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Messaggi di Aprile 2016

Confessioni di un bugiardo

Post n°421 pubblicato il 13 Aprile 2016 da lab79

<Ma se Pinocchio dice: “ ...e adesso mi crescerà il naso!”,

poi cosa succede?>

 

L'idea che il progresso segua un percorso lineare, fatto di miglioramenti continui e direttamente consequenziali, credo che possa dirsi superata. Oh no, non scappate ancora. Non sto parlando di massimi sistemi, sto di nuovo parlando di me. Parlare del mio ombelico mentre fingo di parlare del mondo è uno dei miei più usurati talenti. In altre parole, è qualcosa che mi viene naturale fare, ma non per questo mi viene bene.

 

Non è un'introduzione invitante, lo so. Ma non lo è nemmeno rendersi conto, ad un certo punto della propria vita, di essere diventati degli essere umani peggiori di quel che si pensava di poter essere. Meschini, misantropi, pressappochisti ed opportunisti. Solitamente sono le qualità dei migliori di noi, quelli che in un qualche modo – forse proprio per merito di siffatte qualità – sono riusciti a rendere la propria vita migliore, fosse anche a costo di rendere peggiore quella degli altri. Agli altri, a noi che stiamo un gradino al di sotto di questa élite, possiamo aggiungere pigrizia, una generica mediocrità, una marcata tendenza al parassitismo emotivo, e come fonte inesauribile di motivazione ed energia psicologica: l'invidia. Invidiamo la felicità degli altri, prima ancora che gli oggetti che li rendono felici, saltando di proposito e a piè pari il fatto che abbiano dovuto fare degli sforzi e dei sacrifici, per ottenere quella felicità. Facciamo finta di ignorare il fatto che anche la felicità degli altri è monca, minorata delle sue potenzialità. Una felicità diversamente abile. Ma noi, niente: avanti a testa bassa a volerla per noi, quella felicità, che la nostra non vale un granché a confronto, e in fondo quel altro è una brava persona, io gli voglio bene, non soffrirà poi tanto se di tanto in tanto, ecco, gliene prendo un pezzetto di soppiatto.

 

E questo è per coloro ai quali si vuole almeno un po' bene.

 

Agli altri riserviamo di netto l'odio per il loro privilegio di vivere quella vita, e non ci facciamo scrupoli a dirlo apertamente. Tanto certi siamo del fatto che troveremo l'appoggio di chi ci circonda, di chi condivide i nostri sentimenti civili e moderati. Perché noi tutti siamo, in fondo, delle persone perbene.

 

Quando è che siamo diventati così?

 

E' successo ad un certo punto, appena finita la giovinezza. O forse è stata proprio la morte della nostra giovinezza a farci diventare così, a dispetto della nostra età anagrafica siamo morti dentro, inaridito il cuore ed esaurita l'energia degli slanci inutili e generosi. Quando abbiamo smesso di credere che il nostro voto conta qualcosa, e che le nostre idee potevano cambiare il mondo. Da lì in poi è stato tutto un succedersi di rate della macchina da pagare, bollette da saldare, i più fortunati un mutuo da rimborsare, nella speranza di riuscire a finirlo ed un bel giorno, quando saremo troppo vecchi per esserne contenti, avere una casa tutta nostra. Da lì in poi è stato una sequenza di amici che si sposavano o iniziavano una convivenza, felici e contenti prima di mettere al mondo i primi figli, intanto che gli ultimi completavano questa fase i primi già affrontavano le rapide in cui si sgretolano le fragili certezze dei propri sentimenti, come zattere troppo fragili.

 

Oppure no, è successo prima ancora, quando ancora adolescenti ci pensavamo ribelli e i nostri genitori, che già sapevano, ci stillavano goccia a goccia il veleno che alla fine, ci avrebbe ucciso dentro, e riportato all'ovile quel che restava di noi.

 

 

(Oppure non è successo mai: siamo solo stanchi di ribellarci, di voler cambiare il mondo o almeno la direzione delle nostre vite. Ed un bel giorno ci sveglieremo nuovi, vecchi ma di nuovo pieni di vita e forze, pronti per far fare un salto in avanti al mondo, e a quelli che nel mondo restano di noi.)

 
 
 

Di tutte le assenze...

Post n°420 pubblicato il 02 Aprile 2016 da lab79

Di tutte le assenze, quella che ora meno sento è proprio la mia.

Quando ho scritto questa frase, beh: era un altro tempo, un altro mondo. Un altro me. Di allora mi è rimasto poco: poco di quel entusiasmo, di quelle speranze da uomo nuovo, rinnovato dall'attesa di un figlio. Ora sono un padre e marito come tanti, annoiato dal peso della mia quotidiana incapacità di fare il salto avanti, quello strappo che porterebbe me e la mia vita altrove.

Poco importa. Non sono di certo il primo.

Quello che resta è invece l'abitudine a lasciar macerare i dubbi tutti insieme nell'alambicco del cuore, con un pizzico di curiosità, a cui ogni tanto aggiungo qualche lettura casuale. Il tutto tenuto al caldo tenue dell'incertezza, tanto a lungo da pensare di aver dimenticato quei pensieri. Tanto a lungo da pensare di non averci mai pensato.

E intanto nel mondo continuano a suonare le solite sirene, a scoppiare le solite bombe, a morire i soliti morti, quelli che non hanno colpa alcuna. Non dico niente di nuovo, lo dico sopratutto la notte tardi, quando nessuno ascolta. E metto insieme numeri che non sono preparato abbastanza per comprendere, sommo assenze e sottraggo presenze dalle statistiche che leggo sui giornali, ignoro le opinioni degli opinionisti, le grida dei venditori di fumo, le offerte dei compratori di voti. Siedo sulla soglia della mia porta, e distrattamente macero pensieri futili, come quello secondo il quale il fatto che se ben il 46% della popolazione dichiara un reddito sotto i € 15.000, l'aumento delle morti e la sostanziale stagnazione del numero di nascite non sia una pura coincidenza.  Che in tali condizioni sia normale aspettarsi una crescita economica vicina allo zero, perché difficilmente una famiglia progetta un futuro a lungo termine (comprare casa, fare un figlio, spendere in cure e benessere) se non ha prospettive concrete di migliorare le proprie precarie condizioni economiche. Mi faccio prendere dal sospetto che la forte disparita economica tra il sottile 0.1% per cento della popolazione che dichiara un reddito annuo sopra i € 300.000 e il resto del paese non sia di stimolo alla crescita degli investimenti a lungo termine. Perché a chi interessa investire il proprio tempo e le proprie energie in un mondo in cui gli ultimi restano ultimi, se i primi sono irraggiungibili?

E poi vedo me stesso e con me stesso gli altri che come me, sono nati altrove e altrove sono andati a cercare un futuro migliore. Il mio altrove è qui, un luogo al quale appartiene almeno una parte del mio futuro; almeno quella di cui posso avere qualche certezza. E mi accorgo che non è difficile vederci nemici predoni in una terra che piano piano si spopola e rinsecchisce, i cui alberi si fanno alti e sempre più in alto danno i frutti, raggiungibili solo da chi possiede scale abbastanza alte e robuste da poter allungare la mano, e godere dei frutti migliori. Agli altri tocca la terra secca, e i frutti caduti dall'albero perché troppo maturi, troppo fragili per resistere a lungo.

I miei pensieri vagano in queste languide terre, un 2016 dall'inverno troppo lieve, e troppo lungo, e intanto chi mi circonda chiede cosa ne penso, ed io taccio. Taccio perché so di avere troppi dubbi, e i dubbi hanno voci che sussurrano ai cuori diffidenti come il mio, e questo invece è il tempo della gente perbene,  quella che presta ascolto soltanto alle grida di guerra.

 

 
 
 

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