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Un mondo nuovo

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Messaggi del 10/03/2019

Colei che fa bello il mondo

Post n°2963 pubblicato il 10 Marzo 2019 da namy0000
 

La donna è colei che fa bello il mondo, che lo custodisce e mantiene in vita. Vi porta la grazia che fa nuove le cose, l’abbraccio che include, il coraggio di donarsi. La pace è donna. Nasce e rinasce dalla tenerezza delle madri». Fra le tante parole dell’8 marzo, queste il giorno dopo ti tornano in mente. Sono del Papa. Tornano in mente e, dopo anni di viaggi come giornalista, recuperano dalla memoria dei fotogrammi.

La madre ugandese in una misera periferia di Kampala, che procedeva dignitosa con la sua nidiata di bambini. Non chiedeva elemosina, ma ti costringeva a fermarti, e quei suoi occhi gravi e dolci si stampavano nei tuoi, per sempre. La madre poco più che bambina in una maloca, una grande capanna indios, nella foresta amazzonica: un fagotto fra le braccia, e lei, occhi da gazzella, oscillante sui fianchi, in un istintivo cullare. E l’anziana donna affacciata a una finestra di un fatiscente palazzaccio uguale a tutti gli altri, in una triste cittadina dell’ex Germania Est? Dal suo davanzale prorompeva una cascata di fiori amorosamente curati, gli unici fiori fra quegli squallidi muri. E, qui a Milano, una sera, la giovane donna con un pc a tracolla che rincasava con un figlio sui due anni addormentato in braccio; e lei così stanca che, ferma al semaforo, chiudeva un istante gli occhi, come sognando di riposare un momento.

«La grazia che fa nuove le cose, l’abbraccio che include, il coraggio di donarsi», ha detto il Papa. Non tutte, certo, potremmo dire questo di noi stesse. Le donne, come gli uomini, non sono obbligatoriamente "buone" o generose. Certa retorica femminista in questo senso è sviante: pare che le donne debbano essere necessariamente "migliori" degli uomini. No, non sempre lo sono. E tuttavia anche in quelle fra noi che si riconoscono mancanti, imperfette o addirittura "sbagliate", intravedi a volte un bagliore della bellezza di cui parla Francesco: la grazia che fa nuove le cose, l’abbraccio che include, il coraggio di donarsi. Come una natura profonda che affiora.

La pace è donna, dice il Papa. Sappiamo come alla corte di dittatori e tiranni le cortigiane non manchino, e come anche le donne siano capaci di essere crudeli. Magari non fisicamente, ma usando le parole, che pure infliggono ferite indelebili. E allora perché, dice Francesco, la pace è donna? Forse perché, se guardiamo al fiume largo e lento della storia umana, vediamo fin dall’età primitiva maschi in armi, dalla clava al coltello al fucile; maschi organizzati in branchi, in truppe, in eserciti, schierati, obbedienti all’ordine di uccidere. Allineati in sinistre parate davanti al duce di turno, le braccia e le gambe che si levano rigide all’unisono, come di burattini; e, dietro, cannoni lucenti, missili minacciosi. Sfoggi di forza, e di morte, maturati dentro un’ansia di potere tipicamente maschile. Milioni e milioni di uomini mandati nei secoli a morire in trincea, o in battaglie devastanti, e magari per un feudo insignificante, o un pezzo di confine di cui cent’anni dopo nessuno si ricorda.

E le donne, intanto? Le donne salutavano piangendo i figli che partivano – perché ciascuno di quelle schiere orgogliose era un figlio, ciascuno era stato un bambino messo al mondo, e cresciuto. Le donne aspettavano, pregavano, badavano alla terra e alla casa. Le donne custodivano il mondo, mentre gli uomini facevano la guerra. Ma, soprattutto, ogni volta le donne ricominciavano il mondo – perché il mondo ricomincia, ogni volta che nasce un bambino. In questo senso, la pace è donna: «Nasce e rinasce dalla tenerezza delle madri». Come un fiume altrettanto possente che quello degli eserciti e dei cannoni: ma che scorre, tenace, in un opposto senso.

Sopra Cortina c’è un Ossario dei caduti della Prima guerra mondiale. La massa delle ossa, dei teschi senza nome, annichilisce chi lo va a visitare. Quanta morte, mio Dio, ti viene da pensare. E tutte quelle povere membra erano un giorno braccia e volti paffuti di figli, fra le braccia di una donna. Che immane lotta, dall’evo più remoto. I soldati gridano andando all’assalto, le madri gridano nel partorire. La loro ostinata guerra fa sperare il mondo: che nasce e rinasce, nella tenerezza dei loro abbracci, ogni giorno. (Marina Corradi, Avvenire, 9 marzo 2019).

 
 
 

Vi supplico!

Post n°2962 pubblicato il 10 Marzo 2019 da namy0000
 

Il destino del Pianeta è nelle mani di politici e governanti che per la maggior parte hanno più di cinquant’anni. Tra pochi decenni molti di loro saranno già morti. Con la loro indifferenza gettano nel caos il mondo di domani, ma non ne subiranno le conseguenze. Maja sì. Nel 2050 potrebbe avere ancora metà della vita davanti.

Più approfondiva l’argomento, più Maja si sentiva frustrata. Perché i politici non guardano oltre la punta del loro naso? Perché continuano a estrarre petrolio e bruciare carbone come se niente fosse? “Per loro conta solo l’economia”… Maja ha solo 17 anni e non può nemmeno votare.

Le preoccupazioni per l’ambiente non le ha ereditate dai genitori: ogni tanto capita che suo padre dica qualcosa sugli orsi polari, ma a casa si mangia carne quasi tutte le sere, e la famiglia viaggia regolarmente in aereo. Sua madre non fa la raccolta differenziata perché lo trova troppo faticoso. Per dare il suo contributo, Maja aveva deciso di diventare vegetariana e fare docce più brevi, anche se sapeva che non sarebbe bastato a salvare il mondo. Voleva fare di più, ma cosa? “Pensate a noi! Ogni vostra scelta ha delle conseguenze sul nostro futuro”. Eccola in ginocchio nella sala del consiglio comunale dell’Aja. Aveva cominciato il suo discorso dal podio, portando un messaggio per conto “degli oltre centomila bambini e ragazzi dell’Aja che non possono ancora votare”. Poi ha pensato che ci voleva un gesto drammatico: si è diretta al centro della sala e si è inginocchiata sullo stemma della città. “Vi supplico!”, ha gridato, catturando l’attenzione di tutti i consiglieri.

Da quando ha scoperto la forza dei discorsi in pubblico, Maja si sente molto meno inerme. “Convincendo i politici si può ottenere davvero qualcosa, è più utile che passare meno tempo sotto la doccia”. Ha intenzione di fondare un’associazione per i ragazzi e le ragazze che vogliono darsi da fare per il proprio futuro sensibilizzando politici, aziende e cittadini. Pensa di chiamarla Wake up!

L’entusiasmo per iniziative del genere non manca. In tutto il mondo ci sono ragazzi che si battono per la salvaguardia dell’ambiente, indignati dall’inerzia degli adulti. Sfidano i governi, protestano nei parlamenti e scrivono manifesti per un futuro sostenibile. Alle ultime elezioni legislative olandesi il 52 per cento degli elettori, tra i 18 e i 25 anni, ha detto di considerare la sostenibilità ambientale un fattore importante nella scelta del partito per cui votare. La media nazionale era del 24 per cento. Il meteorologo Gerrit Hiemstra ha dichiarato che le scelte politiche sul clima dovrebbero spettare solo ai giovani, perché saranno loro a subirne le conseguenze. “L’esperienza di vita può non valere nulla quando bisogna elaborare soluzioni che non esistono ancora”, ha scritto su Twitter. È una proposta audace, ma si basa su considerazioni reali. Il cambiamento climatico non è una questione politica come le altre. Il problema è che si manifesterà nel futuro, ma va risolto nel presente. C’è bisogno di una visione a lungo termine che manca del tutto nella politica e nell’imprenditoria di oggi. Ecco perché la lotta al cambiamento climatico assume sempre più i contorni di uno scontro fra generazioni, in cui i giovani devono impugnare “armi” creative.

“Se i politici non ascoltano gli scienziati, che senso ha studiare?”, ha detto Greta Thunberg, 15 anni, nel 2018, quando in Svezia, prima delle elezioni parlamentari, ha cominciato uno sciopero della scuola: invece di andare in classe si presentava davanti al parlamento e distribuiva volantini in cui spiegava: “Faccio questo perché voi adulti state rovinando il mio futuro”. Ben presto intorno a lei si è raccolto un gruppo di simpatizzanti e la stampa internazionale si è interessata alla sua battaglia.

Anche Maja la vede così. Perciò a ottobre 2018, dopo aver saputo da una compagna di scuola che nei Paesi Bassi si sarebbe tenuto uno sciopero simile, non ci ha pensato un momento: ha preso la bici e ha pedalato sotto la pioggia fino a raggiungere il parlamento, davanti al quale erano radunati gli attivisti di Pink!, la sezione giovanile del Partito per gli animali (Pvdd). Gli ombrelli non sono serviti a molto: dopo pochi minuti erano tutti zuppi. Per tenere alto il morale hanno cantato slogan inventati sul momento: “Chi è che bussa, deputati? Chi è che bussa alla finestra? È la Terra, deputati, e ce l’ha con tutti noi”.

Gli studenti hanno manifestato davanti all’ingresso del parlamento per tre settimane, durante le quali diversi politici si sono fermati a parlare con loro: i Verdi hanno portato tè e biscotti, la ministra del commercio internazionale ha espresso la sua ammirazione e il premier si è fatto fotografare insieme ai ragazzi. Il ministro dell’ambiente è stato invece più tiepido. “Se rimarrete qui per strada invece di andare a scuola, non otterremo proprio nulla”, ha detto ai manifestanti…

I ragazzi di oggi sanno che una spada di Damocle pende sul loro futuro, ma sono pronti a lottare. Sanno che non è ancora troppo tardi e che esistono canali alternativi alla politica ufficiale. Anche se non hanno l’età per votare, vogliono farsi sentire forte e chiaro. C’è da sperare che gli adulti li ascoltino, perché nella lotta al cambiamento climatico un po’ di idealismo in più non guasterebbe…(Internazionale n. 1296 del 1 marzo 2019)

 
 
 

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