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a place called home

 

Messaggi di Novembre 2017

Senza sogni

Post n°515 pubblicato il 23 Novembre 2017 da lab79

Ho lavorato cinquanta ore in cinque giorni, quasi quattro. Partendo da sabato alle 23, fino a giovedì (fra poco meno di un'ora e mezza) alle sette. Il tutto intervallato da sprazzi di sonno, pause non più lunghe di quattro, cinque ore. Non è nemmeno una rarità, ma ora che ormai intravedo la fine di questo turno, pur tra la nebbia leggera che si posa in ghiaccio sui parabrezza delle macchine parcheggiate fuori, ecco, ora mi sento stanco.

Di una stanchezza disorientante, ma che mi lascia la coscienza lieve come la nebbia, e quasi senza desideri.

E allora rallento ogni pensiero, lascio che le mie dita scivolino sulla tastiera quasi senza supervisione, e per un ultima volta, prima di dormire, provo a respingere il sonno che a ondate gentili mi sommerge.

Chissà che per una volta non dorma un sonno senza sogni.

 

 

 
 
 

Dov'è andato il tempo?

Post n°514 pubblicato il 22 Novembre 2017 da lab79

Mi soffermo sulle parole di un blogger che leggo, incuriosito da una modalità di interazione tanto diversa dalla mia, eppure col quale più di qualche volta mi sono trovato in sintonia di vedute. Forse una tendenza a cercare le risposte alle proprie domande attraverso i dubbi, invece che tramite i dogmi.

Ma non è per raccontare di questo che mi fermo, un po' di fretta in verità, a battere queste poche parole. Ma uno dei suoi racconti ha trovato risonanza, per una coincidenza temporale, nella conversazione avuta con un'amicizia dei tempi delle superiori.

-"Dove è andato a finire tutto il tempo?"

-"Alle nostre spalle" ho risposto, laconico. Ed è vero, ogni anno passato tra la nostra giovinezza pensierosa (che io di giovinezze spensierate non ho ricordo alcuno), e il nostro indaffarato oggi pare gettato alle nostre spalle, in un posto dove non possiamo vederlo. Ma è un'illusione. Il passato è in realtà l'unica cosa che possiamo vedere, ci sta di fronte eppure resta irraggiungibile. Non perché vada da chissà quale parte, bensì perché siamo noi a procedere verso un altrove, il futuro, quello sì alle nostre spalle. Infatti ci resta sconosciuto, e ci si svela soltanto in un istante che banalmente chiamiamo presente, ma che in realtà non sappiamo cosa sia, e che riconosciamo spesso soltanto nel cumulo delle cose passate, e sopravvissute fino a qui. E su quel cumulo saliamo incerti, fiduciosi però che sia il primo gradino verso un altrove un passo più in alto, un passo più in là.

E se tutto il nostro passato è qui, sotto i nostri piedi a sospingerci verso il futuro: perché averne malinconia?

 

 

 
 
 

C'era una volta...

Post n°513 pubblicato il 15 Novembre 2017 da lab79
 

Corricchiavo dietro a mio figlio che fa le sue prime pedalate con la bicicletta, nel freddo tramonto di ieri. Le nuvole in alto si facevano arancioni, poi rosse, infine quasi rosa, poco prima di tornare ad un grigio pallido, e sparire nel buio. Corricchiavo, dicevo. Con le mani in tasca e l'animo sfilacciato, in un misto di rabbia e delusione. Il perché, qui non ha importanza. Intorno a noi, nel miniquartiere in cui abita mio suocero, la gente faceva ritorno a casa. Le luci si accendevano nelle cucine, le macchine parcheggiavano stanche a bordo strada. Alcuni bimbi si salutavano, prima di rientrare a casa. Lentamente ho smesso di correre, e mio figlio ridacchiando mi ha lasciato indietro. Piano piano si è allontanato, fino al fondo della strada. E il mio cuore si è come gelato, mentre sul volto percepivo un sorriso stanco prendere forma.  Mi sono fermato e ho visto il solco della sua bicicletta proseguire e mi sono chiesto fino a quando potrò seguirlo ancora. Quali saranno gli ostacoli che verranno frapposti tra me e lui, e se per allora avrò saputo insegnargli qualcosa.

E' ritornato qualche secondo dopo.

-"Sei stanco, papà?"

Gli ho sorriso e ho battuto piano le nocche sul suo casco. Ho alzato lo sguardo al cielo e ho tirato un sospiro. Mi sapevo osservato, quindi non ho indugiato più di tanto.

-"Fa freddo. Andiamo a casa?"

-"NO!. Ancora un giro, per favore!"

-"Solo fino alla macchina."

-"Ok, allora due giri..."

-"Non fare il furbo!" lo rimprovero, ma con talmente poca convinzione nella voce che alla fine della frase ha già frapposto un paio di metri fra me e lui. Sento distintamente sulla schiena lo sguardo che mi rimprovera di essere poco severo, di "dargliele tutte vinte" e altre sciocchezze del genere. Non lo coccolo più di tanto, in verità. Solo cerco di evitare di imporre i miei capricci ai suoi, e di costringerlo a fare le cose solo se necessarie. Sul resto, ha libertà di scelta. Almeno nei limiti delle opzioni che gli propongo.  E pur essendo un discreto chiacchierone per i suoi quattro anni, la verità è che spesso ci intendiamo tra i silenzi, come quando a tavola siamo soli e con pochi gesti gli faccio capire che non è il caso di giocare prima di aver finito la cena.

Non so in verità se sto facendo la cosa giusta. Ma in fondo, chi lo sa. Mi guardo intorno e vedo un paese intero che non fa che lamentarsi di se stesso, ma incapace di fare autocritica, di ammettere che forse è anche colpa sua. Incapace di mettersi di nuovo in discussione. Di cercare soluzioni. No, alla fine conta solo indignarsi, protestare sui marciapiedi, in questa piazza sconcia e sporca che è internet, per poi dimenticarsene il giorno dopo.

Cammino fino alla macchina dove lui mi aspetta, senza essere sceso dalla biciletta. Intanto che cerco le chiavi gira un paio di volte intorno all'auto con l'aria di chi non vuole salire. Lo chiamo un paio di volte, senza guardarlo. Infine lo convinco a salire, pur se tra qualche protesta. E tra una promessa e una conversazione lasciata a metà, ci immergiamo nella sera buia, verso casa. Troverà il sonno a fatica fra qualche ora, ed io mi acquatterò nell'angolo più buio di casa, in attesa che l'orologio segni l'inizio del mio giorno, nel punto più profondo della notte.

 
 
 

Caffé?

Post n°512 pubblicato il 12 Novembre 2017 da lab79
 

Guarda fuori dalla finestra, con il bicchiere in mano e quasi senza espressione. Io la ignoro, con professionale indifferenza però la osservo, intanto che batto le dita sulla tastiera con la consueta frenesia di chi deve finire presto. La tv è spenta, non è ancora notte fonda ma le luci basse e il silenzio suggeriscono di incamminarsi verso il segreto della propria stanza. Non lo fa. Lascia sciogliere i cubetti di ghiaccio dentro il bicchiere, quasi più un orpello della sua solitudine, che non un complemento a quel che beve. Beve a malapena, quasi non volesse sporcarsi le labbra. Poi poggia il bicchiere sul tavolo di vetro, un rumore lieve che in tanto silenzio però pare un frastuono, e palesemente quasi se ne vergogna. Non volta mai lo sguardo nella mia direzione, ma mi ascolta. Io in silenzio continuo a scrivere, intensifico il numero di battute quando volgo lo sguardo di soppiato verso di lei, e rallento quando invece lo sposto altrove. Lei sa. In un gioco di rimando tra due solitudini allenate rallentiamo il tempo, quasi nell'illusione di poterlo attraversare nella direzione che più ci aggrada. Non succede nient'altro: non so chi sia, oltre a quello che dicono i suoi documenti, e lei sa ancora meno di me. Non conosciamo le nostre voci, né il colore dei nostri occhi.

Mi alzo di scatto dalla sedia e non sembra aspettarselo. Si ricompone sulla poltrona, anche se non ha molto da ricomporsi. Sedeva a gambe accavallate, e così resta. Soltanto la schiena forse un po' più dritta, ora. Io mi dirigo verso il bancone del bar, ma poi appena la supero faccio perno sul piede destro mentre il sinistro scivola dietro, ritrovandomi di fronte a lei. Mi rendo conto che deve essere sembrata una mossa studiata, ma sono abitudini che si prendono da tanto camminare sul marmo liscio dell'ampia stanza. Le concedo giusto il tempo di volgere lo sguardo verso di me.

-"Caffé?"

Lei annuisce con un sorriso lieve, stanco.

Certe notti dovrebbero finire sempre con un caffé.

 

 

 

 

 
 
 

Sto bene...

Post n°511 pubblicato il 08 Novembre 2017 da lab79
 

Sono passati giorni in cui mi sono avvicinato a questa finestra. E l'ho guardata e ho pensato: "soltanto mezz'ora, scrivi e poi si vedrà". Ma poi non si è visto nulla. Allora mi sono guardato intorno, e ho visto i pochi di voi che sono rimasti cosa avete scritto, di cosa avete parlato. Mi sono guardato intorno come i passeggeri del tram guardano quelli che salgono, quelli che scendono, e per un istante si chiede come siano le vite degli altri. Non tutte sono un granché, almeno visto quello che leggo. E allora smetto di leggere, spengo questa finestra e me ne vado via, che ho le mie incombenze, i miei problemi e le mie soluzioni ad attendermi fuori di qui. Mi riprometto che ripasserò, ma poi non ripasso. Certe volte dormo un po' di più, certe volte meno. 

Ma sto bene, davvero.

Non significa che a volte non vorrei condividere certi piccoli pensieri, certi piccoli dolori da niente, come quello di scoprirsi soli un primo di novembre qualunque, quando tutti vanno a far visita ai loro cari sepolti qui, e altrove. Ed io mi risveglio solo con una tazza di caffé in mano, davanti alla finestra. 

Non significa neppure che non vorrei raccontare di quando mio figlio ha dato i suoi primi colpi di pedale, col casco in testa ed io che con finta indiffirenza gli dico: "forza, pedala! Vedi che ce la fai? Forza, forza!" e nei miei ricordi cerco me stesso a fare la stessa cosa, e non lo trovo. 

Oppure che certe notti non vorrei raccontare di come anche le persone peggiori sanno trovare riposo e rifugio nel silenzio, e io invece no.

Ma davvero, sto bene.

Guardo l'orologio che avanza piano e mi rendo conto che per oggi il mio tempo qui è finito. Fuori dalla finestra piove, mio figlio probabilmente all'asilo dorme, avrò il tempo di un caffé prima di andarlo a prendere ed ascoltare il racconto della sua giornata, e poi giacché ormai è inverno si farà buio, magari andremo in biblioteca per un po', faremo merenda insieme, e ritorneremo a casa e ritroverà sua mamma ad abbracciarlo, mentre la cena si scalda piano sul fuoco silenzioso e finalmente, se sarà stanco abbastanza, i suoi occhi si chiuderanno e andrà a rincorrere i suoi sogni, là dove io non posso raggiungerlo.

Mi chiedo se potrò mai essere più felice di così.

 
 
 

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