Creato da anonimo.sabino il 06/09/2006

L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi di Luglio 2015

VENERABILIS BARBA - 5

Post n°1956 pubblicato il 31 Luglio 2015 da anonimo.sabino
 

 

Restava il miracolo. Ma i tanti inventati e la logica suggerivano che solo chi riceva direttamente il miracolo avrebbe fede in chi l’ha fatto e non in chi lo racconta: ad ognuno di quelli ai quali dona la fede Dio dovrebbe regalare un miracolo per sorreggerla, anche per questione di giustizia. E poi, si desse pure il caso di assistere a un fatto straordinario, come accertare che si tratti di un intervento divino? “Ciò che la scienza non può spiegare è miracolo”: che baggianata! Anche la scienza è presa come sistema dogmatico assoluto ed esaustivo, anziché come processo di conoscenza che spiega relativamente, ma può arrivare domani dove non arriva oggi. Per san Tommaso era un miracolo da tutti constatabile l’eclissi. Proprio così: era scritto nella sua Summa Philosofica. Ed io mi leggevo quei mattoni.

 

 Avevo bisogno di un miracolo. Ma vero e tutto mio.

 

La mia lettera natalizia di quell’anno era permeata di poesia del focolare, mentre ometteva qualunque accenno al dio che si era fatto carne; era una storia che mi convinceva sempre meno; e non era neanche originale del cristianesimo: sia il Mistero di Mitra che quello dell’idumeo Dusares celebravano il 25 dicembre.

 

I miei studi mi portavano a scoprire come a un Dio onnipotente del Cielo, personificazione sublimata del Potere, assunto per dio nazionale non solo dagli Ebrei, fosse dato ovunque lo stesso nome in varie lingue: Geova, Giove, Zeus, Shiva, Deus,Tihu (dalla radice Dies, Giorno, Sole)… Oppresso poi da vari imperialismi e da ultimo dal colosso romano, il sentimento religioso affiancò al Dio del Cielo (il dio Potere) un Dio Terrestre, che era sceso dalle stelle e da uomo aveva patito atrocemente, per salvare con la sua passione gli adepti: il dio Dolente. Nel Deus Patiens si indiava la pena umana. 

 

Mi diedi a una ricerca affannosa della documentazione relativa a quelle religioni soteriologiche, diffusissime, chiamate Misteri o Misteriosofie, che avevano preceduto e (non sia mai) determinato la nascita del cristianesimo, prestandogli il loro deus patiens. A quelle nuove religioni le iscrizioni mostravano affiliati la maggior parte degli stessi pretoriani.

 

Cercai in tutta la patristica dei primi secoli qualche notizia relativa alla loro dottrina. Mi fu evidente che il cristianesimo si era impegnato soltanto a farne sparire ogni vestigio, per nascondere la sua dipendenza da loro e poter polemizzare facilmente contro il politeismo di Omero o il primitivo feticismo (per poi fagocitare anche quello nello sfrenato culto delle reliquie).

 

 
 
 

VENERABILIS BARBA - 4

Post n°1955 pubblicato il 30 Luglio 2015 da anonimo.sabino
 

Camino 30-10-’57 Cara mamma… sono contento di saperti in buone condizioni e già ben provvista per l’inverno come una previdente formica… Io passo il mio tempo studiando e pregando…

Studiavo e pregavo. Ma già nel libro che si diceva dettato da Dio trovavo una montagna di sfondoni… In principio Iddio creò il cielo e la terra… E non è vero. …Poi Dio disse: “Produca la terra della verdura” …Poi Dio disse: “Ci siano luminari nella distesa dei cieli…” Assurdo, tutto assurdo: che le erbe crescessero prima che fosse creato il sole, che questo nascesse assieme alla luna, che il tutto avvenisse in sei giorni… Ed ecco le interpretazioni, le esegesi che costringono Dio ad adeguarsi all’ignoranza dei tempi e riducono ad una incomprensibile parabola la verità assoluta che ha stritolato i Galileo.

E tuttavia non sarebbero riuscite le singole obiezioni a mettere in crisi la mia fede, ove si fossero appurate le prove della rivelazione. Ma quali? Non la storicità, che non esiste preconfezionata in nessun testo, ma solo e parzialmente nella faticosa ricerca critica. Stendendo un velo pietoso sul cosiddetto consenso delle genti, che hanno accettato tutte le falsità del mondo, restavano le profezie e i miracoli.

Cercai di appurare queste ragioni, profezie e miracoli, dandomi anzitutto alla rilettura della Bibbia, del Vecchio e del Nuovo Testamento e  di tutti i libri dei profeti, dai maggiori ai minori. I profeti erano i  predicatori del tempo: savi di corte quelli di Giudea, fanatici della dinastia davidica (di Isai), perciò raccolti molti sotto il nome di Isaia; quasi tutti d’opposizione, passionali e stravaganti quelli dell’altro regno, Israele; tra il poeta e lo stregone. Mai un solo passo che si riferisse chiaramente a Gesù Cristo, ma chiarissimi messaggi politici, più o meno calzanti.      

Quanto all’unica profezia messa in bocca a Gesù Cristo, bastava chiedersi se  fosse sua o dell’evangelista; ma trattandosi dell’imminente fine del mondo (“non passerà questa generazione”), tanto basta: il mondo è ancora qui.

Le profezie non vanno prese letteralmente, mi si diceva:  bisogna vedervi l’allegoria. Leggere con fede la prova della fede! Bene. Ma le allegorie si prestavano più spesso alla prova contraria: …Io non mi siedo con gli empi, mentre il Gesù dei Vangeli ostentava di sedere con i peccatori; …una cosa ho chiesto al Signore e questa cerco: d’abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, e lui era un vagabondo; …non mi trascinare via coi malfattori, e lui fu crocifisso fra due ladroni; …maledetto chi è appeso al legno. Che di più?

 
 
 

VENERABILIS BARBA - 3

Post n°1954 pubblicato il 29 Luglio 2015 da anonimo.sabino
 

Mantenni l’impegno che mi ero preso di sorbirmi quasi tutti i mattoni della patristica, nella speranza di trovarvi uno sprazzo di luce o almeno qualche testimonianza storica: ma i sant’Ambrogio, i sant’Agostino, i san Girolamo si limitavano ad esaltare come tifosi una fede acritica; gli apologeti a difenderla dalle denigrazioni; nel comune presupposto che un dio si doveva avere. In tutta la civiltà greco romana, come poi nel medioevo, la pietà religiosa era virtù; e la presenza di altre religioni induceva ad aggiungere semmai altre credenze, senza rinunciare alle proprie. Così Roma aveva recepito con coerente ossequio tutte le religioni provenienti dai paesi conquistati, Cristo compreso.

Il primo problema alla pietas venne proprio dalle religioni salvifiche (soterie), detentrici della salvezza in esclusiva; le più fanatiche, quindi; più di tutte fanatica quella cristiana, che condannava ogni altra come idolatria: si definivano i santi, per distinguersi dagli altri, tutti dannati. Ed extra ecclesiam non est salus. Fu l’effetto dirompente del razionalismo arabo a imporre dopo il primo millennio il principio della ragione sufficiente alla base del credere e a costringere la Scolastica a cercare le ragioni della fede. Se gli Avicenna e gli Averroè dell’aurora araba vedessero qualche sciame dell’Islam di oggi...

Inutilmente avevo cercato in Tertulliano, in Giustino, in Origene o nel Crisostomo le ragioni della loro fede. E nella mia vita, prima che nella storia, vedevo come quell’arbitrio volontaristico che fissava  certezze assolute, non libero trastullo della fantasia, producesse intolleranza e fanatismo, impulso alle più atroci aberrazioni della storia della civiltà cristiana, dall’oscurantismo alle crociate.

Letture e prediche mi dicevano che quelle aberrazioni erano non effetti della fede, ma errori e abusi perpetrati in suo nome. E questo argomento sorresse a lungo la mia fede; ma più “abusi” conoscevo, più mi angosciava la loro sistematicità. Le stesse eresie (e tutta la storia del cristianesimo è storia di eresie) non erano che i tentativi continui, disperati, portati avanti dai grandi eretici, di restituire alla fede la sua immaginaria primitiva purezza.

Immaginaria, appunto. Se non era la fede ma l’interesse a muovere conflitti e atrocità,  perché proprio la fede poteva prestare all’interesse la giustificazione di cui aveva bisogno per non apparire come mera sopraffazione? Perché la fede, abbracciata senza una ragione critica, è essa stessa fanatismo e intolleranza. Voltaire aveva già fatto notare che fanatico deriva da fanum, sacello; fanatico vuol dire, etimologicamente, uomo di chiesa.

 
 
 

VENERABILIS BARBA - 2

Post n°1953 pubblicato il 28 Luglio 2015 da anonimo.sabino
 

Solo alla fine di dicembre ricevetti la prima lettera di Vittorio, che ci aveva lasciato nell’estate; e mi fece un enorme piacere, quantunque fosse, al solito, assai poco allegra.

Caro Fabio… In classe a Corato siamo 32 ed è scuola mista. Allora, mi dirai, c’è da divertirsi. Beh, non so cosa dirti. Per me non ho ancora la forza di aggiungere vuoto a vuoto: sono di quelli che vivono buttando pietre ai castelli di carta degli altri e che non intendono fabbricarne uno per dare il gusto agli altri di buttarlo giù… Scrivimi a lungo… e perdonami se in questa non trovi nulla di interessante e tutto inconcludente: ognuno è quello che è. Buon anno. Tuo Vittorio.

Ognuno era quello che era… E lui era il “pessimista” più autentico. Quanto a noi, ci sapeva così emarginati che dedicò un notabene di una pagina al nostro aggiornamento sulla situazione calcistica nazionale.

Io mi ero rituffato nei miei studi personali. Da poeta diventavo topo di biblioteca e precoce pozzo di cultura; lo stornellatore felice di vivere e di vincere la sua battaglia contro la miseria, suo unico problema, si ritrovava filosofo, costretto com’era a districarsi dalla menzogna; costrettovi da chi condannava come vanità e offesa a Dio tutto ciò che l’istinto sentiva come bello e buono: la donna, la libertà, la vita.

Le mie ossessioni razionalistiche sorprendevano perfino me. Ma poeta o no, la poesia della fede senza ragioni non mi seduceva più: una fede abbracciata volontaristicamente e conservata con l’esercizio come virtù, per sua stessa natura, non poteva produrre che gli orrori del fanatismo.

Figuriamoci se non sentivo con Chesterton la poesia del Natale o non apprezzavo con Claudel l’atmosfera mistica delle basiliche cristiane: ancora oggi, per respirarla, entro in tutte quelle che mi capita di visitare. Ma io non ero il Chesterton che, svincolato dalla legge del bisogno, non aspirava che ad emozioni e a raffinate sensazioni estetiche; non ero il Paul Claudel che da ricco borghese sazio di benessere poteva sentenziare a pancia piena sulla necessità del sacrificio. Io stavo provando sulla mia pelle che una fede religiosa non è innocua fantasia: è il sacrificio della intelligenza a un complesso di dogmi, di certezze categoriche abbracciate in luogo della verità; è un sovrapporre alla verità la certezza fasulla attraverso un credere a chissà chi; e poteva comportare, come nel mio caso, il sacrificio non della sola intelligenza, ma della vita stessa.  

 
 
 

VENERABILIS BARBA - 1

Post n°1952 pubblicato il 27 Luglio 2015 da anonimo.sabino
 

8. VENERABILIS BARBA 

Camino 3-7-’57 Cara mamma, sono giunto a Camino l’altro ieri sano e salvo, come vedi, anche se un po’ stanco… Prima di riprendere in mano i libri, mi tiro fuori la veste e vado a dare una mano ai contadini che mietono: per me è un divertimento… Qui fa caldo. Il Po si è ritirato nel suo letto e ormai ci starà tranquillo per molto tempo.

Già dall’inizio dell’estate un altro dei “pessimisti”, Vittorio Coluccia, mi aveva confidato la sua intenzione di lasciare. E ci lasciò.

“Qua ci stiamo prendendo in giro”, diceva. “I Padri sanno che non abbiamo nessuna vocazione e noi sappiamo che la vocazione non esiste”. Con me lui e il piemontese Fiore osavano parlarne.

“I Padri sono stati fregati da piccoli”, diceva Fiore, “e adesso cercano di fregare noi per convincere se stessi”. Concordavo pienamente:

“E’ una vita di falsità, la loro; per questo ci sottopongono a una educazione da giannizzeri”.

Sapevo che il motivo per cui Vittorio aveva lasciato la famiglia non era lo studio, ma il non sentirsi amato. Da ciò derivava la leggera balbuzie. La sua lotta contro quel difetto era ammirevole: facevamo a turno piccole prediche, per imparare a pronunciare i futuri sermoni; e lui non vi rinunciava, nonostante il rischio delle brutte figure.    

Cara mamma… Stanno trebbiando il grano qua sotto e si sente il rumore della trebbiatrice… Lascia che Franco si diverta: a diciott’anni si può essere un po’ scapestratelli…

C’era con noi un ragazzo veneto che, smessi gli studi, si preparava a votarsi fratello laico, unica vittima di quel tipo di “vocazione”. Mi piaceva accompagnare De Marchi in campagna o a ripulire il parco, anche per imparare a portare il trattore; e mi toglievo la veste, con Figone e altri pochi, quando i lavori di campagna richiedevano una mano. Era l’unico modo di essere “un po’ scapestratello” anch’io.

  “Secondo me, tu rimarrai fregato”, dicevo scherzando a Figone.

“Tu, invece, penso di no”, rispondeva schietto, non perché manifestassi più dubbi, ma perché ero ritenuto il più intelligente, con Lomazzi (migliore però di me a scuola); e l’intelligenza era un pericolo; il più intelligente degli angeli, si diceva, era Lucifero. A confortare la mia ragione critica restavano i pochi versi di Lucrezio sopravvissuti al barbaro repulisti cristiano: “penetrare l’universo con il coraggio della ragione”, sfidando “il mostro che incombe dall’alto”.

 
 
 


 

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