Messaggi del 29/04/2015
Ripenso sempre con raccapriccio al piccolo Roma (che fantasia, a dargli quel cognome), un biondino gracile e brutto che suora Artura picchiava tutti i giorni. Infine prese il lenzuolo bagnato e glielo mise in testa. Sicché una mattina di quel freddissimo inverno,scoprendo il suo letto, lo trovò asciutto. “Hai visto che la cinghia fa effetto? …Ma dove sta?” Lo trovammo nel cesso, intirizzito. Vi aveva trascorso tutta la notte. Suor Maria Teresa fu la maestra di quarta e quinta. Quasi sufficiente, come maestra, e di bell’aspetto; l’aspetto che mi sarebbe poi venuto in mente leggendo, nel Manzoni, della Monaca di Monza: mi raccontarono che dopo la mia partenza suor Maria Teresa lasciò la vita religiosa, scappando con il bacarozzo, come chiamavano il direttore. Come suora Agnese impersonava la più vile falsità monacale e suora Artura la più cruda aridità, suor Maria Teresa lumeggiava un altro aspetto, senza sottrarsi ai primi due, del carattere tipicamente monacale, la parzialità. E mi è venuto da pensare in modo particolare a lei quando ho sentito, negli anni successivi, parlare del celibato ecclesiastico come della condizione che, liberando dalle cure familiari, farebbe riversare l’amore in Dio e nel prossimo. Ebbene, vivendo per ben tredici anni in ambienti religiosi, ho dovuto constatare che l’amore di Dio non è altro che rancore verso l’uomo e verso il suo mondo. Il rancore mal represso e l’aridità che diventano abituali nella persona religiosa le derivano, credo, proprio dalla rinuncia a una normale vita di coppia, nonché alla maternità o alla paternità. Il fatto sta che il rigurgito del sentimento, insopprimibile,si esprime non nell’amare come propri i figli altrui, ma nella forma distorta del favoreggiamento. Così nel frate e nella suora difficilmente nasce l’amore per una persona, ma è abituale la discriminazione tra le persone. Non c’era sorella (e più tardi padre) che non avesse i suoi cocchetti, anche se vedevo in suor Maria Teresa, giovane sostenuta ma bisognosa d’amore, colei che lo riversava su di noi in modo particolarmente differenziato. E per un bambino non c’è mortificazione più grande che sentirsi discriminato. |
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