Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Febbraio 2021

Aiuta chi ha bisogno

Post n°3528 pubblicato il 11 Febbraio 2021 da namy0000
 

2020, Scarp de’ tenis, Dicembre. Regno Unito. Rashford, calciatore attivista e i bambini senza cibo.

La pandemia ha avuto un impatto devastante sull’alimentazione di numerose famiglie britanniche. Si stima che circa 200.000 bambini, ogni giorno, saltino uno o più pasti. E il governo sembra non fare abbastanza. Marcus Rashford, giovane calciatore inglese del Manchester United, è diventato il simbolo di questa emergenza. Impegnato in attività benefiche fin dall’inizio del lockdown, Rashford aveva lanciato una campagna per far sì che ai ragazzi più poveri venissero garantiti pasti gratuiti anche durante l’estate, a scuole chiuse. Dopo un incontro col premier Boris Johnson, l’iniziativa aveva avuto successo. Ora il problema si ripropone, ma l’esecutivo conservatore ha deciso di non confermare i provvedimenti fino alle vacanze di Pasqua 2021. Il problema è molto grave. Non solo nell’immediato. Quando i bambini non hanno abbastanza cibo, sul lungo periodo ne risentono a livello sanitario e hanno meno probabilità di raggiungere un pieno sviluppo o di migliorare il loro potenziale negli studi. Tenendo conto che provengono da famiglie povere, il rischio è che rimangano ancora più indietro. Rashford conosce questi rischi, perché lui stesso da bambino ha usufruito di pasti gratuiti forniti dallo Stato, essendo cresciuto solo con la madre. Per questo, il calciatore si sta impegnando in prima persona a raccogliere fondi coinvolgendo onlus, imprese e istituzioni locali

 
 
 

Rapida soluzione della crisi

2021, FC n. 6 del 7 febbr.

La crisi politica ci ricorda la necessità di curare le ferite profonde del nostro corpo sociale, di superare le enormi disuguaglianze di reddito, territoriali, di genere, di riconciliare i cittadini con le istituzioni, attraverso partiti veri e non puri comitati elettorali personali. Prevale invece il cinismo dei veti incrociati, delle rendite di posizione, dimenticando che l’Unione europea ha aperto una storica linea di aiuti a fondo perduto e di credito a tassi molto agevolati per salvare uno dei Paesi fondatori. Norberto Bobbio parlava di “follia italica”. È urgente allora una rapida soluzione della crisi con una maggioranza europeista per spendere subito e bene 220 miliardi di euro, vaccinare il 70 per cento della popolazione, eleggere un Presidente della Repubblica in sintonia con i valori della Costituzione e dell’Europa unita, approvare una legge elettorale con sbarramento per la governabilità, per poi tornare a votare nel 2023.

 

È ora di tornare a legittimare le forme e la sostanza della democrazia. Non possiamo scavalcare le istituzioni e permettere che decisioni strategiche, come il Piano nazionale di Ripresa e resilienza per le prossime generazioni siano prese da poteri indiretti, opachi o forti, non politicamente legittimati. Stiamo pagando il prezzo della debolezza dei partiti personali e post ideologici. Non può essere l’economia o la burocrazia a guidare la politica. Anche la crisi di governo in piena pandemia ci sorprende per il suo prescindere dalla considerazione della drammatica situazione degli italiani sul piano economico, sociale, psicologico. Il tasso di cinismo per piccoli vantaggi di partito ha superato la soglia di tollerabilità. Occorre restituire alla politica il suo ruolo di guida dell’economia per non mettere il bene comune in pericolo.

 

Tanti amministratori locali, cittadini attivi, politici in Parlamento e nei partiti vivono il loro servizio con motivazioni ideali e sacrificio personale. Tuttavia, la povertà del pensiero politico dei partiti attuali, la mancanza di collegialità, la riduzione del conflitto di idee e di interessi a duro scontro personale, non restituiscono ai cittadini la visione alta, che Chiara Lubich aveva della politica, come amore degli amori in un disegno unitario.

 

La situazione in cui viviamo ormai da un anno è caratterizzata da una gravissima emergenza sanitaria economica e sociale, tanto da prefigurare una drammatica crisi epocale con esiti imprevedibili, in particolare per le nuove generazioni. A fronte di ciò, riscontriamo un’azione politica e amministrativa debole, confusa, contraddittoria e del tutto insufficiente ad affrontare l’emergenza attuale, con scontri continui a livello nazionale, regionale e locale. A ciò contribuiscono anche le continue diatribe, il più delle volte incomprensibili e inutili, tra rapprensentanti istituzionali, tra governo nazionale e regioni, o tra queste e gli enti locali, o viceversa.

 

La situazione è difficilissima e richiede, in chi ci governa, nuova consapevolezza e maggiore responsabilità, ognuno nel ruolo che ricopre, in maggioranza o in minoranza, finalizzate a un dialogo e un confronto franco e aperto, una collaborazione e un coinvolgimento di tutte le forze ed energie in campo per costruire, con unità delle diversità di ruoli, il bene comune.

 

Assistiamo a una preoccupante mancanza di decisioni su argomenti che avrebbero dovuto essere definiti da mesi. Ne è un esempio il modo indegno con cui viene considerato il mondo della scuola, per il quale, nel periodo estivo si sarebbe dovuto realizzare un piano straordinario per l’edilizia scolastica e un’organizzazione mirata del trasporto per gli studenti, differenziandolo dal trasporto pubblico locale. Riteniamo che in questo difficile momento si debba superare rapidamente la crisi di governo con la fiducia a una maggioranza coesa su un articolato programma di fine legislatura, travagliata per mancanza di vincitori. Il protrarsi della crisi politica mette in forse l’efficace utilizzo dei 220 miliardi che l’Europa ci ha assegnato nel programma Next Generation Eu più altri per i quali è indispensabile la formulazione di un piano di spesa lungimirante e rivolto al futuro, sul quale stanno litigando le varie forze politiche e di cui non si hanno ancora linee strategiche chiare.

 

Come cittadini riteniamo di dover dire con forza che è indispensabile e urgentissimo un cambio di passo. Serve una politica nuova e solidale che, con serietà, competenza e spirito d’unità, fra maggioranza e minoranza, si impegni, con il coinvolgimento di tutte le forze politiche, delle parti sociali e delle tate energie positive, a realizzare azioni concrete e coordinate che possano portare il nostro Paese a superare la gravissima emergenza che stiamo vivendo, per il bene dell’intera comunità nazionale e soprattutto per la crescitadelle future generazioni. - Silvio Minnetti, Presidente Nazionale del Movimento Politico per l’Unità – Movimento dei Focolari

 
 
 

La fratellanza

2021, Avvenire 4 febbraio.

Papa Francesco: la fratellanza è la nuova frontiera dell’umanità

L'intervento del Papa in occasione della celebrazione virtuale per la prima Giornata Internazionale della Fratellanza Umana: non c’è tempo per l’indifferenza, "o siamo fratelli o ci distruggiamo"

C'è un giardino ad Abu Dhabi dove lo scorso anno i giovani hanno appeso alle fronde degli alberi i loro pensieri di pace, scritti su centinaia di foglietti. Oggi, idealmente, anche il Papa e il grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, hanno aggiunto i loro. Per ribadire di fronte al mondo – come ha sottolineato Francesco – che «la fratellanza è la nuova frontiera dell’umanità». Che si è «o fratelli o nemici». Altrimenti «crolla tutto e ci distruggiamo a vicenda». E noi, ha aggiunto il Pontefice, «siamo fratelli, nati da uno stesso Padre. Con culture, tradizioni diverse, ma tutti fratelli. E nel rispetto delle nostre culture e tradizioni diverse, delle nostre cittadinanze diverse, bisogna costruire questa fratellanza». Messaggio di pace che oltre tutto giunge mentre si prepara il viaggio in Iraq a maggioranza islamica.

Per il secondo anniversario dell’incontro di Abu Dhabi, dove il 4 febbraio 2019 insieme firmarono il Documento sulla fratellanza umana, il Papa e l’imam si sono di nuovo “riuniti”, questa volta sul web, per la prima Giornata internazionale sulla fratellanza umana, istituita il 21 dicembre 2020 dall’Onu, che l’ha fatta coincidere proprio con il giorno in cui avvenne la storica firma. È stata l’occasione non solo per ascoltare Francesco e Ahmad Al-Tayyeb chiamarsi nuovamente e reciprocamente «fratelli», ma anche per presentare i vincitori (presenti in collegamento) del primo Premio Zayed, ispirato anch’esso al documento, che quest’anno va al segretario generale dell’Onu, António Guterres, e a Latifa Ibn Ziaten, una mamma di cinque figli, che dopo averne perso uno, vittima del terrorismo, ha fondato un’associazione per i giovani e la pace, che porta il suo nome: Imad. Allo specialissimo “webinar” era presente anche il giudice Mohamed Mahmoud Abdel Salam, segretario generale dell’Alto Comitato per la fratellanza umana, cioè l’organismo che tramite una giuria internazionale ha scelto i premiati.

Le prime parole di papa Francesco sono state per l’imam, «fratello mio, amico mio, mio compagno di sfide e di rischi – ha rimarcato – nella lotta per la fratellanza». «La sua testimonianza – ha quindi proseguito il Pontefice – mi ha aiutato molto perché è stata una testimonianza coraggiosa. So che non era un compito facile. Ma con lei abbiamo potuto farlo insieme, e aiutarci reciprocamente. La cosa più bella è che quel primo desiderio di fratellanza si è consolidato in vera fratellanza. Grazie, fratello, grazie». Successivamente papa Bergoglio ha ringraziato lo sceicco Mohammed bin Zayed «per tutti gli sforzi che ha compiuto perché si potesse procedere in questo cammino. Ha creduto nel progetto. Ci ha creduto», ha detto. E un grazie il Papa lo ha detto anche al giudice Abdel Salam, «“l’enfant terrible” di tutto questo progetto, amico, lavoratore, pieno d’idee, che ci ha aiutato ad andare avanti». Espressioni di gratitudine e di affetto anche Guterres e Latifa.

Visibilmente contento, Francesco ha ribadito: «Grazie a tutti per aver scommesso sulla fratellanza, perché oggi la fratellanza è la nuova frontiera dell’umanità. O siamo fratelli o ci distruggiamo a vicenda». E per questo ha messo in guardia dall’indifferenza: «Non possiamo lavarcene le mani, con la distanza, con la non-curanza, col disinteresse. O siamo fratelli o crolla tutto. È la frontiera. La frontiera sulla quale dobbiamo costruire; è la sfida del nostro secolo, è la sfida dei nostri tempi». Anche la «non-curanza», infatti, è per il Papa «una forma molto sottile d’inimicizia. Non c’è bisogno di una guerra per fare dei nemici. Basta la non-curanza. Basta con questa tecnica – si è trasformata in una tecnica –, basta con questo atteggiamento di guardare dall’altra parte, non curandosi dell’altro, come se non esistesse».

Bergoglio ha quindi spiegato che cosa intende per fratellanza. «Vuol dire mano tesa; fratellanza vuol dire rispetto. Fratellanza vuol dire ascoltare con il cuore aperto. Fratellanza vuol dire fermezza nelle proprie convinzioni. Perché non c’è vera fratellanza se si negoziano le proprie convinzioni». E perciò «un mondo senza fratelli è un mondo di nemici».

Anche da parte di Al-Tayyeb sono giunte parole di grande rispetto verso il Papa, «mio fratello, amico sulla via della fraternità e della pace». E la promessa di continuare a lavorare per il resto della sua vita con Francesco e con ogni sostenitore della pace «per rendere i principi di fratellanza umana una realtà in tutto il mondo». Da qui il suo auspicio concreto che il 4 febbraio sia «ogni anno un campanello d’allarme per il mondo e per i suoi leader, che li spinga a consolidare» questi principi. Guterres, dal canto suo ha ringraziato per il premio, definendolo «un riconoscimento per il lavoro dell’Onu». E Latifa ha ricordato: «Ho perso un figlio, ma oggi riesco a raggiungere tanti bambini che ho salvato anche nei centri di detenzione, perché non cadessero nell’odio».

 
 
 

Ragazzi ed emergenza Covid

FC n. 5 del 31 gennaio 2021

RAGAZZI ED EMERGENZA COVID

ABBIAMO INCONTRATO ALCUNI ADOLESCENTI MILANESI NELLE STRADE E NEI PARCHI DOVE SI RITROVANO PER CERCARENDI SFUGGIRE ALLA NOIA

Perché nessuno pensa davvero a noi?

Veniamo da un anno durissimo, in cui ci è mancato il contatto fisico, l’incontro con persone nuove, i sorrisi dal vivo e tutte le piccole cose che sono normali alla nostra età. Vogliamo soluzioni concrete per il futuro.

Eccoli gli adolescenti che al tempo della pandemia passano le giornate tra lezioni a distanza e maratone di videogiochi. E che attraverso i social, (alcuni ndr), organizzano maxi risse per sfogare la noia, come quelle di Roma e di Gallarate. La scena che ci troviamo di fronte è molto diversa da tutto questo. Siamo all’estrema periferia di Milano, in un parchetto pieno di fango e di sterpaglie. C’è ancora qualche raggio di sole, ma il termometro segna due gradi. Cinque ragazzi tirano calci a un pallone azzurro mezzo sgonfio. Tutti indossano la mascherina.

Ci avviciniamo, ci presentiamo e loro sono contenti di parlare. Anzi, sembra che non aspettino altro. Ecco Michele, 17 anni. «Come va? Male. Stare così tante ore davanti a uno schermo è pesante. Mi manca non avere il mio compagno accanto, non poter abbracciare nessuno: mi manca insomma il contatto fisico. È normale alla nostra età, no?». «Per questo, appena finiti i compiti, veniamo qui, anche quando non si poteva fare», aggiunge Giovanni, 16 anni. «Stiamo all’aperto, teniamo la mascherina, e giochiamo a tirare i rigori, stando sempre distanziati. Una volta sono venuti i vigili. Ci hanno controllato gli zaini e se ne sono andati».

Li salutiamo mentre ormai è buio e ci dirigiamo verso il centro della città. Di fronte a una scuola, notiamo un altro gruppetto di ragazzi intenti a giocare a ping pong. Interrompiamo la partita tra Ilan e Sara. Hanno entrambi 17 anni e non hanno condiviso la battaglia dei loro coetanei per tornare al più presto alle lezioni in presenza. Sara: «Nei mesi in cui siamo stati in classe, non mi sono sentita sicura. L’autobus che prendevo era sempre pieno di gente. A casa, con la Dad, mi sono trovata bene: avevo il mio tavolino, seguivo le lezioni e dopo aver studiato venivo qui a incontrare gli amici». «È vero, è noioso, ma se non ci sono alternative è meglio tornare a scuola solo quando si potrà farlo in sicurezza», aggiunge Ilan.

A qualche centinaio di metri di distanza, radunati intorno ai gradoni di un muro, ci sono altri giovani di poco più grandi. Inizia a scendere qualche goccia di pioggia, ma non se ne curano.

Filippo R., Leonardo S. e Alessio S. sono iscritti al primo anno di università, mentre Leonardo P. e Angelo C. sono all’ultimo anno di superiori. Vengono qui tutti i pomeriggi e a volte si ritrovano anche la sera nei cortili delle case di qualcuno di loro, così possono stare insieme anche oltre le 22, quando scatta il coprifuoco. Perché, spiega Leonardo P., «a stare sempre a casa si impazzisce. Durante il primo lockdown, stavo fuori con il cane anche per tutto il pomeriggio. Tra pochi mesi dovrò fare la maturità e non mi sento per nulla preparato. Dopo un po’ non riuscivo a seguire le lezioni a distanza e anche i professori li vedevo molto meno motivati».

«Io ho fatto la maturità a giugno ed è stata una farsa», aggiunge Filippo. «I prof si sono solo limitati a confermare tutti i voti. Mi chiedo che senso abbia rifarla anche quest’anno. L’università? Ho visto i professori solo una volta, per una prova scritta, e ho conosciuto solo un compagno perché abbiamo preparato una tesina insieme, ovviamente a distanza». Ad Angelo mancano soprattutto due cose: «Le serate nei locali e poi andare nello stadio a tifare per il Milan. Meno male che ci sono loro. Ci sentiamo al sicuro dai contagi perché è come se vivessimo in una “bolla”: a parte i nostri familiari, ci frequentiamo solo tra di noi».

Salutiamo pure loro e andiamo in via Dezza, dove qualche giorno fa una rissa tra ragazzini che si erano dati appuntamento lì è stata sventata dalla polizia. Seduti su una panchina, un gruppo di liceali diciassettenni sostengono che la noia da Covid non c’entri niente: «Ci sono sempre stati gruppi di “zanza”, di quindicenni che si ritrovano per “fare brutto”. Solo che ora fanno più notizia». Il disagio però è vero. «Mi manca non poter conoscere persone nuove», dice Leonardo. «Anche con le ragazze è un disastro. Loro stanno più a casa di noi. Ma anche quando le vediamo è difficile conoscerle. Non si può vederle sorridere, capire quanto sono davvero carine». Edoardo, una fidanzata ce l’ha. «Ma abita dall’altra parte della città e per incontrarci siamo costretti a prendere i mezzi pubblici che non sono sicuri. Così ci vediamo solo un paio di volte alla settimana: facciamo una passeggiata e poi torniamo a casa. Questo non è “stare insieme”».

Simone confessa di svegliarsi al mattino dieci minuti prima dell’inizio delle lezioni. «Mi sciacquo la faccia, mangio un boccone, mi metto una maglietta e poi accendo il computer. Ma anche la didattica mista non va bene, anzi è peggio perché i professori finiscono per concentrarsi sugli studenti che hanno di fronte e trascurano quelli a casa. Poi l’intervallo è stato cancellato e così tutti quei piccoli momenti che vivi di solito a scuola e che ti ricorderai per sempre».

La pioggia è diventata più insistente e il termometro è sceso sotto zero. Ma quando ci voltiamo vediamo che Simone e i suoi amici giocano a passarsi il pallone. Tutto, pur di ritardare il più possibile il ritorno tra le mura di casa.

I NUMERI DEL DISAGIO DEI RAGAZZI DALLA DAD ALL’ISOLAMENTO

46% dei ragazzi e delle ragazze ha vissuto lo scorso anno come tempo “sprecato”. 65% è convinto di pagare le incapacità degli adulti nel gestire la pandemia. 85% ha affermato di aver compreso quanto sia importante relazionarsi con altre persone. 28% ha avuto almeno un compagno o una compagna che ha smesso di frequentare le lezioni in Dad. 4 su 10 hanno avuto ripercussioni negative sulla capacità di studiare (37%), stanchezza (31%), incertezza (17%), preoccupazione (17%). 6 su 10 fra i 14 e i 19 anni tengono “molto” alla didattica in presenza. Oltre il 54% ne soffre “molto” la mancanza. La percentuale di “entusiasti” della Dad (coloro che l’apprezzano molto) è del 12%. 86% dei giovani ha dichiarato di aver seguito tutte le lezioni in Dad durante il lockdown. Ora la quota scende al 70%. Si registra quindi anche un sensibile calo della “fedeltà” alla partecipazione alle lezioni a distanza. Solo il 2% dei giovani italiani, in questo momento, riferisce di provare gioia o allegria.

L’ALLARME DI STEFANO VICARI DEL BAMBIN GESÙ

Il quadro del Bambin Gesù di Roma è questo: gli accessi al pronto soccorso per emergenza psichiatrica legata a tentativi di suicidio sono passati da 12 nel 2011 a 300 nel 2020. Quasi uno al giorno. Gran parte dei giovani in cura dichiara di trascorrere quattro ore al giorno guardando il soffitto. Cioè non ha più motivazioni…

Ne parliamo con Stefano Vicari, primario di Neuropsichiatria dell’ospedale… «Abbiamo registrato un aumento di irritabilità, ansia, disturbi del sonno (fatica ad addormentarsi e mantenere il sonno) e depressione…». «Tentativi di suicidio e autolesionismo, ma non solo; depressione, chiusura in sé e nella propria stanza, difficoltà a incontrare gli amici; vittime dell’ansia veicolata anche da come i genitori vivono la paura del contagio. Ansia che, aumentando, porta a fenomeni di violenza collettiva o aggressività intrafamiliare». «Sono reazioni di segno opposto allo stesso malessere: da una parte c’è chi spacca tutto (taglia sé stesso, picchia gli altri, i genitori); dall’altra chi si chiude facendo fatica a incontrare i coetanei. Questo sarà il vero problema finita l’emergenza: farli uscire di nuovo di casa, dal piccolo mondo rassicurante che li mette a riparo dalle sfide che la relazione con gli altri pone». «Perché è attraverso questa che gli adolescenti apprendono chi sono. Per questo insisto che le scuole in qualche modo vanno aperte. È questa continua incertezza che spiazza; apritele a turni, anche con orario ridotto se l’obiettivo è di mantenere la possibilità di relazioni. Togliere loro il confronto con gli altri è togliere il passaggio verso la consapevolezza delle proprie capacità, la conoscenza di sé e il diventare adulti». «Il movimento è fondamentale anche per l’aspetto cognitivo, alla salute mentale, che si basa sullo scambio di emozioni, poi il video toglie il linguaggio non verbale (l’espressione degli occhi, del corpo, la prossemica). Ecco quindi perché la scuola deve essere aperta: perché ci si infetta molto poco (solo il 2%), mentre il contagio è maggiore sui mezzi pubblici e negli assembramenti spontanei. In questi casi serve l’impegno della politica per una vita di relazioni possibili e che i genitori vigilino sui comportamenti dei figli». I genitori debbono «esserci, essere presenti e prossimi perché non basta la qualità del tempo, serve anche la quantità. E poi di compilare un’agenda per avere giornate strutturate, fatte anche di cose piacevoli. Quindi sveglia alle sette e a letto in base all’età, in mezzo attività, uscite per fare acquisti, amici che vengono a casa in sicurezza con cui stare o studiare. Il tempo va organizzato».

Ai prof dico «di capire che il loro ruolo non si esaurisce nella Dad. Che possono dare spazio alle difficoltà degli alunni, dividerli in gruppi di confronto e racconto. Lavorare sulle emozioni oltre che sulle competenze».

Agli educatori dico «di avere un po’ più di coraggio: fare un incontro di un’ora in un cortile della parrocchia e giocare senza contatto. Come? La fantasia aiuta! Per lo sport, invece, chiudete il pc con i corsi online e andate piuttosto a fare una corsa al parco». «Soprattutto le relazioni positive che per loro sono quelle con i pari. È da lì che si riparte. E laddove i ragazzi si rifiutano lo si fa a piccoli passi, piano piano. Invitando prima gli amici a casa e poi uscendo». «Il fatto che la scuola potrebbe riscoprire la sua funzione educante perché non prepara futuri lavoratori, ma deve accendere il piacere per lo studio e la curiosità; non solo didattica e prestazione. E forse che la famiglia riscoprirà il ruolo dei genitori: non solo accompagnatori passivi o “taxisti organizzati”, ma educatori. Coloro che danno misura del crescere e delle regole. Chiusi in casa “grazie” al Covid si parla di più, c’è più tempo per le relazioni che sono la parola magica nella salute mentale».

«I giovani sono come bicchieri d’acqua, liquidi: vanno contenuti dagli adulti», dice Carolina B., terapeuta per famiglie di giovani in difficoltà «in una forma conforme alla loro essenza; gli adulti, dal canto loro, troppo spesso sono molli e collusivi». «Ecco perché dico ai genitori chiedete aiuto! Non per forza a uno psicologo, ma a chi può favorire il vostro essere “guide orientanti” per i figli». «La Dad ha accelerato un processo esistente: “Non ho bisogno degli altri, basto a me stesso”. Un’illusione da cui nasce il malessere. Ecco perché guardo con favore ai licei occupati; ai ragazzi dico: la scuola è vostra, andate a riprendervela».

 
 
 

Finché c'è tempo, riempiamo quella valigia

RISPOSTE A VARIE DOMANDE RIVOLTE A MADRE TERESA DI CALCUTTA, RICORDATE DAL CARDINALE ANGELO COMASTRI

Madre, lei viaggia sempre, …lei dove ha preso domicilio? (era una domanda scherzosa), ma madre Teresa la prese sul serio e disse

Con il cuore io ho preso domicilio a Betlemme, perché lì si capisce che cos’è che conta della vita e che cosa rende felice la vita. Oggi tante persone pensano che la felicità venga dal di fuori: dal denaro, dal successo, dai divertimenti, ma è un inganno. La felicità dipende da come sei dentro se il tuo cuore è limpido. Se il tuo cuore è libero dall’orgoglio, dall’egoismo tu sei pieno di felicità, e te la porti con te, te la porti dovunque e chiaramente allora ti accorgi che tutto si trova dove ci si trova; cioè se sei felice dentro qualsiasi cosa ti accada, ovunque tu vada, sei sempre felice.

Madre, qual è il giorno più bello della sua vita?

Il giorno più bello della mia vita è OGGI, perché ancora posso fare del Bene, domani non so se lo avrò, ieri è passato e non ce l’ho più, oggi per me è il giorno più bello perché posso riempirlo ancora di Bene; e aggiunse: al mattino, quando mi sveglio, e mi accorgo che sono ancora viva, ringrazio il Signore e dico: grazie Gesù perché mi dai ancora un giorno per fare del Bene, e mi alzo con entusiasmo.

Qual è per lei, madre, la persona più importante? (madre Teresa ha incontrato tutti i personaggi più famosi del mondo), e ha risposto:

la persona più importante per me è quella con cui sto parlando, perché la bontà deve essere concreta, per questo deve partire da quelli che ci stanno accanto, altrimenti è un sogno  e un’illusione

 eppure lei, madre, ha ricevuto più volte la principessa Diana

No, non è vero. Io non ho mai ricevuto la principessa Diana; io ho ricevuto soltanto l’infelice Diana, è una cosa ben diversa.

Madre, qual è il suo passatempo preferito?

È il lavoro, perché mi permette di spendermi per gli altri. E poi, state ben attenti: a non far niente ci si stanca molto di più.

Un tempo si parlava di figli illegittimi, ma i figli non sono mai illegittimi. Perché non dipende da loro le circostanze in cui sono nati. I figli sono sempre legittimi. Gli illegittimi, oggi, molto spesso sono i genitori: quanti padri non hanno la caratteristica del padre e quante madri non hanno la caratteristica della madre, tutti illegittimi.

Madre, ma lei non prende mai qualche giorno di ferie?

Vescovo Angelo, non ho bisogno di ferie, perché i miei giorni sono tutti festivi: fare del Bene è una festa, fare del Bene è un privilegio, fare del Bene è l’unico modo per essere felici.

Ma madre, secondo lei, qual è il segreto della felicità?

La felicità non si trova cercandola. La felicità si riceve in dono, si riceve a regalo, ma da Dio, cercando la felicità degli altri, perché vivendo la carità ci si sintonizza con Dio-(Amore), allora il cuore si riempie di gioia, perché Dio-(Amore) è l’unico che può rendere felice una persona; per questo gli egoisti sono tutti infelici. Sfido chiunque: non troverete mai un egoista felice.

Madre, qual è, secondo lei, la menzogna più diffusa e più pericolosa, oggi?

La menzogna più diffusa e pericolosa è questa: la menzogna che riguarda l’Amore. Voi chiamate amore anche andare con una prostituta, che inganno, che menzogna, l’amore è un’altra cosa. Avete ridotto l’amore a un gioco dei corpi, per questo non siete più felici.

Madre, lei ha ormai 70 anni, il più l’ha fatto, non si affatichi tanto, non si stanchi, tanto il mondo non cambia; si riposi, madre Teresa.

Madre Teresa non si offese a questa domanda quasi offensiva, guardò il giornalista e gli rispose

Io non ho mai avuto la pretesa di cambiare il mondo. Il mondo lo cambierà Gesù: lui sa quando e lui sa come. Io cerco di essere soltanto una goccia di acqua pulita, nella quale si possa riflettere il volto buono di Dio. Le pare poco? Lo faccia anche lei, saremo due gocce. È sposato? Si impegni anche con sua moglie, saremo 3 gocce.

Ha dei figli?

Sì, ho 3 figli

Lo insegni anche ai suoi figli, saremo 6 gocce. Più aumentano le gocce di acqua pulita e più diventa pulito il mare. Anche una sola goccia di bontà rende più buono il mondo. Se lo ricordi, e non faccia mancare quella goccia.

Era il 22 maggio 1997. La madre sarebbe morta il 5 settembre successivo. Io la incontrai per l’ultima volta… la madre veniva da New York ed era molto stanca, me lo ricordo. Mi disse:

Vengo da New York dove ho aperto una casa per malati di Aids, quanti ce ne sono in quel Paese, che tristezza. Ora mi fermo qui a Roma. Caro vescovo Angelo, finché avrò un respiro lo devo spendere per fare del Bene, perché quando morirò porterò con me soltanto la valigia della Carità, la valigia della Bontà.

Mi strinse la mano e mi disse:

Guarda vale anche per te, finché hai tempo, riempi quella valigia.

 
 
 

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