Messaggi del 13/11/2015
Verso la fine del ’67 il nostro sindacato ottenne, prima degli studenti, il diritto di assemblea nel luogo di lavoro. Il ministro Ferrari Aggradi, un moderato che stava provando a interrompere il sessennio Gui, ci invitò a tenerla nel suo salone di rappresentanza, sede del Consiglio di Amministrazione, fregiato di stucchi e dei ritratti ad olio di tutti i ministri; e tentando di trasformarla in cerimonia, ci accolse come i “figli prediletti” dello Stato.
In uno dei giorni precedenti, nel corso di una manifestazione ad Avola, la polizia aveva sparato sui braccianti uccidendone due. A Viale Trastevere, dove mi era stato conferito l’incarico di coordinatore di una segreteria collegiale del sindacato, mi ricordano per il modo in cui respinsi quell’abbraccio paternalistico, rispondendogli che essendo i lavoratori più mal pagati non potevamo credere di essere più amati dei figliastri; né aspiravamo a una dignità maggiore di quella dovuta a tutti i lavoratori. E imputai politicamente proprio all’onesto Ferrari Aggradi, come membro del Governo, l’assassinio dei due braccianti.
Mentre l’ex segretario del sindacato, in preda al panico, tentava di strapparmi il microfono dalle mani, nel salone ci fu una specie di sbandamento; poi si udì dal fondo un timido applauso, che montò infine in uno scroscio liberatorio. Ora non stavo più dalla parte del diavolo, ma ero il demonio stesso. E da quel giorno diventai, nell’ambiente, il tribuno giacobino che aveva dato dell’assassino al ministro.
Quell’immagine mi avrebbe poi accompagnato per tutta la lunga esperienza ministeriale, associata a miei presunti legami con le Botteghe Oscure, dove aveva la sua sede centrale il PCI. Il quale peraltro avrebbe continuato a ignorare nel modo più assoluto il militante, me come tutti gli estranei all’apparato; allo stesso modo dell’apparato sindacale, anche le rare volte che qualche esponente veniva a prendersi i consensi insperati di un ambiente considerato e trattato come tradizionalmente ostile.
In compenso fui oggetto, da parte dei vertici ministeriali, di una emarginazione sistematica dai piccoli incarichi con i quali gli altri arrotondavano lo stipendio. Ma l’attività sindacale comportava allora proprio il rifiuto di entrare nei giri d’affari e di potere che negli anni successivi avrebbero paradossalmente caratterizzato la politica sindacale della partecipazione, ovviamente con la sistematica esclusione degli attivisti di base, quelli che combattevano per l’ideale e che quindi da diverse angolazioni erano definiti i giacobini o gli utili idioti. ----°---- |
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