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Io solo potevo capire quale era il motivo reale del mio impaccio con le donne; un motivo che non avrei mai confidato a nessuna: ero ancora un chierico, sessualmente e sentimentalmente represso. Che la manifestazione del desiderio fosse sempre gradita alla donna fu per me una rivelazione; che mi rese un po’ più disinvolto e disinibito. Ma non completamente. E rimanevo troppo affamato di sorca, per cercare altro nella femmina.
Da quando mi ero iscritto all’università, al paese cominciarono, un poco per augurio e un po’ per gioco, a chiamarmi Avvocato, come sono chiamato tuttora. Ma mi sentivo del tutto estraneo al mondo accademico come lo sono adesso a quello forense.
Conobbi l’Herbert Marcuse di Eros e civiltà, mentre avrei dovuto aspettare il 1964 per quel L’uomo a una dimensione che divulgò tra gli studenti l’analisi della società dei consumi. Ma furono difficili entrambi per la mia comprensione: la civiltà della liberazione e il consumismo esistevano nelle case dei Caccola e dei Capanna; ma al mio paese non c’era niente da consumare; era stato scavalcato dalla rivoluzione industriale e non era nemmeno un paese contadino. Era un paese di braccianti (anche i pastori stavano scomparendo), precari per nascita, che vivendo del provento occasionale delle loro braccia, non avevano né una terra, né un posto di lavoro da difendere; non avevano neanche un padrone da odiare. Partivano la mattina all’alba inzeppati su autobus strapieni, della concessionaria privata; e tornavano a notte. Il padre di famiglia, pendolare più abituale, rincasava talmente stanco che non aveva parole né per la moglie né per i figli; ma l’osso servito per il sugo o per il brodo toccava a lui, che aveva bisogno di recuperare energie.
Ne parlavo con Livia De Angelis, segretaria della Federbraccianti nella Camera del Lavoro di Roma, una grande combattente. Cominciavo a conoscere donne vere. Quella compagna fu la prima donna di fronte alla quale sentii la mia inadeguatezza. Lei, invece, mi propose subito per il Comitato Direttivo Provinciale della Federazione.
A novembre organizzammo in tutta la Sabina romana il primo sciopero delle livarole, per portare la paga giornaliera delle raccoglitrici di olive a 500 lire; perdere per un giorno quel provento significava per qualcuna rinunciare al pane. Ero così inserito di fatto (sempre senza alcuna retribuzione, da militante) nella lotta di classe. Non tra i contestatori che si dicevano alienati dal consumismo, ma tra gli alienati dalla povertà.
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