Creato da anonimo.sabino il 06/09/2006

L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi del 23/09/2015

L'AVVOCATO - 8

Post n°1990 pubblicato il 23 Settembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Il paese mi offriva per lo studio la stessa tranquillità dei castelli nei quali ero stato recluso, del tutto scevra di distrazioni. Tranne una: l’esplodere della tecnologia mi consentiva, anche tra i monti, il recupero dell’informazione che per tanti anni mi era mancata.

 

La maggioranza non aveva ancora la televisione in casa, ma ci si accalcava per vederla al bar. Adesso che potevo, ascoltavo volentieri la radio; specialmente la musica classica del terzo programma; e una radiolina fu il primo regalo che mi feci appena ne ebbi l’opportunità. Intanto aumentavano le macchine a disposizione per una puntata settimanale in città. Restavano i pomeriggi al Piano, purché si riuscisse ad allestire le due squadre di calcio e Federico non si riprendesse il pallone;  qualche partita a bocce con Luciano e i suoi amici; e tante serate all’osteria, a imparare lo scopone o a cantare con i vecchi.

 

Al di fuori della stagione estiva e fatta eccezione per qualche serata a sentire musica o a imparare innocuamente il poker e il ramino da Allega, con la brigata di studenti e neodiplomati disoccupati ci si vedeva giusto la domenica, per fare quattro salti con le ragazze del paese, peraltro restie nei nostri confronti, sapendo che d’estate le avremmo trascurate. E quando si presentava l’occasione, si organizzava la puntata a Roma o a Tivoli, per vedere un film di successo o qualche altro spettacolo, con epilogo sempre a puttane.

 

All’amore che avevo sognato, quello eterno, con la A maiuscola,  non osavo neanche pensare: nella condizione di non poter offrire nulla a nessuno, offrivo all’Amore un altro domani.

 

Né il mio stato di disagio e la precarietà delle mie presenze in città mi consentivano rapporti costanti con qualche compagna di studi o con qualcuna delle compagne che ronzavano attorno a Pio Marconi nella FGCI; evitavo di legare, come se ne avessi avuto paura.

 

Fu la terza estate a Monteflavio a portarmi un amore più vero, che perdetti l’inverno successivo. Si chiamava Marisa.

 

Romana, era stata compagna di collegio della monteflaviese Giulia, che avevamo fagocitato nel gruppo dei Filoni. Marisa era venuta a passare qualche giorno in casa dell’amica: e fu un amore quasi istantaneo. Mora e fisicamente sinuosa, mi attraeva irresistibilmente senza essere sfacciata. Capace di tenersi dentro i suoi problemi; simpatica, perché sempre aperta al sorriso; attratta anche lei da me come io da lei: poteva essere la compagna e l’amore che avevo sognato, se a tarpare le ali di cupido non fosse stata lì ad incombere su ogni mio progetto un’arpia laida e crudele di nome Indigenza .

 

 
 
 


 

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