Creato da anonimo.sabino il 06/09/2006

L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

 

ARRIVANO I NOSTRI - 14

Post n°2089 pubblicato il 11 Febbraio 2016 da anonimo.sabino
 

 

“Tu come mi vedi, nel tuo universo?” Antonietta non rinuncerà mai a provocarmi su questi temi.

 

“Come una stilla di gioia”. Ho fatto centro: è soddisfatta. “E me, come mi vedi tu nell’universo?” domando a mia volta. Rimane perplessa, non sa cosa rispondere. Provo a suggerire: “Un atomo di luce… Una nota musicale…” Poi lei si decide e arriva, come sempre, la risposta tutta sua:

 

“Per me tu sei l’universo. Tu e le nostre monelle”.

 

Mi fa piacere che per lei sia così, anche se io non mi sentirò mai al centro dell’universo, ma nell’ultimo angolino, a svolgervi un ruolo tanto modesto quanto necessario, quello di contribuire, insieme con altri innumerevoli atomi di vita, a farlo esistere.

 

Avremo un futuro? Il coraggio di saperlo non mi mancherebbe di certo. Ma in proposito non posso fare altro che opinare. E diventerò antipatico, se non lo sono già; ma non rinuncerò, a questo punto, a prendermi il lusso di dare voce al profeta pagano che in me non cede al razionalista, a rischio di pretare: se la scienza concorda con la filosofia nella constatazione che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma perennemente, perfino la massa in energia e viceversa, lui, il mio profeta, pensa che l’avremo, un futuro, nell’universo immenso ed eterno di cui siamo parte. In che modo si trasformerà la forza vitale che è in noi? Probabilmente non lo sapremo mai; e se lo sapremo dopo, non potremo tornare alla scrivania per raccontarlo. Ma chi conservi come lui il senso paganamente religioso della vita può ragionevolmente opinare che la nostra futura condizione dipenda dal personale contributo dato ora alla gioia o alla pena di vivere...

 

Così sia.

 

----- ***** -----

Scritto a Monteflavio nel 2004

Finito di rivisitare per il blog nel 2016

 

 
 
 

ARRIVANO I NOSTRI - 13

Post n°2088 pubblicato il 10 Febbraio 2016 da anonimo.sabino
 

 

L’anno scorso è morta mia madre, a novantasei anni. Era tornata a Monteflavio fino all’ultimo anno, quando la forzammo a stare con noi a Roma a turni mensili. Sempre autonoma e lucida, dalla finestra o sedendo al sole con le comari non si perdeva né un matrimonio né un funerale.

 

“La giovane cerchi di comparire, l’anziana di non scomparire”.  E diceva ridendo che le spettavano anche gli anni di Ottavio.

 

Aveva perduto da ultimo solo la memoria recente: la sua mente era un vaso stracolmo che non poteva ritenere altra goccia; ma non aveva perduto né la voglia di vivere, né il pungente sarcasmo. Come nonna Annarella, mia madre viveva e non desiderava altro che la vita, per sé e per i suoi, mentre guardava con serenità alla morte, acquistando il suo loculo nel camposanto e tenendo riposti “per la morte” un paio di scarpe lucide e un vestito nuovo ben stirato.

 

In quei miei colloqui con la morte, fatti con la stessa pagana serenità che ho visto nella mamma, tornavo sulla domanda che agita come spauracchio il pretame, consapevole di appressarmi all’ultima e più interessante esperienza della vita: che ci stiamo a fare al mondo?

 

Che domande stupide ci impone la nostra formazione religiosa! E che risposte suggerisce! “Dare gloria al Creatore”... Io non ho mai preteso di dare gloria a un dio; come non potevo ricevere io una qualche gloria da vermi e formiche, con tutto il rispetto per loro. Ma trovo semplice ed esaustiva la risposta rinvenuta dal profeta pagano che ha sempre scalpitato nei miei ventricoli cercandovi un varco: stiamo al mondo perché siamo il mondo; non vi siamo piovuti dal nulla per grazia divina; né altrove ce ne andremo, essendo parte della vita, eterna e infinita, dell’universo e rappresentando, per quanto ne so, un momento piccolissimo ma essenziale del suo eterno divenire.

 

“Tu saresti un pagano?” mi fa la mia Onne. Ma non vuole leggere la mia Divina Tragedia, ormai terminata.

 

“Sì. Il cristianesimo è servito ad espropriare gli umili, i suoi fedeli, relegandoli in una città celeste, in modo che la terra continui ad appartenere a quelli che si sentono padroni del mondo”.

 

“Ma il paganesimo non ha i riti satanici e quel casino di Dei?”

 

“E’ stato il cristianesimo ad attribuire i suoi orrori ai pagani per screditarli. Ma in nessuno scrittore pagano troverai nominati diavoli o diavolerie. E gli Dei sono per il pagano le forze della natura, che ci assistono o ci osteggiano, ma mai ci annullano. Noi stessi siamo circostanze di una vita universale che era prima di noi e resterà dopo di noi; ma che senza di noi, di ognuno di noi, non sarebbe la stessa. Certamente, come particelle dell’universo, possiamo essere stille di mosto o gocce d’aceto…”

 

“…Con la possibilità di passare da uno stato all’altro”.

 

 
 
 

ARRIVANO I NOSTRI - 12

Post n°2087 pubblicato il 09 Febbraio 2016 da anonimo.sabino
 

 

“Quelle che mi danno da pensare sono le avversioni che ho incontrato”, confidavo a mia moglie.

 

“Eh sì, cominciando dal trattamento che ti hanno usato i ministri di sinistra per il cui arrivo ti eri tanto battuto”.

 

L’avevo chiesto allo stesso Berlinguer, quando, non più ministro, lo rividi a Teramo, partecipando a un’ultima tavola rotonda in occasione dell’inaugurazione dell’anno scolastico, davanti alla TV locale.

 

“Perché”, gli chiesi poi a quattr’occhi, “mi hai spedito a Perugia?” Rimase sorpreso e non mi seppe rispondere. Credo che non lo ricordasse; forse non ci aveva fatto caso…

 

“Non ti conoscevano?” proseguiva Antonietta: “Ma i compagni del ministero non ti conoscevano più nemmeno loro? O erano condizionati?” Mi provocava: “Vie’ qua, Avvoca’! E lasciamo perdere il bene e il male: cosa li condizionava, secondo te? Ignoranza? Paura?” insisteva ironica. “O deformazione professionale…?”

 

“Cazzo! Mi diventi anche sofista?” Lei rideva.

 

“Rispondi, dai!” Non era così facile.

 

“Preferisco non saperlo. E’ nel mio atteggiamento che devo cercare se c’è qualcosa di sbagliato. O comunque di diverso”.

 

Il mio comportamento, in effetti, era diverso; non solo da quello del magistrato che pur non conoscendomi aveva cercato di farmi più male possibile, presumendo anzi che fosse quello il suo dovere di procuratore; ma anche rispetto alle manovre di qualche compagno.

 

“Dipende dalle scelte che si fanno”. Antonietta non aveva dubbi su questo. “Saranno scelte condizionate, come dici tu. Però… Ci fai caso che hai avuto sempre avversioni dall’alto; mentre sei stato amato dal basso? Io lo so che è stata una tua scelta”.

 

“Lo sai che qualche volta ci azzecchi proprio?” L’ostilità rispondeva alla mia. “Ma pensi che sia giusta, Onne, la mia scelta?”

 

“Per me è giusto e bello tutto quello che fai… Quasi tutto”, aggiunse allusiva. “Sarà che sono sempre innamorata…”

 

“Lo dici con quella faccia?” E le ripulivo lo sbaffo di farina.

 

Ricordo che una volta Sabatini mi definì, manco tanto scherzosamente, un anarcoide. In realtà ho sempre considerato il potere e la libertà come due aspirazioni antitetiche: Dio e il diavolo. E scelsi il diavolo quando ebbi constatato che la Somma Onnipotenza, massima esaltazione del potere, non poteva essere la Somma Bontà, in un mondo di miserie. Sì, era stata una mia scelta; forse una scelta di cultura e d’intelligenza, se un Seneca, che era stato più vicino di me ai vertici del potere, l’aveva fatta prima di me: Non c’è potere che l’intelligenza possa tollerare e che tolleri l’intelligenza.

 

 
 
 

ARRIVANO I NOSTRI -11

Post n°2086 pubblicato il 08 Febbraio 2016 da anonimo.sabino
 

 

Colleghi, ispettori e collaboratori mi salutarono nella baita appenninica che ci aveva visti varie volte attorno a tavolate di polenta o a grigliate di braciole. Lassù l’archivista capo Marcello Pietrangeli di Massa D’Albe mi dedicò il suo ultimo madrigale:

 

…Ricordo ancor quando dovevi arrivare

 

e già di te si sentiva parlare.

 

Qualcun diceva: questo lo conosco,

 

porta il codino, l’orecchino, è losco!

 

Un giorno invece arrivi all’improvviso

 

con uno dei tuoi doni, il tuo sorriso;

 

giacca a tracolla, camicia sbottonata,

 

caro De Mico sei na cannonata…

 

Il nostro Fabio di nulla difetta,

 

usa ugualmente penna vanga e accetta.

 

Ma la sera al chiarore della luna

 

si trasfigura ancor per sua fortuna:

 

lo vedo lì seduto in veste bianca,

 

cinto d’alloro e la penna mai stanca.

 

Ogni giorno con lui c’è da imparare,

 

motti latini e persino a lavorare…

 

Quanti banchetti, quanti pranzi insieme,

 

cose che ricordar sempre conviene;

 

con la voce sapeva modulare

 

arie in voga e folclore popolare,

 

trasportando nel mezzo del banchetto

 

nella Roma di Trilussa e Tintoretto...

 

E nell’ufficio un’aria gioviale,

 

certo meglio di questo madrigale…

 

Lo strano effetto che mi fece l’abbandono del posto fu il sentirmi uomo, uomo e basta, alieno a burocrati, sbirri, magistrati, autorità religiose e civili. Primo, secondo, terzo, quarto o ennesimo potere. Potere. Un male necessario? Strutture forse necessarie, finché la civiltà umana resterà ancorata alla ideologia della competizione. Mi ritrovavo a domandarmi, da musicofilo, quale fosse stato il tono della mia vita; che è, nella vita civile, il rapporto con il potere.

 

Mi aiutava più di quanto lei stessa non credesse la positiva e concreta intelligenza di Antonietta:

 

“Ti puoi vantare di non aver permesso alle circostanze di determinare la tua esistenza: sei riuscito non solo ad essere sempre te stesso, ma ad essere qualcuno, come si dice, facendoti da te. E manco t’ha aiutato la fica di casa!”

 

 
 
 

ARRIVANO I NOSTRI - 10

Post n°2085 pubblicato il 05 Febbraio 2016 da anonimo.sabino
 

 

 Conferendo ai presidi con la qualifica dirigenziale un potere pressoché assoluto sul loro feudo, la riforma Berlinguer non li emancipava dalla burocrazia. Oltre a moltiplicare i costi di una gestione amministrativa sminuzzata, sovrapponeva agli istituti autonomi un mini ministero regionale, cioè proprio una struttura burocratica, in luogo dei responsabili coraggiosamente configurati dall’ordinamento ottocentesco.

 

Personalmente non mi sarebbe dovuto dispiacere, dato che molti mi davano per il più quotato candidato alla funzione di direttore generale regionale, per il fatto di essere già il sovrintendente, per la sicura professionalità e, se ce ne fosse stato bisogno, per il trascorso impegno politico e sindacale. Avrei comunque sconsigliato quella riforma al ministro marxista (o post marxista?): la burocrazia non è il provveditore, ma fanno la burocrazia le norme dalle quali è vincolata qualsiasi dirigenza, la volontà politica che le ispira e i sottostanti interessi che dietro il suo schermo un marxista dovrebbe individuare.

 

La nomina dei “governatori” regionali della scuola coincise casualmente con la nascita dell’Unione Europea; che guarda caso si sarebbe subito espressa in una costosa e improduttiva burocrazia. Eventi che mi colsero nella convalescenza dall’infarto. E a qualcuno non parve vero potermi dare per spacciato. Fatto sta che il compagno De Mauro, subentrato a Berlinguer, pressato dai soliti elefanti della politica (nulla avevamo fatto per conoscerci), mi preferì addirittura un destrorso; che poi non fu il solo, tra i “governatori” della scuola.

 

Non fu adottata alcuna norma transitoria che provvedesse, come sempre, alla tutela delle posizioni e delle professionalità acquisite: provveditori e sovrintendenti dovevano sparire e basta. E i sovrintendenti ebbero una retrocessione ope legis, la prima nella storia del pubblico impiego. Mi trovai così a dipendere da un ex provveditore che, sia pure come secundus inter pares, era dipeso da me e mal celava il conseguente imbarazzo.

 

“Pensa alla salute, papà”, mi dicevano anche Lucilla e Sabrina, ridiventate affettuosissime dopo gli sbandamenti adolescenziali. E me lo ripeteva Antonietta.

 

“Ci penso, Onne: non ho mai tenuto alla carriera burocratica e non mi ammalerò per il modo in cui finisce. Mi preoccupa assai di più vedere questo governo di vecchi comunisti e pacifisti smanioso di andare a fare la guerra. E a chi? Alla Jugoslavia. Beh, sì che mi rode”.

 

Potevo restare altri due anni, dopo il 65°. Ma a fare l’emerito del tutto superfluo? E ho scelto il pensionamento alla scadenza dei 65 anni. Con l’amaro in bocca, non per la brutta conclusione di una vita burocratica mai amata, ma per la morte di tante illusioni.

 

 
 
 


 

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