Messaggi del 02/12/2015
Stabilitosi in un palazzo di Viale Trastevere, Franco vi ebbe da Giancarla due figli, entrambi a pochi mesi di distanza dalle nostre, entrambi maschi, Ottavio e Nico. Nostra madre s’inurbò anche lei e visse qualche anno con loro per assisterli, mentre Giancarla, precaria dell’insegnamento, viaggiava senza meta fissa. I corsi abilitanti non avevano infatti eliminato il fenomeno del precariato, ma come si svalutava la conquista del diritto allo studio, trasformandolo in diritto al diploma per gli studenti, i corsi furono il riconoscimento di un diritto al posto fisso nella scuola anche per cialtroni e incapaci e per autentici carnefici dei figli degli altri. E gl’insegnanti (scontate le numerose eccezioni) perdevano l’autorità, non l’autoritarismo; privi di impegno pedagogico e di buone metodologie didattiche, trascurarono le nozioni senza superare il nozionismo; mostrarono non comprensione ma incuranza della contestazione studentesca, armandosi spesso anch’essi della vecchia sentenza contro la promozione di troppi elementi “non portati allo studio”.
A Monteflavio tornavamo settimanalmente, prima con Franco, poi con una prinz di seconda mano che infine riuscimmo ad acquistare.
Non è sabino chi non sia capace di farsi vino e olio da sé. E al paese, fin dal 1970, primo anno che ci vedeva ognuno in una propria famiglia, Luciano, rigoroso nella vita come sul lavoro ma generoso e amante della compagnia, ci convinse a comprare torchio e pigiatrice e a fare il vino insieme, nella sua cantina. Negli anni successivi ci provvedemmo ognuno di botticella e caratelli; e passandoci gli attrezzi dall’uno all’altro, parzialmente edotti della procedura e aiutandoci a vicenda, lo facemmo separatamente. Insieme si sceglieva il vignaiolo e si vendemmiava, variando ogni anno la qualità del prodotto.
Mio suocero subentrò presto a Luciano come socio nella vinificazione. Del resto mangiavamo più spesso da lui che a casa nostra; mentre scarsi erano gl’inviti da parte di mia madre, che si mostrava amorosa con le bambine, ma sempre fredda con Antonietta.
Già dal ’72 con la famigliola cominciai a villeggiare nella nuova casa, non ancora mattonata. Sotto la sua prima pietra c’erano i capelli di Lucilla neonata; al cancello un abete che vi piantai quando nacque Sabrina. Nella cantina non pavimentata e priva anche di una porta sistemammo botte e caratelli dopo avervi raccolto (incredibile) i funghi prataioli e le uova che qualche gallina del vicinato ci veniva a fetare. Maestra la mia Onne di tutte le operazioni, instancabile, felice e competente assaggiatrice del mosto e dell’olio; come io ero felice del suo amore pudicamente appassionato e tenace.
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