Messaggi del 30/06/2015
Sul finire dell’estate, una seconda estate senza rivedere il paese, spalancando dopo il tramonto le finestre della cella all’aria vespertina, lasciavo che vi entrassero le note suadenti dell’Internazionale, che giungevano di lontano da un qualche festival dell’Unità in riva al lago. E infine anche quell’anno di inutile tormento passò. Fu il padre Arrigoni a “consigliarci” di invitare i nostri familiari alla cerimonia della professione dei voti religiosi. Sapendo che cosa significasse un suo “consiglio”, ne scrissi alla mamma nella certezza di una risposta negativa. Ma lei, che non mi vedeva da due anni, costi quel che costi, non resistette all’invito. Con la mamma partì Vanda (si era fatta bellissima), in prima mattina da Monteflavio, per arrivare a sera a Milano e il giorno appresso a Somasca. Ma io non le vidi se non dopo la cerimonia: vivevo ancora in regime di stretta clausura. Professai i voti temporanei, impegnandomi a una prova generale della vita di rinuncia che avrei poi dovuto abbracciare, dopo il liceo, con i voti perpetui di povertà, di castità e d’obbedienza. La cerimonia, invece, per quanto solenne, si riduceva per noi alla sostituzione della cintola con una fascia rigida di stoffa e a depositare sull’altare, dopo averla letta, la professione scritta di nostro pugno, di rinunciare all’indipendenza, all’amore, alla libertà: di rinunciare alla vita, per morire al mondo e intraprendere il cammino della perfezione. Benché la mia decisione fosse sempre legata al proposito di studiare fino a poter fare poi la scelta giusta, era una delle occasioni che m’imponevano di domandarmi se o fino a che punto fosse già quella una scelta e quanto mi ci avessero condotto circostanze del tutto estranee alla mia volontà. La risposta non venne. Il Padre Temofonte, presente tra le autorità religiose dell’Ordine, non trattenne la lacrimuccia. E anch’io, dopo la professione dei voti ad triennium, chiesi un miracolo a Gesù e alla Madonna degli Orfani del nostro santuario; sì, il miracolo necessario per rimanere fedele a quei voti, fortemente incredulo sul voto di castità. Vanda mi disse che c’ero bello, vestito da prete; e non aggiunse altro. La Maria americana, alla quale avevo scritto più volte, mi aveva mandato in regalo l’orologio (regalo prezioso, a quei tempi). E la mamma, visibilmente commossa, continuava a ripetere: “Beh, un figlio prete può forse valere quanto un figlio avvocato… Tu però fa’ ciò che ti senti di fare. L’importante” (mi sembrava di risentire nonno Angelo) “è completare gli studi. Poi deciderai”. |
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