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Lingue e nazionalismi

Post n°201 pubblicato il 28 Novembre 2012 da viburnorosso

 

In base a quale criterio è possibile assegnare ad un idioma lo status di lingua nazionale?
Perché ad esempio lombardo e siciliano sono considerati due dialetti di una stessa lingua, mentre serbo e croato sono ritenute due lingue distinte, nonostante i loro parlanti abbiano molte più possibilità di comprendersi reciprocamente di quante ne abbiano un bergamasco e un palermitano?

La risposta a questa domanda non è affatto banale e si basa su una molteplicità di fattori, tra cui, un ruolo fondamentale spetta alla politica linguistica, che, come il nome stesso suggerisce, mette la lingua al servizio delle idee politiche.

Fino al 1991 serbo e croato erano considerate due varietà di uno stesso idioma, che si differenziavano essenzialmente per l’uso di diversi sistemi di scrittura (cirillico l’una, latino l’altra), ma questo di per sé non è fattore sufficiente a farne due lingue diverse, perché la lingua che parliamo esiste indipendentemente dall’alfabeto con cui viene scritta (anzi, esisterebbe addirittura a prescindere dal fatto di venire scritta, giacché le lingue precedono l’invenzione della scrittura).

A partire da quella data le lingue, in maniera del tutto analoga alla religioni, sono state utilizzate nell’area balcanica come mezzo di affermazione dei nazionalismi separatisti.
Dopo il serbo e il croato, ha ottenuto lo status di lingua nazionale anche il bosniaco, che si differenzia dal croato essenzialmente sul piano lessicale, in quanto in alcuni contesti preferisce usare una parola piuttosto che un’altra, un po’ come a Milano che si dice michetta per indicare quella che a Roma si chiama rosetta, ma nonostante i due nomi diversi, ci si capisce lo stesso, perché sempre dello stesso pane stiamo parlando (a parte, ovviamente, che la rosetta è meglio, anzi, volevo dire, mejo!).

Spinta da questa curiosità, ho chiesto a V., mia studentessa bosniaca di Sarajevo, come si viva oggi in quella città che in un tempo recente (reso oramai lontanissimo dalla bulimia mediatica della nostra epoca) le bombe hanno ridotto ad un pezzo di gruviera, il mercato di Markale trasformato in campo per sperimentazioni di artificeria civile, lo stadio adattato ad enorme obitorio.
Bene. Tutto nuovo, tutto ricostruito. Mi ha detto. Ma al posto delle macerie ora passa un “muro”. Viviamo divisi dentro una stessa città.

Per darmi la misura di questo paradosso mi ha raccontato di quando ha fatto richiesta alle autorità serbe di certi documenti che le servivano per la compravendita di una casa. La domanda, redatta in bosniaco, è stata respinta perché scritta in lingua straniera.
Oppure di quando si è vista rifiutare un lavoro come interprete d’inglese, in quanto non parlante nativa di croato.

Questi piccoli aneddoti dimostrano come dietro le facciate asburgiche nuovamente tirate a lucido, nelle buie stanze con vista sul cortile, si rinfocoli la brace degli odi separatisti, giocando a costruire differenze su quelle che dovrebbero essere somiglianze.

Un po’ come quel gioco sulla Settimana Enigmistica, che ci sono due vignette apparentemente identiche, che si differenziano per 20 piccoli particolari: chi ci ha giocato, sa perfettamente che le prime differenze le trovi in un attimo, saltano fuori da sole, ma poi devi stare lì concentrato per trovare le successive, e alla fine ce ne è sempre una che ti manca.
Questo avviene perché fondamentalmente le due vignette sono più uguali che diverse: trovare similitudini infatti è un processo cognitivo più naturale del trovare differenze, perché regolarizzare i paradigmi agevola la comprensione della realtà.

Mi sembra una cosa così ovvia da dire.
Eppure chi segue scriteriate politiche scissioniste (e non solo in ambito linguistico) non la intende.
E a questo punto mi viene da pensare che forse ha ragione, probabilmente parliamo proprio due lingue diverse!

 

 

 

 

 
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