L'altra campana

L'ARCIPELAGO - 2

Presi l’assegnazione a Rieti come una breve parentesi di esilio, non sapendo che sarebbe stata la prima delle isole dell’arcipelago nel quale sarebbe stata confinata tutta la mia carriera dirigenziale.

Quella prima isola mi piacque, tuttavia. Bruno Vota, il provveditore agli studi di Rieti, salutò il mio arrivo come una grazia ricevuta. Due soli anni come vice provveditore, dal ’79 all’81, ma così intensi che sarei stato ricordato a lungo e richiesto poi come titolare. Respiravo l’anima della mia Sabina nelle sapide espressioni dialettali di Giulio Oddi da Monteleone, mio braccio destro nel governo della scuola secondaria superiore, mentre la scuola media e l’elementare erano gestite dalle mani esperte delle signore Tomasi Sarti di Cittaducale e Serafini di Casaprota, due istituzioni.

C’era appena stato il terremoto. Il sopralluogo per la verifica dei danni alle scuole fu l’occasione di escursioni per tutta la provincia.

Mi divertiva l’essere entrato tra le “autorità religiose e civili”, inestirpata eredità del Concordato clerico-fascista. E continuavo a sentire e gestire i miei poteri come semplici funzioni: l’autoritarismo serve soltanto a chi non ha l’autorità che gli può venire dalla competenza, dall’intelligenza e dal sentimento della giustizia. 

A castrare la burocrazia bastavano i controlli preventivi delle ragionerie del Tesoro doppiate dalla Corte dei Conti, assurda palla al piede che la P.A. si trascinava dietro per dare titolo e stipendio di magistrato a voraci pachidermi più dannosi che inutili.

Ci volle una macchina nuova, per viaggiare da Monteflavio. Cento chilometri quotidiani per me e qualche difficoltà di ambientamento per le bambine. Ma anche soddisfazioni; come il piacere dei simposi organizzati dai direttori didattici, dai presidi o dai sindacalisti della scuola. Li ricordo tutti.

L’essere impegnato nel governo scolastico della mia regione sabina e l’esistenza di un’ottima Biblioteca Comunale a Rieti mi spinsero a studiarne più a fondo la storia e la cultura. Presi in prestito dalla biblioteca tutti gli studi e i testi che vi trovai. Ripresi a scrivere, nel tempo libero, fogli e fogli di appunti e fotocopiai pagine e pagine di documenti, con l’intento di riordinare poi il materiale in una storia ben documentata di Monteflavio e della Sabina. Intento mai realizzato, visto il disinteresse, per non dire il fastidio, manifestato dal paese per gli studi seri a vantaggio delle favole folcloristiche rispolverate dalle sagrestie cardinalizie dei Piazza e dei Marocco. Ebbi comunque in tal modo la possibilità di conoscere meglio la realtà che dovevo governare e di tuffarmi voluttuosamente alla riscoperta delle mie radici culturali.