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DODECAEDRO

Post n°85 pubblicato il 06 Maggio 2021 da deteriora_sequor
 






Aveva messo le cose nella sua surplus grigio fegato,
s'era asciugato un pò le brutte vibrazioni stando davanti
al vetro e s'era annodato quel laccio d'oro a forma di cravatta
preso da Folsom. Fuori l'intero quartiere era venuto giù
praticamente in un fiato ma Lui nemmeno se n'era accorto,
tappato com'era nella ghostroom finalizzata settanta metri
sotto il livello delle macerie. Grazie al suo impianto di
ricognizione danni poteva vedere tutta Rotherbaum da
Harvestehude fino a Alsterglacis sbriciolata in polvere così
sottile da sembrargli di penetrare nelle narici anche in
quell'anfratto di talpe a prova di margini balistici sbagliati.
Erano due anni che l'esercito di Tshal appiattiva senza senso
le principali comunicazioni di Amburgo, Hamm-Nord, Ulhenhorst,
Ottensen, Billsted. Lui ignorava queste cose perchè approdava
alla superficie solo per concludere gli affari con il CoNtRoRdInE,
la setta anarchica che da due anni manteneva truppe sparse
per il perimetro urbano e faceva mordere merda agli israeliani
senza per questo offrirsi arie particolari.
Schiacciò il bottone per l'ascesa dopo aver scelto un completo
cachi con i risvolti appena spruzzati d'argento, s'armonizzava
con la sua frangia grigia e la barbetta appuntita, poi i suoi due
occhi color metallo davano il tocco di grazia. Si compiaceva
mentre indugiava sulle guance rigide e sull'assenza di borse nella
zona sottostante gli occhi. Avrebbe sfidato chiunque a trovarsi
cinquant'anni come li stava trovando Lui. Pieno di fiducia e passione,
discreto eppure dedito: era questo che lo teneva magnetico sul
lavoro, la Distanza, il Disimpegno, l'innamoramento feroce ma
dissimulato per la sua arte di Commercio. Uscito dal trasportatore
si incuneò in Klostertieg, un vicolo cieco che dava abbastanza garanzie,
poi era una delle tre ore di tregua. Staccò la piega dei pantaloni dal
rivestimento della coscia e tentò di non respirare l'aria, composta
nella maggior parte da donne e uomini fritti. Allontanò istintivamente
con la mano il pulviscolo di rovine fresche e decomposizione shakerata
e sbocciò verso Mittelweg. Meno lo notavano e meglio era, così come
sempre aveva dato indicazioni al taxi scalcinato di tenersi vicino alla
porta della Vecchia Dorothy, morta nei primi giorni dell'offensiva.
S'era piazzato velocemente sul sedile posteriore, rabbrividendo un
pochino. Erano partiti in fretta, l'autista era un turcomanno dall'accento
libico, qualcosa che lui aveva imparato dopo 4 anni impegnanti a
trafficare nei dintorni di El Homsa. Ormai si conoscevano anche se
parlavano quasi per nulla. Il tipo era silenzioso e le poche chiacchiere
che gli aveva cavato erano sui due figli morti e sulla moglie che aspettava
due gemelli. Già.
Dopo aver risalito Bogenstrasse sbarcò come sempre alla Kaiser Friedrich
Ufer e s'infilò nella manciata di sotterranei con il soffitto in Fenipal al titanio.
Lì dentro, pensò per l'ennesima volta, avrebbero potuto resistere per secoli:
erano lombrichi armati di fiamme ossidriche e rivestiti di paraffina con
ustioni al tocco. Nessuno, nemmeno l'altro Dio li avrebbe piegati.
Arrivò nella sala dei ricevimenti, così pomposa da meritarsi quel nome anche
se era fatta di broccati presi in prestito dal vecchio museo e arazzi
saccheggiati al vecchio collezionista conservatore Jean-Pierre Pilochy.
Seduto su una poltrona girevole stava Liston abbioccato su un bastone da
passeggio col pomello in teschio rosso. Alle sue spalle penzolava annoiato
l'emblema del CoNtRoRdInE, una croce rovesciata con i bracci lavorati a
infiorettatura. Liston era girato con la testa sopra la spalla, teneva sulla punta
delle dita della mano destra un giocattolino a molla per bambini di qualche
decennio prima, sembrava lo osservasse con cura mentre Lui diventava
più nervoso senza far finta di accorgersene. Guardava la mimetica rovinata
di Liston, i suoi occhiali alla Wong Tu Wai, l'anello a spirale che gli
appesantiva il medio.
"Così non riesce ad andare".
La voce di Liston gli piombò fra capo e collo, all'altezza delle tonsille.
Praticamente gliele mozzò.
"In che senso?".
"Si può fare un lavoro migliore, i pentoyer facevano schifo. tu ti ingozzi
Yummi e noi ci facciamo chilometri con il culo per terra trascinati da un
aereo. Il momento è più che buono per cambiare i termini".
Liston non staccava gli occhi dal giocattolino con la stessa dedizione di
un maniaco verso il culo di una donna.
"Sono due anni che...."
"Troppi". Tagliò corto Liston e si sollevò dallo schienale come se
improvvisamente una scossa di acqua gelida elettrificata gli avesse
percorso il dorso fino ai coglioni.
"E comunque ho il piacere di presentarti il nostro nuovo socio in affari."
Yummi cominciava a subire una paralisi alle forze di volontà. Avrebbe
voluto almeno balbettare ma riusciva solo a portare sulla punta della
lingua un pensiero compiuto che non trovava il coraggio per un salto
definitivo attraverso la comunicazione.
Da una porta appena accennata nel muro sbucò un viso conosciuto
perchè era il suo. Jason Marhoudi, barbetta sale e pepe, frangia
coltivata ma non eccessiva,corporatura magra, completo beige e
cappello crema. Il suo stesso buon gusto. E il suo gemello che
aveva lasciato per morto nell'esplosione a Eppendorfer Baum
dodici anni prima. Aveva fatto carriera, senza dubbio, come Lui.
Liston per la prima volta si concesse un sorriso. "Jason c'ha proposto
delle transizioni formidabili, non riusciamo proprio ad ignorarlo. E
poi...e poi....è uno che riesce, come dire, ad imporsi."
A Yummi cominciò a girare tutto intorno la stanza, poi si ritrovò con
il capo aderente alla gettata di cemento che sostituiva l'impiantito,
il suo completo cachi sostituito da una bara di legno senza nemmeno
quasi un granello di polvere.






 
 
 
 
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