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L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi del 19/06/2015

IL NOVIZIO - 5

Post n°1927 pubblicato il 19 Giugno 2015 da anonimo.sabino
 

     L’unica attività che non rientrasse nella meditazione e nella preghiera erano le pulizie, del santuario e di tutto il convento (tranne la parte riservata alle suore), a cui dedicavamo la prima parte della mattinata, diretti da quello di noi che aveva, a turni mensili, l’incarico di vice decano; mentre il decano decideva i momenti, peraltro preordinati, dei vari passaggi, dalle celle alla cappella interna (distinta dal santuario, che era frequentato da profani), al refettorio, al cortile, alla sala delle ammonizioni; sempre in silenzio. Ridottissima la ricreazione, sporadiche le passeggiate, ancora in silenzio, alla Scala Santa e al vecchio sacello in direzione del Castello dell’Innominato.

     “Chi vuole essere perfetto, prenda la sua croce e mi segua”. Era il motto che il Gesucristo di Tommaso da Kempis aveva assegnato a ognuno di noi; e ad imitazione di Cristo dovevamo crocifiggere non solo i nostri istinti animaleschi e la nostra carne, ma le nostre aspirazioni umane, i nostri più innocenti desideri, la nostra personalità; al solo fine di mortificarci; rinunciare ai piaceri passeggeri, legittimi per il cristiano, per raggiungere la perfezione, la santità, il paradiso, piacere eterno e immensamente maggiore. Dovevamo concepire il sacrificio non come il mezzo a volte necessario per raggiungere qualunque meta, ma come un valore a se stesso: “morire al mondo” per piacere a Dio. E la veste nera sarebbe stata, anche fuori di là, la corazza e il distintivo della nostra rinuncia alla vita.

     E’ noto infatti che la vita umana non solo è tribolata dalla nascita e mal puntellata dal sacrificio volontario, ma non ci appartiene, almeno a noi cristiani: l’abbiamo ricevuta da Dio; e solo in prestito. Perciò sono peccato il suicidio e l’eutanasia. Bella fregatura per il poveraccio, illuso di possedere almeno quella. Così noi al Signore la rendevamo, prima ancora di morire, immolandola sul suo altare; affinché il sacrificio diventasse olocausto, acquistando un suo valore, altissimo, del quale insignirci agli occhi del secolo.

     Essere fiero di venire io immolato al posto del vitello o del capretto che al Dio dei cristiani come agli Dei pagani solleticava le narici mentre lo arrostivano e lo mangiavano i preti; essere l’oggetto di quei casi particolari nei quali il sacrificio era di carne umana, nell’una come nell’altra civiltà… Terribili pensieri sacrileghi che cominciavano ad affacciarsi alla mia mente. Peccati incoffessabili, da cancellare.

 
 
 


 

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