da lab79
 
Tag: notte

True love waits -  Hayley Richmann cover

[Radiohead, I Might Be Wrong: Live Recordings (2001)]

Lasciar passare la notte a volte soltanto significa sopravvivere. La gente che entra, saluta e se ne va, la gente che esce, saluta e resta qua, e di nessuno mi è dato conoscere i sogni, soltanto il rumore del respiro dell'edificio mentre cammino sui corridoi avvolti nel silenzio. Canto nella mia testa, con una voce che non è la mia, e cantando nemmeno i miei ricordi mi appartengono più, per un momento e uno soltanto ancora, finché si fa alba e i miei pezzi cedono: li spazzo e li metto via, sotto le coperte che ancora qualche settimana e saranno troppo pesanti. 

Gli occhi pesano.

E pesano forse dei sogni non sognati, lasciati a riposare per l'inverno e chissà che la primavera non sia generosa, e uno o persino due possano germogliare.

Non oso nemmeno desiderarlo, per timore di sgualcirlo.

True love waits (Band version) - Radiohead, I Might Be Wrong: Live Recordings (2001)


 

 
Rispondi al commento:
manuelazen
manuelazen il 28/02/15 alle 10:32 via WEB
Tra me e te non ci sono molte similitudini; ma può darsi che qualche ispirazione tu la possa trovare. Scusami se mi dilungherò un po'. Il lavoro che ho fatto finora, quello di farmacista, quando ancora andavo a scuola, non l'avrei mai immaginato nella mia vita; ma ad esso riconosco di avermi insegnato il contatto diretto con le persone e ad essere un po' più aperta e "misericordiosa" di quanto non fossi per mia natura. Colpa mia o del mio titolare negli ultimi anni mi sono stati creati degli ostacoli al contatto con le persone, unico elemento che rendeva piacevole il mio lavoro. Inoltre non mi sono più state date le ferie chi mi spettavano e sono stata oggetto di umiliazioni di vario tipo. Situazione che non posso documentare con prove concrete; ma che non potevo sopportare oltre perchè già ha diminuito considerevolmente la mia autostima, mi ha reso pessimista e distruttiva. Me ne sono resa conto con chiarezza quando mi sono accorta che, anche vlendolo, non riesco più a scrivere in maniera costruttiva e positiva, qualsiasi argomento io affronti. Da un po' di tempo nella mia mente c'era il desiderio assurdo che accadesse un miracolo e mi venisse offerta l'occasione di mutare radicalmente la mia vita. So però che i miracoli non accadono, non se si frequentano sempre gli stessi luoghi e le stesse persone. Per avere qualcosa di diverso bisogna fare qualcosa di diverso, magari un cambiamento minimo. Ne consegue che l'unica persona che poteva procurarsi il miracolo ero io; ma come? Uno psicologo che ho conosciuto diceva che i cambiamenti si compiono in due modi: con un progetto o per disperazione/fuga. Io in questo caso ho operato il cambiamento per disperazione. Qual'è il cambiamento per disperazione? Quello che trova motivo nel bisogno di fuggire da una situazione, qualsiasi sia la direzione di fuga, senza guardare dove si vada. Qual'è il cambiamento con un progetto? Quello che prende in considerazione in maniera lucida quello che non si vuole e quello che si vuole e su questa base costruisce degli obiettivi, trova delle risorse economiche, umane, di competenze per la realizzazione degli obiettivi. Come individuare il fine complessivo e gli obiettivi parziali? Io dico che bisogna partire dai macrosogni e scomporli in microsogni. Se il quadro complessivo non riesce a prendere forma, meglio cominciare da un microsogno a breve termine e realizzare quello. La mia scelta di dimettermi subito adesso è stata dettata dalla disperazione; ma una serie di possibili obiettivi/alternativa ce l'avevo: conservarmi i legami con i clienti con cui avevo stabilito un rapporto di fiducia e che contano su di me come persona capace di ascolto, costruire uno spazio sia pur ridotto in cui la logica del profitto non fosse quella prevalente, non avere più dietro le spalle una persona malevola ed opprimente, offrire una serie di proposte finalizzate al benessere. Il campo della psicologia è quello che mi ha sempre affascinato; ma in esso non ho competenze convalidate legalmente, le mie competenze riconosciute sono invece quelle nel campo farmaceutico. Non desidero più essere una farmacista perchè i farmacisti di cui ho avuto esperienza sono persone ipocrite che strumentalizzano il bisogno di salute unicamente al proprio profitto e al costringere i clienti/pazienti in una condizione di inferiorità e sudditanza nei loro confronti. Ciò che desidero è una condizione di parità/diversità in cui si possano mettere a servizio le proprie competenze specifiche in una sorta di baratto. Sono convinta che ciò sia illusorio; ma anche che sia l'idea di fondo che mi è necessaria per vivere sentendomi viva. Non ho figli, non ho un compagno stabile e questo mi permette di assumermi dei rischi. Non ho debiti, il mutuo acceso per acquistare la mia casa potrei estinguerlo subito con i miei risparmi. Tra non molto potrò contare sulla mia liquidazione, venticinque anni di lavoro nella stessa ditta non sono uno scherzo. Ho deciso di assumermi un rischio di cui solo a me stessa devo rendere conto. Se farò un buco nell'acqua potrò comunque dire di aver provato e vissuto. Male che vada dovrò trovare un modo per sopravvivere ai dieci anni per arrivare alla pensione che già ho accantonato con i miei contributii. Ho deciso di aprire una parafarmacia non molto lontano da dove vivo. Sono stata alla Direzione Territoriale del Lavoro, sono stata al patronato Acli per informazioni sulle pensioni. Ho trovato il locale da prendere in affitto, ho trovato una commercialista che mi sembra degna di fiducia, sono stata all'ufficio per le attività produttive del comune, ho individuato quali potrebbero essere gli arredi, sto cercando delle soluzioni economiche ma di qualità per illuminazione e riscaldamento. Desidero dare all' "impresa" un'immagine di calore, solarità... Voglio colore... Per ora però l'obiettivo immedato è essere pronta alla massima calma e linearità, fermezza sui miei diritti, lunedì quando mi troverò faccia a faccia col mio titolare. Il mio contratto prevede che io debba lavorare ancora per tre mesi, quelli del preavviso, salvo un diverso accordo col titolare. Saranno giorni pesanti; ma dico a me stessa: "Tre mesi potrebbero essere impossibili da sopportare comparati coi venticinque che li hanno preceduti?"
 
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