Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 20/04/2020

Una lettera per i miei ragazzi

Sono un docente di 27 anni di scuola primaria, responsabile Acr della mia parrocchia. In questi giorni di quarantena, nel tempo di Pasqua, ho pensato di raggiungere i ragazzi con queste brevi parole. ‹‹Ci sentiamo in gabbia. Abbiamo tutti, soprattutto voi adolescenti, la voglia di aprire quella porta di casa per uscire, per incontrare l’altro, per poterlo abbracciare. Ma purtroppo ancora non lo possiamo fare. Comunque siamo fortunati. Grazie ai mezzi tecnologici, ai social, stiamo sempre in contatto con chi vogliamo. Anche se, adesso, vorremmo lasciare il nostro profilo e andare incontro all’altro. Benji e Fede direbbero “Dimmi dove, quando”. Ebbene sì. Sentiamo la necessità di sapere il dove e il quando di un incontro.

Ma questo è il momento di stare a casa, di guardarvi in faccia con i genitori e anche di cambiare alcune relazioni familiari, talvolta difficili in questa età. Lasciando da parte le accuse e le lamentele che di solito siamo soliti fare verso gli altri, verso Dio e il mondo intero. Al contrario, mettiamoci in gioco. Questo è un tempo favorevole per scuotere la nostra anima. Avete tempo per scoprire bene chi siete, per rimettere in fila tutti quei sogni che sono nel cassetto, per riguardare con cura la foto del ragazzo o della ragazza che vi piace, che non vedete l’ora di incontrare e abbracciare, con magari allegato anche un bel ti voglio bene o per scrivere una lettera a un vostro amico.

Siete voi la forza dei vostri genitori, dei vostri nonni. Siete voi la speranza più grande. La festa di Pasqua ci regala un tempo ancora più ricco di speranza, gioia, pace ma anche di tutto ciò che di positivo portate nel vostro cuore. Anche se di questo periodo buio, salverete solamente una cosa bella, questa pagina fa parte per sempre della vita. Quando tutto sarà finito, ricordatevi che la vita ha vinto la morte e quindi si troverà in ogni occasione un significato positivo per vivere alla grande. Se ci fosse stata oggi madre Teresa di Calcutta, in questo caos mondiale, avrebbe detto così: “La vita è un’opportunità, coglila!”›› - Alessandro R. (FC n. 16 del 19 aprile 2020).

 
 
 

Ricentrati sull'essenziale

Qualche giorno fa mi ha telefonato un mio cugino e, più o meno ironicamente, mi ha domandato: ‹‹Giova’, dicci la verità, tu sapevi del virus e perciò sei entrata in un monastero di clausura!››. Non credo sia difficile capire che la clausura sta alla quarantena come il Polo Nord sta al Polo Sud… non c’azzecca niente! La prima è una scelta di vita, la seconda un’amara emergenza. Quando uscirà questo scritto, spero siate già tutti intenti alle vostre attività e, chissà, forse neanche vi andrà di leggere qualcosa che richiami alla vostra mente il dramma che stiamo attraversando. Questa sarebbe la più grave sciagura che ci possa capitare: dimenticare. E allora mi sento solo di condividere qualche pensiero con voi… Forse è questo il comune denominatore della nostra condizone di clausura, scelta o forzata che sia: il pensiero, la meditazione. Abbiamo bisogno di intelligenze spirituali, capaci di scorgere le tracce di Dio nelle pagine più impensabili della storia.

I miei sentimenti di questi giorni non sono probabilmente diversi da quelli di ciascuno di voi: tristezza, sconforto, inquietudine profonda. E un desiderio di capire. Ascolto spesso la radio in cerca di una novità nel campo scientifico o tecnologico, aspetto con ansia il bollettino delle 18, prego implorando Dio che tutto passi presto, piango quando sento il numero dei morti (i morti sono numeri?). Provo a darmi una spiegazione di ciò che accade. Esclusa la teoria della “punizione divina” che proprio non mi convince, ho ftto fuori pure l’idea di un complotto perché a dire dei virologi è una fake news (uaaa, che parola esagerata per dire che è una notizia-monnezza!). Un poco di più suscita il mio interesse la possibilità che qualcuno (i governanti?) voglia “selezionare” la popolazione e far fuori la parte più fragile. Poi sento che è morta una ragazza di 16 anni e mi dico che qualcosa non quadra. E quello che non quadra è che cerco fuori di me la risposta, invece di interrogare il mio cuore: dove sto correndo? Verso cosa tende la mia vita? In chi credo? Come tratto la mia Terra? Madoooooo, quando finisce sta’ quarantena?! Farsi domande può diventare un tormento, ma non farsele ci conduce dove siamo adesso.

Abbiamo visto l’immensa Amazzonia bruciare, gli imponenti ghiacciai disciogliersi, i mari affogare nelle nostre buste di plastica (e se il mare affoga, non so se mi spiego…). Segni grandiosi di un malessere diffuso anche nelle nostre anime depresse. Eppure, chi ci ha fermato? Un virus microscopico che, guarda caso, brucia i polmoni come noi abbiamo appiccato fuoco ai polmoni della Terra e ci toglie l’aria come noi l’abbiamo tolta agli oceani (ma perché la gente va a comprare le sigarette se il virus coglie giusto i polmoni?). Io mi sento come “rifiutata” dalla Madre Terra, come se mi stesse rimproverando: per favore, resta un poco a casa ché “mi togli l’aria”. ‹‹Non si può vivere sani in un mondo malato››, parole di papa Francesco.

Abbiamo riempito le nostre agende di appuntamenti (pure noi suore!), corriamo continuamente ma enza meta. E, appena confinati in casa ecco una quantità industriale i tutorial per riempire il tempo (ma ‘sta gente pensa che non sappiamo cosa fare? Ops, forse è vero…): ginnastica, cucina, pulizia, studio, rosari a gogò. Il silenzio fa paura. ‹‹Un baratro è l’uomo, il suo cuore un abisso››, recita il salmista. Pensate che durante la diretta tv della preghiera universale di papa Francesco abbiamo dovuto cambiare canale perché sulla rete dove eravamo sintonizzate, quando il Papa taceva, facevano parlare un commentatore pur di non lasciare il silenzio. Un vuoto insopportabile che dovremmo imparare a sostenere, non sempre a riempire. Sono stata in Perù sei mesi e rimanevo sconvolta quando entravo in un bus. Domandavo alla mia consorella: a che ora parte? Risposta: quando si riempie. Femati, aspetta, non correre. ‹‹Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo››, proverbio africano.

Abbiamo onorato Dio con i nostri calici dorati, gli addobbi floreali, le liturgie solenni, i canti raffinati, o non l’abbiamo onorato affatto. E ora veniamo ricentrati sull’essenziale, richiamati a una fede scarna di effetti speciali, di preghiere ripetitive, ricca di compassione e solidarietà. Mi sembra che siamo quasi “costretti” a domandarci quale sia la verità di noi stessi. La casa dove dobbiamo entrare è il nostro cuore, non le nostre mura domestiche. Lì ci aspetta un incontro a volte difficile, quello con noi stessi e con un Tu sconosciuto. E la verità si manifesta interamente nella nudità. Questa ci fa vergognare a volte, ci fa sentire freddo, ci priva di protezione ma ci fa anche sperimentare la più alta forma di libertà interiore. Senza fronzoli, senza sovrastrutture, senza vestiti decenti… Chi sono io? Chi sei Tu? ‹‹Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli››, diceva Gesù – suor Giovanna L. (FC n. 16 del 19 aprile 2020).

 
 
 

Tutto sotto controllo

Post n°3316 pubblicato il 20 Aprile 2020 da namy0000
 

2020, Avvenire 18 aprile.

Coronavirus. Da medico nei ghetti foggiani degli immigrati a volontario Covid al Nord

Antonio Palieri, 64 anni, responsabile di "Casa Bakhita" della diocesi di Cerignola ora opera nelle Rsa di Genova. "Non faccio niente di speciale. È la mia scelta di vita. Pregate per me"

Dai ghetti degli immigrati nel Foggiano alla prima linea del Covid-19, le Rsa del Nord, dove l'epidemia sta facendo strage. È la scelta del dottor Antonio Palieri64 annigastroenterologo e dirigente medico della Asl di Foggia. Lunedì 6 aprile è stato per l'ultima volta nel ghetto di "Tre Titolia Cerignola a visitare i braccianti africani che vivono in casolari e baracche. Emarginati e sfruttati. Volontario tra gli immigrati, così come lo fa nei pellegrinaggi a Lourdes dell'Unitalsi. Mercoledì 8 è partito per la Liguria, medico volontario, in risposta al bando della Protezione civile.

Fino all'ultimo non lo ha fatto sapere a nessuno. Discreto come sempre. "Faccio il medico, lo facevo giù e ora lo faccio qua. Lavorare qui è molto bello", è la sua semplice spiegazione, rispondendoci al telefono dal suo nuovo "fronte". "Non faccio niente di speciale. È nella mia scelta di vita - aggiunge -. Il lavoro di medico l'ho sempre preso come una missione. Sarei voluto andare in Africa ma poi l'Africa è arrivata nella mia terra". Così da anni, con la Caritas diocesana di Cerignola-Ascoli Satriano, segue i braccianti dei ghetti assieme ad altri medici volontari. Tre volte a settimana, prima visitando in un container, dall'anno scorso a "Casa Bakhita", la grande struttura realizzata dalla Diocesi a "Tre Titoli", della quale è il direttore. Si occupa di patologie legate alle condizioni di vita e lavorative. "Non arrivano malati in Italia, si ammalano qui – ci aveva spiegato in uno dei nostri incontri a "Tre Titoli" –. D'inverno malattie respiratorie, d'estate muscolari e articolari. Per il lavoro piegati in due a raccogliere per dieci ore pomodori o asparagi, o a raccogliere in alto l'uva".

Ma quando è stato fatto il bando per medici volontari non ci ha pensato due volte. "Mi è sembrato doveroso farlo. Ne ho parlato con la mia famiglia e ho avuto la loro autorizzazione. E ne ho parlato anche col vescovo, monsignor Luigi Renna. Ho fatto il tampone prima di partire, ed era negativo. Spero che lo sia anche al ritorno...". Anche perchè è finito proprio nel cuore dell'epidemia. Ora è a Genovaassegnato alla Asl3 e si deve occupare delle Rsa che ospitano anziani. "La situazione negli ospedali è buona, nelle Rsa no. Sono le situazioni più preoccupanti. Le persone anziane dovevano essere cautelate prima, le strutture andavano chiuse. Perchè una volta che il virus entra fa una strage. Ora faremo i tamponi a tutti, ospiti e operatori". Drammi e inaspettati "miracoli". Come un signore di 107 anni che "fortunatamente sta bene".

E i ragazzi africani dei ghetti? Non sono rimasti soli. "Ho lasciato tutto sotto controllo. Le visite continuano come prima. Stiamo assicurando gli stessi servizi, che oggi sono ancor più necessari". Fino ad ora non ci sono casi di contagio. "Sarebbe stato drammatico, ma per ora sta andando bene. Non credo sia una questione genetica. Forse perchè vivono molto isolati e tra di loro, con pochi contatti con l'esterno. In questo periodo ancora di più. L'agricoltura è ferma. Infatti lavorano meno, non li chiamano". Una situazione che aggrava la condizione di emarginazione. Per questo, aggiunge non dimenticando il suo ruolo di "direttore", "la Caritas è presente nei ghetti di Borgo Tre Titoli, Contrada Ragucci, Pozzo Terraneo, Contrada Ripalta e Borgo Tressanti. Sono circa settecento ragazzi immigrati che non sono stati abbandonati". I volontari sono sempre in campo. Nei ghetti e "in prestito" anche su altri campi. Da dove il dottore ci lascia con una sola richiesta, la stessa che ha fatto prima di partire. "Pregate per me".

 
 
 

Il periodo che stiamo vivendo

Post n°3315 pubblicato il 20 Aprile 2020 da namy0000
 

2020, Avvenire 18 aprile.

Dalla prima linea nella lotta al coronavirus al matrimonio con rito civile è stato brevissimo. Così Giulia Ceccherini, infermiera dell'area medica Covid dell'ospedale di Livorno, ha tolto di dosso tuta e dispositivi di protezione e ha deciso di convolare a nozze munita, come il marito, di mascherina chirurgica e fedi.

Ad annunciarlo è stata Giulia stessa su Facebook dimostrando di aver poca paura non solo del virus che affronta ogni giorno, ma anche della scaramanzia considerando che, come scrive lei stessa "Nel bel mezzo di una pandemia mondiale, di venerdì 17 e in anno bisestile ci siamo sposati!".

Questa foto rappresenta il periodo che stiamo vivendo, un periodo particolare che mi ha toccato in prima persona....una realtà in cui fatico a stare ma che mi ha fatto capire l’importanza delle piccole cose, ma sopratutto un insegnamento che mi ha dato è che nella vita non si possono fare tanti progetti ma si deve VIVERE....ed io allora ho sposato il mio AMORE e vado in culo a questo virus.

"In questi giorni che generalmente per gli sposi sono presi dai frenetici preparativi per il giorno più bello - dice Chiara Pini, direttore assistenza infermieristica dell'ospedale di Livorno - Giulia ha sempre trovato modi e tempi per fare molto bene il suo lavoro, supportando le colleghe e soprattutto i pazienti nella difficile lotta al coronavirus. Ha lavorato fino al giorno prima delle nozze e domenica riprenderà servizio rimandando a tempi più tranquilli il viaggio di nozze. È anche grazie a lei a tutti gli operatori che stanno sacrificando una parte delle loro vite private che usciremo presto e bene da tutta questa esperienza". A Giulia e al marito Gabriele sono ovviamente arrivati "i più sinceri auguri per una fantastica vita insieme da parte dell'Azienda Usl Toscana nord ovest".

 
 
 

Pessimo affare

Post n°3314 pubblicato il 20 Aprile 2020 da namy0000
 

2020, Giacomo Poretti, Avvenire, 18 aprile.

Covid-19. Il mio teatro, un «pessimo affare»? Raccontare storie è indispensabile

Io non ho mai avuto il fiuto per gli affari. Si sa che per avere fiuto negli affari devi fiutare soprattutto il tempo opportuno per intervenire, acquistare o vendere un’azione, se solo sbagli il tempo di intervento può svanire l’affare, se sbagli anche di qualche minuto quella certa azione potresti comprarla ad un prezzo altissimo, oppure venderla ad un prezzo inferiore all’acquisto.
Questo sembrava l’anno giusto per gestire un teatro.
A Milano poi!

Mi sembrava di avere fiutato qualche cosa di molto interessante, e lo stesso profumo inebriante lo hanno percepito anche i miei amici Doninelli e Allevi (la compagnia teatrale Aldo, Giovanni e Giacomo).
Abbiamo firmato il contratto di affitto del Teatro Oscar ai primi di ottobre, praticamente quando un certo virus si stava accasando nelle prime vie aeree di qualche cinese.
Quando si dice il tempo!
L’avvio è stato entusiasmante, prima della pausa natalizia avevamo già avuto diverse serate di tutto esaurito, praticamente nello stesso periodo che gli ospedali di Wuhan facevano sold out.
Ai primi di febbraio stavamo già programmando la prossima stagione, quella del 2021, per la prima volta nella nostra vita dovevamo occuparci di un business plan e lo abbiamo fatto praticamente quando quel virus cominciava a essere affascinato dell’apparato respiratorio dei lombardi.
A fine febbraio il Teatro Oscar è stato chiuso, assieme a tutti i teatri del nostro Paese, la stessa sorte che hanno subìto i teatri di mezza Europa e di mezzo mondo.
Praticamente quando il virus si è messo a recitare il suo monologo.
Ora, dopo 2 mesi, ci stiamo consultando via Skype per valutare se si potrà riaprire il teatro a giugno, a settembre, a ottobre, a novembre, a dicembre...
Neanche a dicembre?!?

Quel fiuto ci ha fatto fare un pessimo affare. Come del resto, in questo 2020, hanno fatto pessimi affari i ristoranti, i bar, i bagni sulla spiaggia, gli alberghi, le librerie, i negozi di abbigliamento, e tante altre attività.
E se avessimo avuto l’olfatto alterato proprio a causa del virus? Vallo a sapere.
Sembrava l’anno giusto, a Milano poi!
Chissà se anche il virus ha avuto la sensazione che questo era l’anno buono...
Altro che un teatro, avremmo dovuto aprire una piattaforma per meeting online, pensa che affari in questo anno.
Avremmo dovuto comprare le azioni di Amazon al tempo giusto.
Avremmo dovuto farci venire un’idea come Netflix. A suo tempo.
La seconda cosa che avremmo voluto fare, se non avessimo trovato un teatro in questo 2020, era quella di creare una rivista. Cartacea.
Con il nostro fiuto, se ci assumono alla Lehman Brothers la facciamo fallire un’altra volta!

A questo punto verrebbe da dire amaramente che il teatro non si è rivelato un affare.
Ma se al primo impatto il fiuto si è rivelato sbagliato, in fondo al naso abbiamo percepito un’altra fragranza, un’altra nuance, abbiamo percepito il profumo della necessità.
Il teatro è necessario.
Necessario come una birretta davanti a un tramonto d’estate da bersi con la fidanzata, o con gli amici dopo una partita di calcetto.
È necessario come il divano dopo una giornata passata a imbiancare la cucina, o come lo sguardo benevolo di un amico appena gli hai raccontato che hai combinato una cavolata.
Il teatro è necessario perché sentire raccontare storie per noi uomini e donne è come respirare.
Il teatro è necessario perché tutti sappiamo che ogni giorno, ogni istante dentro la nostra testa si affollano svariati personaggi che recitano lo stesso copione da anni.
Proprio per questo abbiamo bisogno del teatro, per dimostraci che non siamo pazzi, che tutti abbiamo nella testa quei personaggi, e che a volte può capitare che alcuni di loro li vediamo rappresentati da Pirandello o Shakespeare lì, su un palcoscenico, magari di qualche teatro milanese.
Il teatro è necessario perché ci fa incantare, perché è un gioco meraviglioso, il teatro è necessario perché tutti abbiamo desiderato di salire su quel palco almeno una volta nella vita: perché tutti vorremmo giocare a quel gioco serissimo e lievissimo che è il teatro. Perché, forse, più che gli affari a tutti quanti noi interessa il gioco.
Perché il gioco è necessario.
Perché noi siamo convinti che la vita sia un gioco bellissimo.

 
 
 

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