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Pescia 8.7.1952 Cara mamma… com’è e come non è, le vacanze si avvicinano. Come tutti gli anni, verrò in vacanza verso il 24, ma in un’altra lettera ti indicherò il giorno esatto e l’ora; per adesso intanto metti mano alla borsa perché mi occorrono per il viaggio 2.500 lire … Le vacanze del ’52 furono purtroppo funestate dall’aggravarsi della tubercolosi che lo zio Dante aveva contratto in guerra. Non fece in tempo ad averne il riconoscimento. Il minore dei fratelli della mamma sarebbe morto il 1° novembre successivo, lasciando la sua Giuseppina, venticinquenne, con due marmocchi. La storia di mia madre si ripeteva. Quando ne parlai con qualcuno dei superiori e ne ricevetti in risposta la frase scontata “Sia fatta la volontà di Dio”, cominciai a domandarmi: volontà di Dio? Ha così poca fantasia nostro Signore? E fossero finiti là i guai di zia Giuseppina! Per me una vacanza d’imbarazzo e d’angoscia. Anche nell’estate del ‘53 ci concessero una decina di giorni a luglio; una visita triste e scialba come quella dell’anno precedente, caratterizzata dall’assillo del dove andare a cacare, ora che era escluso il poterlo fare in compagnia. Alla fine del quinto anno (e per i tre anni successivi) niente visita a casa: il corredo ce l’avrebbero dato loro. Ci isolarono dal gruppo dei grandi, concedendoci piccoli privilegi, anche nel mangiare, perché cominciassimo a sentirci inseriti nella Congregazione. Era il 1954. Nasceva la televisione in Italia. Una sola volta ci fecero scendere in un oratorio della città a vederla per qualche minuto. A giugno avevamo sostenuto presso il liceo ginnasio Pacinotti di Pistoia l’esame di idoneità al liceo classico. Di una quarantina che eravamo in prima media ne eravamo rimasti nove in quinta ginnasiale. Trovammo inoltre una Commissione Esaminatrice particolarmente dura con i privatisti: con bassi voti nelle sufficienze, per la prima volta fui rimandato a ottobre, non ricordo in che materia. E fui l’unico rimandato: gli altri furono tutti bocciati. Ricordo di aver fatto un brutto tema, infarcito di retorica pretesca. Forse per questo l’esaminatore d’italiano ci definì “manzoniani”. E dire che eravamo “I Pessimisti”. Avevo diciassette anni. Non ero né religioso né paìno, nè bambino né adulto, né pesce né carne. E mi ero sentito al tempo stesso infastidito e gratificato dalla concessione dell’occorrente per radermi dal viso (non ricordo esattamente quando) la prima peluria. |
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