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L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi del 01/09/2015

MADONNA DELLA STRADA - 7

Post n°1974 pubblicato il 01 Settembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Il giorno dopo, di ritorno dal liceo di Piazza Verdi, lo stesso frate mi accompagnò nel disimpegno attiguo alla cucina, dove su un tavolinetto trovai una scodella di minestra raffreddata. “Certo, non potevano mica aspettare me!”

 

Tutti i giorni successivi, anche quando non mi trattenevano prove d’esame, il mio posto era in quello stanzino, a pranzo e a cena. Quando non ero al liceo o nella biblioteca dell’Università, che cercai di sfruttare al meglio, passavo tutte le ore sui miei appunti, muovendomi soltanto tra la cella, l’anticucina e l’oratorio, dove dopo cena vedevo un po’ di televisione con i parrocchiani, senza conversare con nessuno. Non vidi più Padre Boeris e un paio di vecchi religiosi che incontravo casualmente rispondevano al mio saluto con un “Sia lodato Gesù Cristo”; nessuno mi rivolse altra parola. Ero il cane rognoso, sopportato per carità. Anzi peggio, perché con il cane si cerca di conversare.

 

Dovendo nei miei spostamenti attraversare il refettorio, vi notai un pianoforte, che il fratello spolverava solo esternamente. Un giorno che mi sentivo particolarmente a disagio in quell’isolamento, ebbi l’infelice idea di chiedergli se avessi disturbato qualcuno, a suonarlo un poco. Rispose:

 

“Magari! Chi puoi disturbare qui?”

 

Non trovai spartiti; e a memoria ricordavo soltanto pochi esercizi e qualche pezzo più facile. Ma il giorno dopo, quando mi sedetti al pianoforte, alla stessa ora, il frate mi comunicò che il Padre Parroco aveva ritirato il permesso. E anni dopo, dal primo vecchio compagno che rividi, seppi che al Padre Filippetto fu riferito che spadroneggiavo spavaldamente, suonavo musicacce ed ero incurante del disturbo che davo. Pensare che non uscivo mai dopo cena, per non suonare il campanello al rientro e costringere qualcuno a venirmi ad aprire.

 

Il giorno stesso che sostenni gli esami orali, senza trattenermi per la notte, raccolsi subito la valigia e prima di passare a Sturla, per portare alla famiglia Terzaghi i saluti dello zio Annibale, mi feci indicare lo studio del Padre Parroco e passai a salutarlo.

 

“Io tolgo il disturbo”, gli dissi.

 

“E neanche un grazie?”

 

“Spero di potermi sdebitare, un giorno”.

 

“Ho domandato se merito un grazie”, fece impettito.

 

“Non lo domandi a me. I cani non ringraziano”.

 

E non lo ripagai nemmeno in seguito; non tanto perché seguirono anni di vita grama, ma perché decisi che quella ospitalità l’avevo già pagata fin troppo cara. Troppo… Troppo…

 

 
 
 


 

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