Un blog creato da otto8dgl1 il 25/10/2013

I due Messia

Storia di Giovanni di Gamala e Yeshu ben Pandera

 
 
 
 
 
 

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Giuseppe Flavio e il "Testimonium Flavianum"

Post n°23 pubblicato il 07 Aprile 2014 da otto8dgl1
 

E' importante sottolineare che la prima opera scritta dallo storico Giuseppe Flavio negli anni settanta del I° secolo fu "La Guerra Giudaica"; in essa descrive gli avvenimenti succedutisi in Palestina sotto la dominazione romana, comprese le vicende accadute durante il governo di Ponzio Pilato e le sue repressioni CONTRO I GIUDEI, esattamente come le descriverà dopo in "Antichità Giudaiche": Diversamente che in "Antichità", in "La Guerra Giudaica", sua prima opera, il "Testimonium Flavianum" non viene riportato.
Ora, cari atei, credenti e gnostici, dobbiamo tutti fare una semplice, elementare considerazione: due opere dello stesso autore, che trattano gli stessi avvenimenti in parallelo, MA SOLO IN UNA DI ESSE lo storico trasmette ai posteri l'esistenza di un "Gesù Cristo", risorto dopo morto, cui VIENE DATO DALLO STORICO UN GIUDIZIO COSI' POSITIVO E STRAORDINARIO, come nessun altro personaggio di tutte le su opere... neanche fra i protagonisti dell'Antico Testamento.
I pii amanuensi ortodossi orientali, molto ligi a creare prove intese a "dimostrare" l'esistenza dell'Unto, accortisi di QUESTA GRAVE MANCANZA, decisero di INTERPOLARE il "Testimoniun Flavianum" anche in "La Guerra Giudaica, certi che per la Verità della Fede, era giusto riferire ciò che "dimenticò" di scrivere L'ebreo Giuseppe.

Consiglio a chi ha fame e sete di verità di leggersi i commenti in questo topic... Smettetela di dormire, sono 1700 anni che lo fate!

Emilio Salsi pag. 291/292 "Giovanni il Nazireo detto "Gesù Cristo" e suoi fratelli.

 
 
 

I dodici Apostoli ovvero i fratelli del Messia

Post n°22 pubblicato il 23 Febbraio 2014 da otto8dgl1
 

“… Anche voi, che mi avete seguito, sarete seduti su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele”

Dodici erano gli anni di malattia della donna guarita dal flusso emorragico, come dodici erano le ceste piene portate via dopo il miracolo dei pani e dei pesci, dodici gli anni della figlia di Giairo e gli anni di Gesù quando si recò a Gerusalemme e, soprattutto dodici, come abbiamo appena letto, le tribù d’Israele. Ecco perché gli Apostoli, posti a giudici di ciascuna di esse, non avrebbero potuto essere otto, quattordici o ventiquattro!

Nessun altro numero appare nei Vangeli con una tale ricorrenza, proprio perché ad esso veniva riconosciuto un valore simbolico talmente sacrale da adattare ad esso eventi e personaggi.

Tuttavia, si tratta anche per il numero dodici, di una sacralità mutuata dalle antichissime tradizioni astronomiche mesopotamiche e sumero-babilonesi, fondate sulla suddivisione della volta celeste in dodici case zodiacali.

Per raggiungere questo numero, gli Evangelisti o chi per loro, ricorsero ad ogni espediente narrativo: identità replicate mediante doppi e tripli appellativi, sdoppiamenti occasionali, paternità e maternità diversificate.

Secondo quando riferito negli "Atti" di Luca, i seguaci della dottrina di "Gesù", in tre decenni si erano moltiplicati e diffusi nelle province mediterranee dell'Impero... grazie alle dimostrazioni di miracoli straordinari fatti dagli "Apostoli"dei cui nomi non esiste traccia in alcun documento storico dell'epoca!

L'unico "attestato" (uno storico non potrà mai basarsi su un "documento" fideista come il Vangelo) che avrebbe dovuto comprovarne le gesta, oltre all'esistenza, è costituito dagli "Atti degli Apostoli", ma dopo averne individuato le falsificazioni apportate dall'evangelista (il blog le dimostrerà di volta in volta...) per rendere credibili i suoi "santi" personaggi tale documento, in realtà, diventa la prova che i "Dodici" sono soltanto un numero di valore simbolico religioso; furono una creazione letteraria per far apparire che il "cristianesimo" diffuso da loro, era presente sin dal I secolo al fine di dimostrare che Gesù era venuto sulla Terra e si era sacrificato per salvare gli uomini dalla morte.

Gli Apostoli degli scritti neotestamentari non sono mai esistiti!

Di Giancarlo Tranfo: “La croce di spine”. (Pag. 161)




La resurrezione di Lazzaro
Post n°743 pubblicato il 19 Settembre 2013 da paralotti

MA QUALE MIRACOLO!

Lazzaro, Zelota, figlio di Giairo, discendente di Giuda di Gàmala, parente di Giuseppe (Menahem) dopo la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. con circa un migliaio di Esseni e Zeloti, asserragliati nella fortezza di Masàda nel 73 d.C., resistette all’assedio dei romani per sei mesi . (Ultimi ribelli patrioti rimasti, infatti Giuseppe Flavio li chiama “Sicari”) Resosi conto che era inutile ogni resistenza contro lo strapotere delle legioni romane, convinse TUTTI I SUOI SEGUACI A SUICIDARSI.
Nel suo ultimo, lungo discorso ricorda ai suoi uomini:

“… La superiorità dell’anima su un corpo mortal...e che la tiene prigioniera e che la morte libererà dal suo peso corruttibile facendola vivere in eterno. La morte infatti, donando la libertà alle anime, fa si che possono raggiungere quel luogo di purezza che è la loro sede, dove andranno esenti da ogni calamità, mentre, finchè sono prigioniere in un corpo mortale, schiacciate sotto il peso dei suoi uomini, allora si che esse sono morte…” (Gue.VII, 344)

Così Giuseppe Flavio descrive gli Esseni:
“Quando giunge con gloria, considerano la morte migliore della vita. I loro spiriti furono sottoposti ad ogni genere di prove dalla guerra contro i romani, durante la quale furono contorti, bruciati e fratturati, sotto ogni genere di tortura… esalavano serenamente l’anima, certi di tornare a riceverla… E’ ben salda in loro l’opinione che i corpi sono corruttibili e instabili mentre le anime vivono in eterno…” (Gue. II 152-4)

Poco dopo arrivarono i legionari romani e allibiti trovarono quasi mille corpi senza vita di guerriglieri sicari ZelotI ed Esseni, fra cui donne e bambini.
“Quando furono di fronte alla distesa dei cadaveri, ciò che provarono (i romani) non fu l’esultanza di aver annientato il nemico, ma l’ammirazione per il nobile proposito e per il disprezzo della morte con cui tanta moltitudine l’aveva messo in atto”. (Gue. VII, 406)

Circa mille persone che, prima di rinunciare ad un’esistenza come loro avevano sognato e lottato per realizzarla, preferirono la MORTE DEL CORPO CORRUTTIBILE nella convinzione di liberare e FAR RISORGERE LE LORO ANIME.
Questa! … fu LA VERA RESURREZIONE DI LAZZARO FIGLIO DI GIAIRO!
Gli esseni, prima di riformare la dottrina, credevano nell’immortalità dell’anima, mentre la nuova dottrina, con l’innesto del rituale teofagico eucaristico dei “Salvatori” pagani, prevedeva la resurrezione anche della carne e questo doveva essere “dimostrato” con gli episodi di “Risurrezione dei corpi” che ritroviamo nei Vangeli e negli “Atti degli Apostoli”, il più famoso dei quali come tutti sanno, è la “Resurrezione di Lazzaro”.

Di Emilio Salsi da libro Giovanni il Nazireo detto “Gesù Cristo” e i suoi fratelli. (pag. 113)


Gamala e Nazareth
Post n°742 pubblicato il 17 Settembre 2013 da paralotti


Gamala è stata una città le cui rovine furono scoperte in modo fortutito ed inaspettato nel 1967, riconosciuta ufficialmente dagli archeologi nel 1976, costruita SOPRA UN MONTE nel Golan inferiore, a nord-est del lago Tiberiade (Genezaret), importante per la storia giudaica fin dal secolo precedente a "Cristo", fu attaccata nell'autunno del 66 d.C., invano per sette mesi, dalle truppe di Re Agrippa II e verrà distrutta, grazie all'intervento di tre legioni romane agli ordini di Vespasiano e Tito, un anno dopo. Teatro di una battaglia sanguinosa che causò molte migliaia di morti fra la popolazione, di cui più della metà suicidi, gettatisi in un precipizio con donne e bambini pur di sottrarsi a stupri e schiavitù. Questa Città, vicina a Cafarnao e al lago, così presente nella storia... E' IGNORATA DAI VANGELI.

"Gesù Cristo" percorse in lungo e in largo la Palestina, ha navigato e passeggiato su e giù per il lago Tiberiade, ha fatto miracoli e discorsi in città e villaggi molto meno importanti, ma a GAMALA NO!... LA EVITAVA.

Così come la evitava il geniale Apostolo, Segretario di Stato, da lui nominato dopo essere morto sulla croce, quindi "post-mortem", SAULO PAOLO, il quale ligio alle consegne ricevute dal Maestro al momento della "folgorazione", doveva visitare tutte le Sinagoghe tranne quella di Gamala, come non lo fecero i SANTI APOSTOLI: Simon Pietro, Giacomo, Giovanni "detto anche Marco" e Giuda.

Eppure questa città era ed è vicina al lago di Tiberiade, sul ciglio di una monte, con un precipizio, con una Sinagoga, con attività produttive, coniava monete proprie... sembra, anzi è la descrizione della NAZARETH dei Vangeli:

"Si recò a Nazareth dove era stato allevato; ed entrò come al solito di sabato nella Sinagoga e si alzò a leggere... all'udire queste cose, tutti nella Sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori dalla città e lo condussero giù dal precipizio. Ma egli passando in mezzo a loro, se ne andò. Poi DISCESE A CAFARNAO, una città della Galilea" (Lc. 4; 16-28/31).

" Discese a Cafarnao" (a nord del lago). Questa frase ha un senso soltanto se la discesa parte da Gamala, "SUL CIGLIO DI UN MONTE" sovrastante Cafarnao, e distante da essa 15 km. Non può riferirsi alla NAZARETH odierna, DISTANTE DA CAFARNAO 32 KM. (in linea retta), non sovrastante ad essa e "piana", non POSIZIONATA SOPRA ALCUN MONTE, SENZA UN PRECIPIZIO A RIDOSSO, NE' VICINA AL LAGO. Abbiamo la stessa constatazione nel Vangelo di Matteo (8, 1-5).

Al contrario di Gamala, NAZARETH E' TOTALMENTE SCONOSCIUTA DALLA STORIA sino al quarto secolo dopo Cristo. La Nazareth che conosciamo, meta di pellegrini, culto dei cristiani di tutto il mondo da oltre 1500 anni, non ha nulla a che vedere con la Città dei Vangeli. Diversamente da Gamala, a Nazareth non esistono nè monte, nè precipizio, nè lago, nè le rovine di una Sinagoga, nè barche vicine. Gli edifici e i monumenti più antichi riferiti alla vita di "Cristo", ammirati dai pellegrini in devota contemplazione, risalgono ad epoche successive al Concilio di Nicea del 325 d.C.

La Chiesa falsaria è consapevole del vuoto storico della "città di Nazareth", pertanto per trovare una giustificazione, contraddicendo i Vangeli, nell'ultimo secolo l'ha declassata a "villaggio" e come tale sarebbe passato inosservato agli storici ed agli archeologi!

Ma allora, se Gamala era la vera "Nazareth", perchè i Vangeli hanno mentito? Via!... non ditemi che non lo avete capito: era la città di Giuda il Galileo e dei suoi figli...Zeloti, i quali avevano lo stesso nome dei fratelli di "Gesù"... i famosi Apostoli!

Di conseguenza il libro scritto dall'ex Papa Ratzingher dal titolo: "Gesù di Nazareth" è un falso!

Da: Giovanni il Nazireo detto "Gesù Cristo" e i suoi fratelli di Emilio Salsi.


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Lazzaro e la sua resurrezione

Post n°21 pubblicato il 13 Febbraio 2014 da otto8dgl1
 

MA QUALE MIRACOLO!

Lazzaro, Zelota, figlio di Giairo, discendente di Giuda di Gàmala, parente di Giuseppe (Menahem) dopo la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. con circa un migliaio di Esseni e Zeloti, asserragliati nella fortezza di Masàda nel 73 d.C., resistette all’assedio dei romani per sei mesi . (Ultimi ribelli patrioti rimasti, infatti Giuseppe Flavio li chiama “Sicari”) Resosi conto che era inutile ogni resistenza contro lo strapotere delle legioni romane, convinse TUTTI I SUOI SEGUACI A SUICIDARSI.
Nel suo ultimo, lungo discorso ricorda ai suoi uomini:

“… La superiorità dell’anima su un corpo mortale che la tiene prigioniera e che la morte libererà dal suo peso corruttibile facendola vivere in eterno. La morte infatti, donando la libertà alle anime, fa si che possono raggiungere quel luogo di purezza che è la loro sede, dove andranno esenti da ogni calamità, mentre, finchè sono prigioniere in un corpo mortale, schiacciate sotto il peso dei suoi uomini, allora si che esse sono morte…” (Gue.VII, 344)

Così Giuseppe Flavio descrive gli Esseni:
“Quando giunge con gloria, considerano la morte migliore della vita. I loro spiriti furono sottoposti ad ogni genere di prove dalla guerra contro i romani, durante la quale furono contorti, bruciati e fratturati, sotto ogni genere di tortura… esalavano serenamente l’anima, certi di tornare a riceverla… E’ ben salda in loro l’opinione che i corpi sono corruttibili e instabili mentre le anime vivono in eterno…” (Gue. II 152-4)

Poco dopo arrivarono i legionari romani e allibiti trovarono quasi mille corpi senza vita di guerriglieri sicari ZelotI ed Esseni, fra cui donne e bambini.
“Quando furono di fronte alla distesa dei cadaveri, ciò che provarono (i romani) non fu l’esultanza di aver annientato il nemico, ma l’ammirazione per il nobile proposito e per il disprezzo della morte con cui tanta moltitudine l’aveva messo in atto”. (Gue. VII, 406)

Circa mille persone che, prima di rinunciare ad un’esistenza come loro avevano sognato e lottato per realizzarla, preferirono la MORTE DEL CORPO CORRUTTIBILE nella convinzione di liberare e FAR RISORGERE LE LORO ANIME.
Questa! … fu LA VERA RESURREZIONE DI LAZZARO FIGLIO DI GIAIRO!
Gli esseni, prima di riformare la dottrina, credevano nell’immortalità dell’anima, mentre la nuova dottrina, con l’innesto del rituale teofagico eucaristico dei “Salvatori” pagani, prevedeva la resurrezione anche della carne e questo doveva essere “dimostrato” con gli episodi di “Risurrezione dei corpi” che ritroviamo nei Vangeli e negli “Atti degli Apostoli”, il più famoso dei quali come tutti sanno, è la “Resurrezione di Lazzaro”.

Di Emilio Salsi da libro Giovanni il Nazireo detto “Gesù Cristo” e i suoi fratelli. (pag. 113)

 

 
 
 

I martiri “cristiani”

Post n°20 pubblicato il 09 Febbraio 2014 da otto8dgl1
 

Scrive Plinio il Giovane all’Imperatore Traiano:

“… Chiedevo loro se fossero cristiani. Se confessavano li interrogavo una seconda e una terza volta minacciandoli di pena capitale e quelli che perseveravano li ho mandati a morte. Coloro che negavano di essere cristiani ritenni di rimetterli in libertà quando, dopo aver ripetuto quanto io formulavo, invocavano gli Dèi , veneravano la tua immagine e imprecavano contro Cristo, cosa che si dice impossibile ad ottenersi da coloro che siano veramente cristiani… Ricorrendo alla tortura non ho trovato nulla al di fuori di una superstizione balorda e smodata”.

Questo resoconto realistico che nulla a che vedere con gli esagerati e assurdi “martiri” inventati molto tempo dopo da Eusebio di Cesarea e da altri “Padri” Apologisti per “connetterli” a “Gesù”- va confrontato con un’altra cronaca altrettanto reale riportata da Giuseppe Flavio, per comprenderne il nesso e chiarire definitivamente a quale religione appartenessero i “martiri” che per “una superstizione balorda e smodata”, si lascarono morire sino a tutta la II° guerra giudaica del 135 d.C.

“…Riguardo a costoro non vi fu alcuno che non restasse ammirato per la loro fermezza o cieco fanatismo che dir si voglia; infatti, pur essendo stata escogitata contro di loro ogni forma di supplizio e di tortura soltanto perché dicessero di riconoscere Cesare come loro Padrone, nessuno cedette o fu sul punto di cedere, ma tutti serbarono il proprio convincimento al di sopra di ogni costrizione, accogliendo i tormenti e il fuoco con il corpo che pareva insensibile e l’anima quasi esultante…” (Gue. VII 418)

Questa è la descrizione del martirio di Ebrei messianisti ( in greco “cristiani”) citati anche dal filosofo storico Epitteto, agli inizi del II° secolo, che li chiama “Galilei” e li esalta come uomini che affrontano la morte senza paura.

C’è un altro particolare che si evidenzia nella lettera di Plinio il Giovane: Il Governatore di Bitinia e del Ponto denuncia la presenza di molti “cristiani”, mentre Tacito, Governatore della Provincia d’Asia (confinante con la Bitinia) non riporta la presenza di “cristiani”. Questo significa che in quella Regione sino al 112 d.C. NON VI FU ALCUN APOSTOLATO!

Ma anche l’ateo “San Luca”, prima di noi, rilevò questo particolare storico e quando scrisse “Atti degli Apostoli”, per non cadere in contraddizione, ordinò allo Spirito Santo di far sorvolare a San Paolo e Barnaba la Provincia d’Asia, senza atterrare e fare adepti cristiani:

“… Attraversarono la Frigia e la Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare nella Provincia d’Asia (At. 16,6) e Dio, ubbidiente, eseguì la logica di Luca.

Questo dimostra che gli “Atti” furono scritti molto dopo il 112 d.C. e oggi l’esegeta che vede “Gesù” nel “Cristo” di Svetonio e Plinio il Giovane, è un mistico pervaso dal proprio credo in dio al punto di non considerare che i “cristiani martiri” dei due storici non vengono rivendicati da alcuno dei Padri Apologisti, coevi all’epoca dei fatti narrati e con motivazioni ideologiche molto più vive e attuali di quelle odierne, compreso l’apologista Giustino “martire beato”… ammesso che sia mai esistito!

 

Di Emilio Salsi: Giovanni il Nazireo e i suoi fratelli. (pag. 236/237)

 
 
 

La guerra santa dei Giudei e i falsi martiri.

Post n°19 pubblicato il 02 Febbraio 2014 da otto8dgl1
 

In conseguenza della Guerra Santa contro l’occupazione romana, iniziatasi nel 66 d.C. mentre Nerone si trovava in Grecia, l’ebraismo perse in Giudea, sin dall’inizio, quei privilegi che Roma gli riconosceva dall’epoca di Giulio Cesare e nel 67 d.C., il movimento messianista giudaico dette luogo a sommosse per protestare contro l’ordine di Nerone di inviare le legioni romane, condotte da Vespasiano, a riprendersi quei territori della Palestina che gli Zeloti aveva liberato “Salvato” nell’autunno del 66 d.C. sconfiggendo le armare del Legato di Siria, Cestio Gallo a Beth Horon.

 

“… Nerone, appena informato dei rovesci subiti in Giudea, fu colto da una segreta angoscia e mentre in pubblico affettava noncuranza e disdegno, stimando che per il prestigio dell’Impero gli conveniva mostrare disprezzo per i casi avversi, ostentava un animo superiore ad ogni calamità; ma la sua ansia interiore era tradita dalla preoccupazione. Egli valutava a chi affidare l’Oriente in sommossa per punire l’INSURREZIONE DEI GIUDEI e impedire il dilagare della ribellione che aveva già contagiato i paesi circonvicini e trovò che il solo Vespasiano era all’altezza del compito…” (Gue. III°. 1-2)

 

“… I Damasceni ( di Damasco), venuti a sapere la disfatta subita dai Romani, si affrettarono a sterminare i Giudei nella loro città… Alla notizia della strage, I GIUDEI si diedero a devastare i villaggi dei Siri e le città vicine, Filadelfia, l’Esebonitide, Cerasa, Pella e Scitopoli. Poi piombarono su Gadara, Ippo, La Gaulanitide, mettendole a ferro e fuoco, quindi avanzarono contro Cadasa dei Tiri, Tolemaide, Gaba e Cesarea. Neppure Sebaste e Ascalona resistettero al loro assalto e dopo averle date alle fiamme distrussero anche Antedone e Gaza.

“Tutta la Siria divenne teatro di Orribili sconvolgimenti; ogni città si divise in due accampamenti (Giudei contro Pagani) e la salvezza degli uni consisteva nel prevenire gli altri. E passavano il giorno a scannarsi e a far strage degli avversari spinti dalla cupidigia, infatti si appropriavano a man salva delle sostanze della gente ammazzata e come da un campo di battaglia, si portavano a casa le spoglie degli uccisi, e si copriva di gloria chi aveva fatto più bottino. Si potevano vedere le città piene di cadaveri insepolti, corpi di vecchi e di bambini gettati alla rinfusa, di donne senza il più piccolo indumento e l’intera Provincia di Siria piena di orrori indescrivibili” (Gue. III° 457 e segg.).

Ma i Giudei ne pagarono subito le conseguenze e la Storia, nella tarda primavera del 67 d.C., ci testimonia la stessa scena come quella accreditata a Tacito sulle persecuizioni dei “cristiani” seguaci di Gesù.

“… Al tempo in cui era stata dichiarata la guerra, e Vespasiano era da poco sbarcato in Siria, mentre dappertutto era salita al massimo la marea d’odio contro i GIUDEI… ad Antiochia i GIUDEI furono accusati di aver tramato di dare alle fiamme la CITTA’ in una sola notte. Il popolo non seppe contenere il furore e si scagliò contro la massa di Giudei, convinti che per salvare la Patria bisognava punirli e DECRETO’ che gli individui consegnati MORISSERO TRA LE FIAMME E SUBITO QUELLI FURONO TUTTI BRUCIATI NEL TEATRO” (Gue. VII°, 46/62).

 

Si, proprio così, questo evento fornirà l’ispirazione della sceneggiatura del martirio “cristiano” di massa ai futuri “Abati Priori” copisti falsari, manca solo Nerone sul cocchio vestito da auriga.

E tutto ciò, come per i martiri riarsi “cristiani gesuiti”, avveniva nell’indifferenza dell’Evangelista “Giovanni” (sulla mezza età all’epoca dei fatti se fosse esistito) e dei “Padri Apostolici” anch’essi inesistenti testimoni!

 

Di Emilio Salsi: Giovanni  il Nazireo detto Gesù Cristo e i suoi fratelli. (Pag. 266-267)

 
 
 

“Caifa”, il Sommo Sacerdote

Post n°18 pubblicato il 23 Gennaio 2014 da otto8dgl1
 



La discendenza da una famiglia di Sacerdoti, così antica e potente, ci ha convinti e le prove lo attesteranno che il nostro storico, Giuseppe Flavio, fu uno dei nipoti di “Giuseppe, che fu chiamato Caifa, proclamato Sommo Sacerdote dal Prefetto Valerio Grato” il 18 d.C. (Ant. XVIII 35); egli fu l’accusatore di “Gesù Cristo” nei Vangeli.
Nella genealogia della grande stirpe sacerdotale dello storico, risalente oltre un secolo e mezzo prima di lui, è contenuto un errore gravissimo che riguarda proprio suo nonno “Giuseppe”.
Questi, da quanto risulta in (Bio, 1-6) sarebbe nato:

“… Nel nono anno del regno di Alessandra nacque Giuseppe", cioè il 68 a.C. e "da lui nacque nel decimo anno del regno di Archelao, Mattia”, il padre di Giuseppe Flavio, cioè il 6 d.C., infine da Mattia nacqui io, il primo anno dell’Impero di Gaio Cesare, il 37 d.C.

Se fosse vero, suo nonno avrebbe avuto un figlio all’età di 74 anni, ma quest’assurdità viene smentita da un evento che correlato ad altri, ci aiuta a fare chiarezza.

“Quando Erode il Grande assunse il potere règio (37 a.C.), uccise Ircano e tutti gli altri membri del Sinedrio eccetto Samaia” (Ant. XIV, 175).

Fra quei membri del Sinedrio che misero sotto accusa Erode per l’uccisione di Ezechia, padre di Giuda il Galileo (Ant. XIV, 167-168), vi era certamente anche uno dei suoi antenati, ma non l’ultimo nonno Giuseppe: ecco perché i conti non tornano.
E’ evidente che fra l’antenato “Giuseppe” nato il 68 a.C. e il “Giuseppe” suo nonno, c’è una “mancanza”; ma l’errore non lo commise lo storico. E’ impossibile che lui non conoscesse l’età di suo nonno, l’errore si spiega con una “piccola manipolazione mistica” nella sua genealogia, descritta in “Autobiografia” effettuata da chi aveva l’interesse ideologico di non fare apparire “Giuseppe che fu chiamato Caifa”, il Sommo Sacerdote, come nonno di Giuseppe Flavio.
Il nostro scriba Giuseppe, ligio ai suoi doveri di storico, trasmise ai posteri tutti i nominativi dei Sommi Sacerdoti del Tempio che presiedettero il Sinedrio, i quali, per l’ecumene degli Ebrei di allora, erano equivalenti al Papa di oggi dei cattolici.
Lo fece riportando come d’obbligo, il nome del padre di ognuno di loro… TRANNE UNO: quello di “GIUSEPPE CHE FU CHIAMATO CAIFA”.
Se non si considera questa “mancanza”, si giungerebbe alla conclusione obbligatoria che escluderebbe matematicamente il nonno di Giuseppe Flavio come accusatore di “Gesù”, perché se nel 6 d.C. aveva 74 anni, all’epoca in cui lo incolpò ne avrebbe avuti CENTOUNO… secondo i Vangeli ( centosei secondo la storia) e secondo quanto vollero far apparire i manipolatori mistici, poiché simile vetustà sarebbe servita a dirottare la curiosità degli storici troppo indiscreti e pignoli…
E, guada caso, il Nuovo Dizionario Biblico della “Santa Sede”, edito nel 1993, alla voce “Sinedrio” fa una relazione delle funzioni e i poteri di tale organo riportando tutte le citazioni di Giuseppe Flavio TRANNE UNA: proprio il brano suddetto (Ant. XIV, 175). Questo passo, il più importante per l’uccisione di “TUTTI I SUOI MEMBRI” viene dimenticato.
Riflettiamo un attimo: se l’accusatore più accanito di Gesù Cisto, secondo i Vangeli, risultasse essere stato il nonno dello storico, immaginiamo quale dettagliata descrizione della vita del “Figlio di Dio” avrebbe dovuto tramandarci lo scrittore. Giuseppe non sarebbe stato “storico ebreo”, bensì “storico cristiano”, avendo suo nonno e suo padre toccato con mano a Gerusalemme il tanto atteso e sospirato “Messia”… e lo avrebbero sicuramente raccontato anche a lui da bambino, specie quando, dopo averlo accusato e fatto crocifiggere da testimoni esterrefatti, videro che:

“… Si fece buio su tutta la terra, il velo del Tempio si squarciò, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti morti risuscitarono e uscendo dai sepolcri entrarono nella Città Santa e apparvero a molti”. (Mt. 26, 51/53.

I copisti non seppero farsi una ragione del perché lo storico non avesse riportato la cronaca di quegli avvenimenti e non fosse diventato cristiano, ma soprattutto la mancata cronaca di quei fatti clamorosi dimostrava che non avvennero!
Si, non possono esservi dubbi, fu questo il movente della manipolazione genealogica dello storico sacerdote: Giuseppe detto CAIFA era il nonno di Giuseppe Flavio, ma con tale soprannome, non doveva risultare nella genealogia da lui riportata in “Autobiografia” per le deduzioni che ne avrebbero tratto gli storici; al contrario nei Vangeli, è solo con questo soprannome che conosciamo il Sommo Sacerdote “CAIFA”.
Ma “Caifa” come nome proprio non esisteva nella Giudea di allora: era solo una qualifica che significava “indovino” o (Profeta) e presa a se stante non aveva alcun senso. “Giuseppe detto l’Indovino”, questo era un nome con un significato, esattamente come lo riporta la storia… ma ancora senza patronimico.
Al nonno dello storico ebreo… il NOME gli venne censurato nei Vangeli, il SOPRANNOME in “Autobiografia” e il PATRONIMICO in “Antichità”… pur di impedire l’identificazione del personaggio con le pericolose conseguenze sulla Testimonianza di Giuseppe Flavio.

Di: Emilio Salsi da Giovanni il Nazireo e i suoi fratelli. (pag. 145-146-147)

 
 
 

Yeshu l'Egiziano (seconda parte)

Post n°17 pubblicato il 19 Gennaio 2014 da otto8dgl1
 

Non è strano dunque che Yeshu, soprannominato "Egiziano" negli anni successivi al fallimento del tentativo di Giovanni di Gamala morto crocifisso per essersi dichiarato "Re dei Giudei", abbia quantomeno tentato di consacrare il proprio ruolo di messia sacerdotale eletto da Dio, presentandosi sul Monte degli Ulivi e promettendo un segno divino. (v. Zaccaria)

Lo sarebbe stato eventualmente per un "Salvatore del Mondo" disarmato e pacifico, che non avendo nulla da suggerire al popolo ebraico se non di "amare i propri nemici", avrebbe rischiato l'attacco della folla furibonda ancor prima di quello dei soldati romani!

Come al solito fa riflettere invece, il silenzio di Giuseppe Flavio sul precedente tentativo di Giovanni di Gamala il Galileo; abbiamo ormai compreso bene l'origine di tale silenzio che in riferimento al personaggio in questione, c'è stato un vero e proprio oscuramento. Il "Gesù" cristiano nascente non doveva aver nulla a che fare con il vero personaggio storico morto crocifisso nel 36 d.C. per sedizione contro Roma e per essersi dichiarato Re dei Giudei.

Il messia, che in quell'occasione "si dileguò", morì LAPIDATO ANNI DOPO E CIOE' NEL 72 D.C. A LYDDA!

Anche per Yeshu i giorni furono quelli delle feste pasquali, come attestato dal passo del Talmud che in una delle versioni note, reca un chiaro riferimento alla città di Lydda:

"... Alla parasceve essi appesero a Lud (Lydda) Yeshu".

L'imputazione di stregoneria e apostasia è identica a quella contestata al Gesù dei Vangeli. Per quest'ultimo, tuttavia, vista la commistione voluta nei Vangeli con la vicenda politico insurrezionale del messia davidico, fu necessario ideare un grottesco scarico di responsabilità tra le istituzioni religiose, popolo e organi giurisdizionali romani, allo scopo di raccordare alle meglio l'imputazione stessa di Yeshu (riguardante colpe di natura religiosa) con l'esecuzione di una pena romana prevista per il reato di sovversione armata commessa da Giovanni di Gamala il Galileo.

Per Yeshu a decidere la condanna fu il Sinedrio che nel pieno dei propri poteri, comandò l'esecuzione mediante una pena che gli era dato comminare: la lapidazione. Il fatto avvenne come scritto sopra, a Lydda nel 72 d.C., vale a dire il primo anno nel quale la Pasqua cadde di SABATO, successivamente al trasferimento del Sinedrio in tale città, dopo la disfatta del 70 d.C.; A tal proposito un antico manoscritto talmudico reca, infatti, una versione del passo in questione nel quale è detto:

"... Egli fu appeso alla vigilia del sabato della Pasqua".

Inoltre particolare attenzione merita il rilievo dato dalla giurisdizione ebraica alle prove testimoniali. Infatti nel seguito del passo citato è scritto:

"... Chiunque sappia qualcosa a sua discolpa venga e difenda il suo operato". Poichè nessuna testimonianza fu mai portata in suo favore, egli fu appeso per 40 giorni, dopo essere stato lapidato, alla vigilia della Pasqua".

Nella discussione rabbinica che segue alla citazione, entrambe registrate nella Ghemarah, appare un'affermazione enigmatica di forte contenuto indiziario:

"... Replicò Ulla: "Pensi egli sia stato uno per il quale ci si sarebbe potuto attendere una discolpa? Non era egli un sobillatore, riguardo cui la Scrittura dice: Non perdonarlo, non coprire la sua colpa? Con Gesù comunque fu diverso, perchè stava vicino al regno".

Non essendo chiaro cosa si debba intendere per "regno", verrebbe da pensare che la qualità messianica sacerdotale di Yeshu fosse in qualche modo riconosciuta anche in seno all'antica casta rabbinica ormai di estrazione esclusivamente farisaica e che ciò gli fosse a suo tempo valso quel particolare riguardo costituito dall'attesa di una possibile discolpa su base testimoniale non previta per analoghi casi.

Altrettanto rilievo veniva dato alle prove accusatorie per le quali era previsto un particolare iter acquisitivo, dettagliatamente previsto in altra parte dal Talmud. Due testimoni venivano fatti entrare nello stesso ambiente dove si trovava l'imputato per ascoltare non visti da questo, la confessione resa ad un terzo.

"... Come può essere fatto tutto ciò senza essere scoperti da lui? "In questo modo: poichè il seduttore viene fatto restare nella parte interna della casa, una lampada viene tenuta accesa sopra di lui in modo che i testimoni possono vederlo ed ascoltarel a sua voce". (Talmud, Mishnah Sanhedrin)

Il passo prosegue menzionando un famoso precedente nel quale fu attuata tale procedura:

"... Così, ad esempio, essi fecero con il figlio di Stada, a Lydda. Contro di lui due discepoli di uomini istruiti furono messi in un posto nascosto ed egli fu portato così davanti alla corte per essere lapidato".

Non è necessario spiegare chi fosse il "figlio di Stada" che come confermato in questa parte del Talmud, fu condannato e giustiziato a Lydda, mentre, con riferimento all'acquisizione delle prove testimoniali, vale la pena proporre un confronto tra questi e il "Gesù" del "Vangelo di Giuda", emerso dalle sabbie d'Egitto soltanto una trentina d'anni orsono.

"... I sommi sacerdoti mormoravano perchè (lui) era andato nella stanza degli ospiti per la sua preghiera. Ma là alcuni scribi lo stavano guardando con attenzione per arrestarlo durante la preghiera, poichè erano impauriti dalla gente, in quanto era considerato da tutti come un profeta. Si avvicinarono a Giuda e gli dissero: "Che cosa stai facendo qui? Tu sei un discepolo di "Gesù". Giuda gli rispose quello che desideravano. Ricevette dei denari e lo consegnò a loro".

La Chiesa si è affrettata a disconoscere e condannare l'antico scritto di origine cainita, proprio perchè balzato agli occhi del mondo con il suo esplosivo potenziale testimoniale, privo di condizionamenti, censure e secolari manomissioni. Il messia testimoniato nel Vangelo di Giuda presenta evidenti attinenze più con l'immagine messianica di estrazione sacerdotale che con quella di tipo carismatico e rivoluzionaria del messia davidico. Tale immagine, che nei racconti neotestamentari si stinge, svanendo dietro alla tumultuosa vicenda dell'arresto, del processo e della condanna del re ribelle, conserva invece in questo scritto una tale similarità di circostanze con quelle riferite nel Talmud, da indurci a pensare che esso, pur parlando di "Gesù", si sia riferito in via esclusiva proprio alla vicenda del messia sacerdotale.

Di Giancarlo Tranfo: la Croce di Spine (pag. 211-212)

 

 
 
 

Yeshu l'Egiziano

Post n°16 pubblicato il 11 Gennaio 2014 da otto8dgl1
 

Ritornando alla provenienza dall'Egitto, come non rammentare l'episodio narrato da Giuseppe Flavio in Antichità Giudaiche?

"... In quel tempo venne dall'Egitto a Gerusalemme un uomo che diceva di essere un profeta e suggeriva alle folle del popolino di seguirlo sulla collina chiamata Monte degli Ulivi, che è dirimpetto alla città, dalla quale dista cinque stadi. Costui asseriva che da là voleva dimostrare come a un suo comando sarebbero cadute le mura di Gerusalemme e attraverso di esse avrebbe aperto per loro un ingresso alla città. Udita tale cosa, Felice ordinò ai suoi soldati di prendere le armi e con una notevole forza di cavalleria e di fanti, uscirono da Gerusalemme e si lanciarono sull'egiziano e sui suoi seguaci uccidendone quattrocento e catturando duecento prigionieri, L'Egiziano fuggì dalla battaglia e si dileguò".(Ant. Giud. XX: 169-171
Chi può essere quest'uomo con il soprannome di "Egiziano" che si spaccia per "profeta" e che ritiene di essere dotato di facoltà soprannaturali tali da abbattere con un "suo comando" le mura di Gerusalemme?
Ora ascoltatemi bene: secondo i Vangeli, Gesù fu arrestato sul Monte degli Ulivi e nel caso fosse esistito, al tempo di Felice (52-60 d.C.) si SAREBBE TROVATO GIA' DA UNA VENTINA D'ANNI SU UNA NUVOLETTA PERCHE' MORTO DEFUNTO!
Lo stesso si può dire per Giovanni di Gamala, il Nazireo, il Galileo, Messia Davidico crocifisso nel 36 d.C. al quale, come già riportato nella spiegazione del tema del blog, si ispira la vicenda storica di "Gesù": egli fu arrestato, anzi si consegnò, con ogni probabilità sul Monte degli Ulivi ( senza riuscire dunque a dileguarsi) a seguito di un vero tentativo e poi riuscito colpo di stato contro il potere di Roma Imperiale.
L'unico "profeta" che potè presentarsi sul Monte degli Ulivi (dileguandosi al momento giusto) che veniva dall'Egitto dove aveva appreso le arti magiche e che era ancora vivo negli anni di Felice (52-60 d.C.), fu lo "Yeshu" del quale nel Talmud è scritto:
"... Il figlio di Stada (che significa donna che lascia il marito) aveva introdotto dallEgitto arti magiche". (Beth Jacobh fol 127)
Come prima anticipato, Celso, nei panni di un immaginario ebreo, disse dello stesso Yeshu:
"... Andasti a lavorare a mercede in Egitto, dove venisti a conoscenza di certe facoltà e grazie ad esse ti proclamasti Dio".
Tutto in perfetta coerenza con il passo appena citato di Giuseppe Flavio:
"...Venne dall'Egitto a Gerusalemme un uomo che diceva di essere un profeta... voleva dimostrare come a un suo comando sarebbero cadute le mura di Gerusalemme".
Non deve poi stupire la scelta del Monte degli Ulivi come teatro di più rivolte messianiche. Un Messia che con il proprio seguito si fosse presentato in tale luogo, avrebbe guadagnato credibilità presso il popolo circa la propria divina investitura, in quanto avrebbe dato attuazione alle parole del profeta Zaccaria:
"... Poi il Signore si farà avanti e combatterà contro quelle nazioni, come egli combattè tante volte nel giorno della battaglia.
In quel giorno i suoi piedi si poseranno sul Monte degli Ulivi, che sta di fronte a Gerusalemme, a oriente, e il monte degli Ulivi si spaccherà a metà. da oriente a occidente, tanto da formare una grande valle; metà del monte si ritirerà verso settentrione e l'altra metà verso il meridione".
E mi fermo qui... Alla prossima puntata!
Di Gianfranco Tranfo: "La Croce di Spine". (pag. 210-211)

 

 
 
 

Le pratiche magiche, l'apostasia...

Post n°15 pubblicato il 03 Gennaio 2014 da otto8dgl1
 

Le pratiche magiche, l’apostasia e la corruzione di Israele a motivo della condanna

“… Egli sta per essere lapidato perché ha praticato la stregoneria e ha condotto Israele verso l’apostasia”.

Alla già citata motivazione, dal Talmud posta a base della condanna inflitta a Yeshua, fanno eco altri passi presenti nella letteratura rabbinica e nei vangeli recanti argomentazioni convergenti sulle medesime accuse:

“… I Giudei gli risposero: “Non ti lapidiamo per un buona opera, ma per bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio””

Nella “Tholedot Yeshu” si fa chiaro riferimento all’esercizio, da parte di Yeshua, di magie e sortilegi posti in essere per apparire in veste divina. A tali “prodigi” accenna anche il Quarto Vangelo:

“… I capi dei sacerdoti e i farisei, quindi, riunirono il Sinedrio e dicevano: “Che facciamo? Perché quest’uomo fa molti segni miracolosi. Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui””.

Ravvisando peraltro negli stessi il pericolo di quel coinvolgimento popolare visto dal Talmud come corruzione della Nazione:

“… Mar disse: Gesù sedusse, corruppe e distrusse Israele”.

Perfino la pazzia accennata nel Talmud:

“… Era un pazzo, e noi prestiamo attenzione a quello che fanno i pazzi. Il figlio di Stada, il figlio di Pandira, ecc” Schabbath, (fol. 104b)

Trova un eco nel Vangelo di Marco:

“… I suoi parenti, udito ciò vennero a prenderlo perché dicevano: “E’ fuori di sè””.

Come già evidenziato anche Celso si riferì all’Egitto a proposito dell’apprendimento da parte di Gesù di “certe facoltà”, mentre il Vangelo di Matteo che come gli altri nomina a sproposito persone reali e si riferisce ad eventi camuffati che vengono spostati in tempi diversi da quelli nei quali avvennero e riduce ad un brevissimo periodo la permanenza della “Sacra famiglia” in terra egizia (dall’ultimo periodo di Regno di Erode il Grande fino agli inizi di quello di Archelao), ma tace ( come gli altri Evangelisti) su tuttu i successivi anni di vita di Gesù sino all’inizio della sua missione pubblica.

L’accennata “strategia narrativa” offusca e mistifica la verità senza mai sopprimerla del tutto. Ecco perché, tanto per rimanere al Vangelo di Matteo, parlando della natività si narra della visita dei Magi, oscurando così un singolare riferimento al Talmud alla conservazione da parte di Yeshua, delle formule magiche apprese dagli egizi nonostante la volontà contraria dei Magi:

“… I Magi, prima di lasciare l’Egitto, prestarono particolare attenzione a che la loro magia non fosse messa per iscritto per evitare che altri la imparassero. Ma egli aveva escogitato un nuovo modo di scriverla nella pelle, o di fare dei tagli nella pelle inserendovela. Quando le ferite si rimarginavano, non era possibile vederne il significato”.

Giancarlo Tranfo: La Croce di Spine (Pag. 207-208-209)

 
 
 

Santo Stefano

Post n°14 pubblicato il 26 Dicembre 2013 da otto8dgl1
 

“… Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo… di grazia e di fortezza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo… sorsero allora alcuni della Sinagoga, sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso e lo trascinarono davanti al Sinedrio” (At. 6, 4/13).

Stefano, dopo aver raccontato l’Antico Testamento (quasi tutto) agli Ebrei, membri del Sinedrio riuniti in assemblea, così conclude:

“… O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo, come i vostri padri, così anche voi. Quali dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto (Gesù), del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano degli angeli e non l’avete osservata”.

All’udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e “Gesù” (lo nomina l’evangelista) che stava alla sua destra (lo Spirito Santo sta a sinistra) e disse:

“… Ecco, io contempli i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”.

Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori dalla città (Gerusalemme) e si misero a lapidarlo…” (At. 7, 51/58).

In questo Atto del Sinedrio, come in tutti gli altri riportati negli “Atti degli Apostoli”, l’evangelista ignora che tale Organo per potersi riunire, era necessaria la presenza di un FUNZIONARIO IMPERIALE DI ROMA il quale, prima della convocazione, voleva conoscere gli argomenti ed avvalersi del diritto di approvarli o meno.

Siamo a Gerusalemme dopo l’uccisione di “Gesù” e qualsiasi Prefetto, in ottemperanza al “ius gladii”, aveva il dovere di avocare a se il potere di mettere a morte o meno l’imputato. Un “potere” esercitato da un funzionario che doveva rispondere dell’ordine pubblico in un’area dell’Impero soggetta a sommovimenti popolari rivoluzionari.

Ecco perché uno storico ha il dovere di affermare che questo “martirio” è un falso, peraltro sceneggiato in modo ridicolo.

Quando il presunto “Luca”, molto tempo dopo, descrisse il “martirio” di Santo Stefano, essendo un “Padre”, quindi non obbligato ad andare in guerra, non sapeva nulla del diritto romano e non gli interessava né studiarlo né approfondirlo, non ne aveva bisogno. LORO dovevano creare martiri cristiani gesuiti per “dimostrare” con il loro sacrificio che “Gesù” era effettivamente esistito nel I° secolo: poiché da qualcuno bisognava iniziare, il primo fu appunto “Santo Stefano.

Il candidato martire, prima si esibisce con miracoli e prodigi tra il popolo, ma la folla (erano Ebrei) anziché ringraziarlo o difenderlo lo LAPIDA!

I Giudei rappresentavano per il “cristianesimo nascente” il Male peggiore che si potesse concepire, non credevano nell’Avvento di Gesù Cristo: per loro il Messia doveva ancora venire.

Quella di Luca in effetti, è una testimonianza tutto sommato utile per noi oggi: la sceneggiata di una riunione del Sinedrio senza senso. Essa è convocata con una procedura insulsa, anzi, il Sinedrio è già riunito, come e quando decidono gli Ebrei e al suo interno si evidenzia l’accusa, stupidamente anti-giudaica rivolta contro di loro, ripetuta nei Sinedri e in tutte le Sinagoghe, incolpati dell’uccisione di “Gesù” e facendo ricadere sulla testa dei loro figli la maledizione eterna per averne “versato il sangue”.

Si, gli “Atti degli Apostoli” sono una sequela di “skech” puerili e di dubbio gusto, citati da “storici genuflessi” addirittura riportati nei testi scolastici in riferimento a questo o quel personaggio veramente esistito, allo scopo di legittimarne la credibilità, ma guardandosi bene dal far conoscere ai fedeli le vicende in cui vengono coinvolti. Pertanto siamo proprio noi, atei, a raccomandare ai pii credenti di leggersi personalmente a casa loro, il testo originale, riflettendo prima di mettersi in ginocchio davanti a statue, simulacri di Santi e Martiri o prostarsi al cospetto dei loro preti inventori!

 

Di Emilio Salsi: Giovanni il Nazireo detto “Gesù Cristo” e i suoi fratelli (pag287/288).

 

 
 
 
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