Messaggi del 29/10/2015
Mia madre non conosceva affatto quella ragazza, nemmeno di vista. E io credevo di aver conosciuto la massima: non era nulla al confronto di quella che vidi scatenarsi furiosamente addosso alla povera Antonietta, rea di essere amata dall’Avvocato, e in persone nelle quali l’avrei supposta di meno. A cominciare da mia madre: avrebbe accettato una puttanella di città, ma non che una paesana come lei si elevasse al rango che pensava di avermi fatto raggiungere. E io non potevo permetterle di riappropriarsi della mia vita, né del mio passato né tanto meno del mio futuro:
“Non sei tu che mi hai fatto studiare. Sono io che ho pagato di persona per istruirmi e capire; ed è mio il diritto di scegliere la ragazza che voglio”.
La mamma riuscì a rovinarmi la gioia di quel giorno. E non sapevo di quanti altri ancora. Né sarebbe stata la massima una prerogativa del paese, se non si fosse stretto tutto attorno a lei nel cordoglio:
“Fosse almeno una grande bellezza… Dicono che sia pure malaticcia… Dicono che non è buona neppure a fare le faccende di casa… Dicono che è una sciapa…” Dicono, il sigillo della menzogna. Così, mentre nei paesi vicini la nostra storia si propagava come una favola, il borgo selvaggio non perdonava alla sconosciuta Antonietta l’ardire di un amore giudicato troppo alto per una paesana.
La sorda avversione di mia madre alla più bella favola della mia vita sarebbe continuata anche dopo le nozze e dopo la nascita delle nostre figlie; anche quando, vecchissima, sarebbe stata assistita da Antonietta come da una figlia. E io sentivo che quella donna che si aggrappava, per vivere, a me e alla mia “stima” non era più mia madre. Forse mia madre l’avevo perduta proprio il giorno che mi lasciò solo a Tata Giovanni, solo con il mio fottuto destino.
“Sono io la sua fidanzata. Deve sposare me”. Per gli adulti un pianto sciocco, quello di Rita, la seconda di Vanda. Io che conoscevo quanto siano amare le lacrime di un bambino, mi adoperai più a convincere lei che mia madre. E un giorno che avevo parlato a Rita del principe che a Roma stava aspettando che lei crescesse, nel risalire le scale di casa, sentii gemiti e sospiri: zia Elvira e zia Adalgisa, che prima non mettevano piede in casa della cognata, stavano lì con mia madre in cordoglio accanto al fuoco.
“Uscite di qua!” ordinai. “Andatevene e non vi fate più vedere!” E mentre le zie scendevano leste leste le scale, per la prima volta parlai a mia madre con durezza. |
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