Messaggi del 05/06/2015
Non sarà stato un vizio (in realtà avrei preferito di meglio); ma mi bastava leggere un nome di donna in un libro o vedere una gonna in lontananza, per smanicarmi dovunque mi trovassi, al gabinetto, a letto, perfino in chiesa, con l’angoscia di essere scoperto. E una volta che eri “in stato di peccato”, ripeterlo due e tre volte; e così ogni giorno, fino alla confessione. Tante volte che avrei potuto soddisfare un convento di Orsoline. Alcuni superiori erano chiaramente frustrati, inaridito il loro senso di umanità, rassegnati a una vita che li aveva fottuti. Molti ci riversavano addosso le loro inquietudini, esercitando il potere che avevano in modo bizzoso, parziale; a volte violento, anche se rara era la forma fisica della violenza. Inevitabile il mio scontro con il peggiore dei prefetti, un chierico buzzurro di Carpineto Romano, fratel Cacciotti. Un lungo e violento temporale aveva riempito il cortile interno di un fiume di fango, eroso dall’orto sovrastante.Ci diedero un paio di cassapanche, già pesanti in sé, per riempirle di fango da riportare al suo posto nel grande orto, arrancando sotto il loro peso (eravamo bambini o poco più) e spesso scivolando per le scale e per la salita che portava all’orto pensile. Ero già gonfio di bile per quel compito ingrato, quando la cassa, per fortuna vuota, mi scivolò dalle mani e mi cadde su un piede. Urlai di dolore e non riuscii a trattenere un “Porca puttana”. Il conterraneo di papa Pecci, che dirigeva le operazioni, accorse subito. Per informarsi, supposi, dello stato del piede. Invece mi gridò: “Perché non stai attento? Cretino!” E mi allungò un ceffone. Mi fece più male il “cretino” che il ceffone. Mi avventai a mia volta su di lui; e fu una scazzottata di quelle di altri tempi. Ma ero proprio fuori allenamento, a parte le esitazioni davanti alla tonaca e il dolore al piede: ne presi un bel po’. E, ciò che sarebbe stato peggio per me, quella volta temetti proprio di essere mandato a casa. Invece me la cavai con un castigo: due ricreazioni al muro. Non un castigo ma un dovere di riconoscenza era il servizio che ci facevano rendere a qualche benefattore, di raccogliere le sue olive. Reato, se fosse stato un lavoro. Ma doveva essere un gioco per la frotta di monelli che in file serrate divoravano rapidamente il terreno indurito dal gelo, con le mani nude intirizzite e spaccate dai geloni. |
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