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L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi del 15/04/2015

TATA GIOVANNI - 3

Post n°1880 pubblicato il 15 Aprile 2015 da anonimo.sabino
 

     Dal capolinea, in Piazza San Martino ai Monti, scendemmo il Colle Oppio, lasciammo il Colosseo e per le Terme di Caracalla raggiungemmo le Mura, in testa alla mamma l’enorme valigia di cartone: oltre al corredo, l’intuito materno vi aveva stipato un pacco di viveri.

     Tata Giovanni era lì, sotto le Mura Aureliane, a fianco del Viale di Porta Ardeatina, che di notte era il regno delle battone.

     La mamma restò con me finché le fu consentito; e fu cortesemente accompagnata a visitare la camerata e un paio di aule scolastiche. Mentre a Palmira fu affidato il mio bagaglio.

     La vedevo per la prima volta, la “svergognata” del paese: era una donnona semplice e sciatta, paesana, con un’abbondante peluria sul volto e gli occhi chiari della sua “razza”. A differenza di mia madre, più evoluta anche nella persona, parlava ancora in dialetto, con tutti.

     Nel pomeriggio la superiora, pur sapendo che l’autobus sarebbe partito molto più tardi, ci disse in tono affettatamente gentile, ma gelido e perentorio:

     “Adesso è ora che la mamma riparta e che tu raggiunga i tuoi compagni… Mi raccomando: niente pianti”.

     “Non si preoccupi”, la tranquillizzò mia madre: “Fabio non è un bambino che piange”. E a me: “Non è vero?”

     Non piansi.

     La suora mi accompagnò a un terrazzone coperto che sovrastava l’ala più grande dell’istituto. E mi scaricò a una consorella seduta lì a vigilare uno sciame di monelli; che strillavano, rissavano,correvano.

     “Ecco Monteflavio”, le disse. E da allora mi chiamarono con il nome del loro convento. Che non mi dispiacque, anche perché mi evitò l’attribuzione di un soprannome più feroce da parte dei compagni.

     “Va’, va’ a giocare con i compagni!” mi disse quella, liberandosi subito di me. Ed io attraversai inebetito, tra urli e spinte, il terrazzone fino al lato aperto sulle Mura Aureliane e sulla città.

     Là sotto, per il viale tra le mura e il campo sportivo dell’istituto, vidi allontanarsi mia madre, nel suo vestito nero, in direzione di Porta San Paolo, per risalire all’Esquilino col tram. A sei anni dalla morte del marito portava ancora il lutto. Si voltò a cercarmi con lo sguardo; ma non mi vide: superavo solo con gli occhi il parapetto del terrazzone. E neanche io la vidi più, perché mi si riempirono di lacrime represse.

 
 
 


 

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