Messaggi del 24/09/2015
Andai a trovare Marisa, tornata a Roma dopo la breve vacanza, tutte le volte che mi recavo all’università e ottenni dai suoi genitori il permesso di farla uscire con me (era ancora necessario, allora).
A casa sua, nei pressi della Stazione Tiburtina andavo a piedi dall’Università, per risparmiare i soldi del tram. Furono tanti baci e tante carezze, tra i cantieri della Tangenziale in costruzione. Ma benché ci desiderassimo ardentemente, qualcosa ci trattenne dall’abbandonarci completamente alla passione amorosa. Non tanto il preconcetto, che pure sopravviveva, che la donna dovesse arrivare vergine al matrimonio, quanto il timore di crearle comunque un pregiudizio, a quei tempi e in quelle mie condizioni.
“Sii onesto”, mi dicevo: “Che cosa puoi offrirle? Chissà per quanti anni potresti vederla sì e no ogni dieci o quindici giorni; stare con lei e non poterle pagare un cinema o un gelato. Sei un disperato. Sii almeno onesto”.
Fui onesto e fesso. Per tutto l’autunno, man mano che le giornate si accorciavano, la notte ci coglieva, nel solito cantuccio appartato, a scaldarci tenendoci stretti in interminabili abbracci. L’amavo. Avrei voluto penetrarla, lei sì, nel corpo e nell’anima. Ma fui onesto: anche lei sapeva che avrei dovuto lasciarla; lo sapeva prima che le esternassi i miei pensieri. Ed io, che mi sarei scopato anche Santa Genoveffa, la lasciai, in una fredda giornata d’inizio inverno, con un semplice ultimo bacio.
Ero proprio un disperato. Per un esame da ripetere persi il diritto all’esonero dalle tasse del terzo anno. E lo stesso accadde per il quarto. Mi sentii solo e perduto. Quello stato di micragnosa indigenza mi fiaccava il morale, togliendomi, con la grande fiducia nella vita che mi aveva sempre sorretto, anche la voglia di studiare, già messa duramente alla prova dall’aridità scolastica degli studi accademici. Per trovare un lavoro ci sarebbe voluta una buona conoscenza. Ma chi, in quella pieve montana?
Non mi arresi: per la prosecuzione degli studi Gino mi avrebbe compreso e aiutato. Gli chiesi un prestito di 50.000 lire, per pagare le tasse scolastiche; e lui me le tese subito, attraverso la mamma moriconese di Beatrice. Stracciai così il terzo anno di università. Ma per il quarto, pur avendo già superato quasi tutti gli esami più impegnativi, avevo esaurito risorse ed energie. Mi sentivo di crollare a pochi metri dal traguardo. Perfino la mamma, che aveva fatto dei miei propositi la sua personale ambizione, mi accompagnava ormai più alla rassegnazione che all'avanzata. |
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