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L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi del 15/05/2015

LA VOCAZIONE - 10

Post n°1902 pubblicato il 15 Maggio 2015 da anonimo.sabino
 

     Se con gli anni alcuni di noi presero un po’ d’accento toscano (i bambini prendono subito; ed io in particolare) lo dobbiamo alla Valentina e a suo figlio Fulvio,che era ammesso a giocare con noi, durante la ricreazione, oltre che a due  bimbini della Garfagnana, che pure erano tra i nostri compagni. E così Pescia mi lasciò in dono un pizzico della melodia del suo accento.

     Bella e consistente figura materna, la Valentina ci parlava continuamente pur sapendo che, regola del silenzio a parte, ci era proibito risponderle.

     La regola del silenzio vigeva anche in refettorio e a scuola.

     A colazione pane e caffelatte. A pranzo pasta o riso in brodo di ortaggi; giovedì e domenica pasta asciutta al pomodoro o polenta o semolino appena tinti di rosso; frutta a ricasco. E per placare gli urli dello stomaco, la Valentina ci infornava enormi teglie di farina di castagne, senza alcun condimento. Quell’immangiabile mattoncino di castagnaccio era, quando c’era, la nostra merenda. A cena patate o legumi o frittate, ogni tanto qualche tocco di spezzatino o di carne in scatola.

     Ci si sedeva a tavola recitando la solita preghiera (Benedic nos Domine et haec tua dona…) e ci si alzava dopo aver divorato i magri doni di un Signore alquanto spilorcio al Deo gratias del prefetto, rispondendo in coro Semper; fine della speranza, per lo più vana, che seguisse un secondo piatto o, più frequente, un ripasso del primo. Si era dispensati dal silenzio a tavola nei giorni di festa.

     A scuola dispensava il professore per le interrogazioni e per consentire la domanda a chi alzava la mano. E attraversando la città, per andare al duomo o ad altra chiesa, a solennizzare le funzioni, dovevamo osservare la fila, il silenzio e gli occhi bassi; monito severissimo anche questo: mai guardare le persone. Il prefetto dispensava dal silenzio e ci scioglieva dalla fila in occasione delle passeggiate. Ma non una parola o uno sguardo ad estranei.

     Per le passeggiate uscivamo da una porticciola aperta nelle mura al termine della siepe di mirto, per prendere a monte del Castello e risalire la via tortuosa del Monte di Pescia prima che, aggirando il lato assolato delle mura, scendesse verso Santo Stefano, lastricata ma inadatta alle automobili. Qualche domenica vi incrociavamo le ragazze del Monte, che a piedi nudi, scarpe in spalla, scendevano in città a ballare. Nella loro baldanza, rispondevano ai nostri sguardi furtivi lanciandoci occhiate di compatimento: per i pesciatini eravamo orfanelli. 

 
 
 


 

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