Creato da anonimo.sabino il 06/09/2006

L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi di Giugno 2015

IL NOVIZIO - 12

Post n°1934 pubblicato il 30 Giugno 2015 da anonimo.sabino
 

Sul finire dell’estate, una seconda estate senza rivedere il paese, spalancando dopo il tramonto le finestre della cella all’aria vespertina, lasciavo che vi entrassero le note suadenti dell’Internazionale, che giungevano di lontano da un qualche festival dell’Unità in riva al lago.

E infine anche quell’anno di inutile tormento passò.

Fu il padre Arrigoni a “consigliarci” di invitare i nostri familiari alla cerimonia della professione dei voti religiosi. Sapendo che cosa significasse un suo “consiglio”, ne scrissi alla mamma nella certezza di una risposta negativa. Ma lei, che non mi vedeva da due anni, costi quel che costi, non resistette all’invito. Con la mamma partì Vanda (si era fatta bellissima), in prima mattina da Monteflavio, per arrivare a sera a Milano e il giorno appresso a Somasca. Ma io non le vidi se non dopo la cerimonia: vivevo ancora in regime di stretta clausura.

Professai i voti temporanei, impegnandomi a una prova generale della vita di rinuncia che avrei poi dovuto abbracciare, dopo il liceo, con i voti perpetui di povertà, di castità e d’obbedienza. La cerimonia, invece, per quanto solenne, si riduceva per noi alla sostituzione della cintola con una fascia rigida di stoffa e a depositare sull’altare, dopo averla letta, la professione scritta di nostro pugno, di rinunciare all’indipendenza, all’amore, alla libertà: di rinunciare alla vita, per morire al mondo e intraprendere il cammino della perfezione.

Benché la mia decisione fosse sempre legata al proposito di studiare fino a poter fare poi la scelta giusta, era una delle occasioni che m’imponevano di domandarmi se o fino a che punto fosse già quella una scelta e quanto mi ci avessero condotto circostanze del tutto estranee alla mia volontà. La risposta non venne.

Il Padre Temofonte, presente tra le autorità religiose dell’Ordine, non trattenne la lacrimuccia. E anch’io, dopo la professione dei voti ad triennium, chiesi un miracolo a Gesù e alla Madonna degli Orfani del nostro santuario; sì, il miracolo necessario per rimanere fedele a quei voti, fortemente incredulo sul voto di castità.

Vanda mi disse che c’ero bello, vestito da prete; e non aggiunse altro. La Maria americana, alla quale avevo scritto più volte, mi aveva mandato in regalo l’orologio (regalo prezioso, a quei tempi). E la mamma, visibilmente commossa, continuava a ripetere:

“Beh, un figlio prete può forse valere quanto un figlio avvocato… Tu però fa’ ciò che ti senti di fare. L’importante” (mi sembrava di risentire nonno Angelo) “è completare gli studi. Poi deciderai”. 

 
 
 

IL NOVIZIO - 11

Post n°1933 pubblicato il 29 Giugno 2015 da anonimo.sabino
 

     Quell’estate morì il Padre Cortellessi. Benché la luna entrasse a spiare curiosa in cappella, non senza una certa paura noi novizi ci alternammo nei turni di veglia al suo feretro.

     Era il primo morto che vedevo. Aveva l’apparenza di uno che dormisse, ma mi metteva i brividi l’idea che la sua anima stesse davanti al tribunale divino o in giro da qualche parte, probabilmente in procinto di scendere al Purgatorio.    

     Lo ringraziai comunque per avermi confessato più volte senza farmi prediche, forse senza sentirmi neppure; e gli chiesi con coraggio, a lui che non aveva né parenti né amici, avendo rinunciato a questa vita per l’altra, di venirmi a rivelare, come cambio di favore tra organisti, se esistesse davvero un’eternità individuale in altri mondi o se gli uomini non siano determinazioni momentanee di una vita universale che continuerà per sempre quaggiù… (“E non avresti paura?” “No, di te non avrei paura”).

     Non era mai morto in me il pagano sentimento di una mia partecipazione a una vita universale, che non mi sovrastava, ma aveva bisogno del mio contributo e per questo mi aveva confezionato; non solo cioè di essere una piccolissima e necessaria parte di un’essenza infinita, come le gocce d’acqua per il mare, ma momento essenziale del suo eterno divenire, fatto di nascita e di morte dei singoli elementi. E quel sentirmi nell’abbraccio di una vita universale e infinita, benché mi rimpicciolisse, mi rasserenava, dandomi una funzione; mentre mi annichiliva l’idea cristiana della mia inutilità, più di quanto non mi angosciasse l’altra, del premio o del castigo che mi attendeva nell’eternità.

     Il Provinciale lombardo venne ad officiare i funerali di Padre Cortellessi ed io gli intonai il liturgico torbido In paradisum: Gli angeli ti scortino in paradiso; al tuo arrivo ti ricevano i martiri e ti accompagnino nella città santa di Gerusalemme. Il coro degli angeli ti accolga; e con quel Lazzaro già mendicante, abbi riposo perpetuo.

     Lo seppellirono nella cappella del noviziato, dove tanti della Congregazione avevano lasciato le ossa. Lo sostituì nei suoi non gravi impegni un altro vecchio frate. Nessuno lo pianse e, dal giorno dopo, di lui nessuno più parlò, benché il Padre Provinciale avesse polemizzato, nel sermone funebre, con un innominato anticlericale che ci definiva “persone che s’incontrano senza conoscersi, convivono senza amarsi e muoiono senza piangersi”. No, forse no. Fottuti sì.

 
 
 

IL NOVIZIO - 10

Post n°1932 pubblicato il 26 Giugno 2015 da anonimo.sabino
 

     New Haven, Natale 1954. Carissimo Fabio… Innanzitutto lascia che mi complimenti con te. Bravo Fabio, nel leggere la tua lettera non ho potuto non ammirare il tuo italiano, il tuo senso umoristico nell’esprimerti e la severa preparazione ricevuta negli anni precedenti... Quanto al tuo cu-Gino oltre Atlantico, il tutto potrebbe riassumersi molto brevemente: continuo ad andare a scuola…

     Capivo bene l’entusiasmo di Gino nel raccontarmi la scalata alla laurea in scienze sociali e inglese alla sua non più tenera età. A giugno, quando la prese, mi scrisse di nuovo, allegando il solito obolo, che consegnavo al Padre Arrigoni avendone in cambio il francobollo di risposta. Contemporaneamente al posto telefonico pubblico, appena allora installato a Monteflavio, Gino regalò allo zio Annibale la prima chiamata dall’America.

     Non scrissi mai tante lettere e a tanti indirizzi diversi come da quel truce isolamento.

     Somasca 20.9.1955 Cara mamma, alle belle parole della tua lettera non manca che la notizia della promozione di Franco, ma spero che me la darai presto: penso spesso a lui. Quanto a me, sto sempre bene, grazie a Dio… Il tempo della Lombardia è molto strano, nonostante che i lombardi dicano che quando è bello è bello: piove, fa caldo e fa freddo in uno stesso giorno nello spazio di poche ore… E a Vanda, che mi aveva rimproverato ironicamente la dimenticanza del suo compleanno: Cara Vanda… cos’è un compleanno? E’ un anno verso la vecchiaia; e sapendo che “a donna non si fa maggior dispetto che quando vecchia o brutta le vien detto”, ho pensato bene di mantenere un sacro silenzio su una data tanto infausta… Che prete!

     Padre Temofonte, che riponeva in me grandi speranze, mi rispose:

 Mio carissimo Fabio, m’hai fatto fare alcuni sorrisetti cordiali con la tua ultima temperando il naturale ardore con la religiosa gravità d’un prossimo professo. Vedo che hai fatto un buon cammino e ne ringrazio il buon Gesù e la SS.ma Vergine che adoperano un metodo infallibile nel trasformare le anime care al Signore. Verrò senz’altro a Somasca… Prima sarò a Foligno… c’è da fare un buon affaruccio. Tu capisci sempre l’affare materiale… Ma lo volete sapere che mi costate troppo, tra probandi, novizi e chierici? Transeat hic sermo, redeamus ad coelestia… Reciterò il S. Rosario per te. Ti stringo al petto e ti benedico…

 
 
 

IL NOVIZIO - 9

Post n°1931 pubblicato il 25 Giugno 2015 da anonimo.sabino
 

     Ricordo a mente questa preghiera, perché la recitavamo ogni giorno: Riprenditi, o Signore, tutta la mia libertà; prenditi la mia memoria, il mio intelletto, tutta la mia volontà. Tutto ciò che ho e posseggo me l’hai largito tu. A te restituisco ogni cosa e l’affido interamente al governo della tua volontà. Dammi soltanto il tuo amore e la tua grazia; e sarò ricco abbastanza; né domando altro.

     Bestiale. Tanto più che non riuscivo a togliermi dalla mente l’idea che quel Signore fosse il Padre Arrigoni.

     Ancora una volta mi salvava la musica. A leggere lo spartito avevo già imparato a Pescia come cantore. Mi applicai quindi agli esercizi alla tastiera, subito emulato dal ciociaro Pacioni; che vi riusciva meglio di me, con le sue dita sciolte e affusolate.

     Prima di noi strimpellava l’armonium a Somasca un vecchio padre pensionato, Padre Cortellessi, che spesso celebrava per noi nella cappella. Amavamo le sue messe perché ne saltava la metà e perché non badava a chi facesse o no la comunione. Tra le scartoffie dell’armonium Pacioni trovò una sua composizione: un inno al nostro santo fondatore Girolamo Emiliani, o Miani, che prima di diventare santo aveva combattuto per la sua Serenissima ed era finito imprigionato nel fortino di Quero sul Piave. Benché fosse più vibrante di ardimento che di fervore religioso, la imparammo tutti.

     Il giorno del compleanno di Padre Cortellessi, celebrata come al solito la sua messa e voltatosi verso i banchi per l’Ite missa est, egli rimase con le braccia e con la bocca aperte, nel sentirmi intonare, invece di una delle solite canzoncine, il suo inno marziale. Non riuscì a trattenere le lacrime, mentre il coro lo eseguiva con fedele slancio guerresco; e restò lì in una immobilità estatica finché non si spense l’ultima nota dell’inno:

     Salve Miàn dell’itala / terra splendore e vanto!

Te fra gli eroi magnanimo / esalta il nostro canto;

che già pugnasti intrepido, / ebbro di patrio amor.

Eran le piagge venete / meta d’ostil contesa,

quando lione impavido / corresti alla difesa

e sorpassò la gloria / degli avi il tuo valor.    

     Quasi impossibile soffocare il riso, una volta arrivati con grande sforzo di serietà a quel lione impavido, aiutati dalla consapevolezza di aver fatto  al Padre Cortellessi il più bel regalo della sua vita.

 
 
 

IL NOVIZIO - 8

Post n°1930 pubblicato il 24 Giugno 2015 da anonimo.sabino
 

     Scavato in viso, secco come una canna, gli occhi come due spilli dietro le lenti, quel Padre Maestro esercitava su tutti una sorta di magnetismo che incuteva paura. Non saremmo mai andati a colloquio da lui di nostra spontanea volontà; e quando ci convocava, ci prendeva un’autentica angoscia. Ma era impossibile sottrarsi al suo controllo. Ci vivisezionava a uno a uno fino a conoscere di ognuno qualità e difetti, attitudini, possibilità, amicizie e parenti.

     Si diceva che durante la penitenza il Padre Maestro riconoscesse dallo schiocco il colpo di cintola dato sulla carne e quello assestato alla sedia o al tavolo. Era la flagellazione, diceva, il modo più antico e più efficace di vincere le tentazioni della carne. Per qualche masochista poteva essere un piacere perverso, ma era comunque l’unico sport che ci era dato di espletare.

     Poi una scoperta. E la scintilla. Sulla mensola dell’armonium trovai un metodo e un libro di esercizi musicali. Osai. Al Padre Arrigoni non parve vero che qualcuno volesse imparare a suonare, acquisizione utilissima per la Chiesa. E a me non parve vero trovare il modo di impegnare un tempo che mi sembrava più dannoso che del tutto inutile, oltre che di una monotonia mortale.

     Nel corso di quell’anno qualcuno dei confratelli cominciava a vedere lo Spirito Santo; c’era chi aveva rivelazioni private che lo designavano come il profeta del Terzo Regno; qualcun altro presentava la psicosi contraddistinta dalla sindrome degli scrupoli (tutto era vietato, le cose più futili erano peccato); un veneto non rasentava mai il muro a destra, perché aveva letto che così san Luigi Gonzaga lasciava spazio al suo angelo custode; e un ligure vivacissimo era diventato un mostro di perfezione, tutto lei, grazie, per favore, scusi, sempre pronto a immolarsi, tanto perfetto da essere odioso. Tutti annaspavamo nel buio della repressione dei più elementari istinti vitali. Tanto che a qualcuno fu imposto di ripetere l’anno di noviziato.

     Più di uno, invece, trovò il coraggio o la fortuna di lasciare. Tra i primi il Sergente. Poi l’umbro Balocchi; senza salutare nessuno non certo per volontà loro. Ma la tentazione era in tutti.

     Il Padre Maestro la chiamava la crisi e la riteneva necessaria; diceva di avere l’obbligo di stimolarla, nel caso che non fosse arrivata, perché in quel crogiuolo nascesse dal ragazzo l’uomo cosciente della sua vocazione, deciso a intraprendere, con la vita religiosa, la via della perfezione cristiana e quindi della santità.

 
 
 


 

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