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Nei giorni successivi qualcuno dei compagni che mi avevano sentito mi chiese di cantare. Prendemmo a riunirci, quando eravamo stanchi di ruzzare, nell’angolo del terrazzone opposto a quello della vigilante, sedendoci in cerchio e allontanando i molestatori. E le canzoni preferite dai miei compagni non erano quelle dell’oratorio o della battaglia del grano, imparate da Ulda. Essi rimanevano a bocca aperta quando cantavo i drammoni popolari del paese, come La storia di Adele, La barbiera, Donna Lombarda. La più richiesta, da quei figli della guerra, era la prima: Cara Adele, ti lascio in un pianto. Io parto e vado ai confini. Ti raccomando i miei cari bambini… Diffido di tutte le suore e mi sono tutte antipatiche. Abituato a fare l’esame di coscienza, ho sospettato che si possa trattare di un pregiudizio, derivato dalla negativa esperienza. Da adulto, però, non ho mai incontrato persona che, vissuta nell’infanzia in un istituto religioso, non abbia le monache almeno in antipatia. Certo, anch’io ho sentito parlare (anzi,non ho mai sentito altro) delle suore missionarie e delle buone crocerossine, che si sacrificano per il bene dell’umanità. Ci ho creduto, come tutti e più di molti; tanto da coltivare poi quell’ideale. E credo ancora che qualche suora possa sentire la vocazione umanitaria, come altre persone non religiose. Ma non ho mai conosciuto una Teresa di Calcutta. Solo qualche suora, per lo più tra le giovanissime, meno arida delle altre. Mentre ho conosciuto tante suora Agnese, suora Artura e suor MariaTeresa. Né basta la loro ignoranza della pedagogia a spiegarne non dico il comportamento, ma la stessa condizione. Della prima ho già parlato troppo. Suora Artura era una virago dalla voce stridula e l’accento ciociaro; essendo alta, aveva una cintola di cuoio più lunga. Quando entrava lei in camerata (e per un certo tempo vi entrava quasi tutte le mattine), ci veniva la tremarella, qualcuno scappava al cesso, c’era chi cominciava a frignare prima ancora che la suora arrivasse a lui. Passava letto per letto, rivoltando il lenzuolo; e quando vedeva la macchia d’orina, prendeva il malcapitato, gli tirava giù calzoni e mutande e faceva schioccare la sua cinghia sulle chiappette nude, talvolta lasciandovi i segni. Inutili i pianti, per chi era stato tanto cattivo da lasciarsela scappare nel sonno. |
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