Messaggi del 12/01/2016
Gli ultimi anni della nostra crisi coniugale erano coincisi con la crisi adolescenziale di Lucilla.
Dotata di un notevole talento artistico, Lucilla si era iscritta all’istituto d’arte, dopo la scuola media. Restò delusa dal corso di quegli studi e non vi trovò alcuna umana comprensione.
Reagì diventando punk: un giorno la vidi, prima ancora che scendesse dall’autobus, tornare a casa con una cresta rosso viola al centro della testa rasata, tutta dipinta e piena di spille e di chiodi dagli orecchi agli anfibi, più grossi di lei. La vedevo bellissima ugualmente, mentre si sottraeva al mio abbraccio. Per sua madre fu un altro colpo al cuore: la prese tanto male da rischiare l’esaurimento, tra una delusione e l’altra. Peggio di lei la presero gli stupidi (de)formatori della nostra figliuola, incapaci di decifrare i messaggi disperati che inviano gli adolescenti attraverso le loro provocazioni.
Rividi l’angelo dagli occhi di cristallo.
“Non capisco di che cosa possa avere bisogno”, dissi a Bice Leddomade.
“Di tre cose”, rispose sorridendo: “Amore, amore, amore”.
Ma l’anno successivo Lucilla non volle tornare a scuola. E per tre anni non potemmo fare altro che vigilare, con la paura che succedesse il peggio, quando la vedemmo accompagnarsi anche a qualche tossicodipendente.
Davamo ospitalità ai compagni di Lucilla, come poi ai Dark di Sabrina, per conquistarci la loro confidenza.
Credo che nei suoi trecento anni di esistenza la nostra abitazione trasteverina non avesse mai visto una tale varietà di ospiti, che andava dai pittoreschi compagni delle nostre figlie, punk e dark, a intellettuali, pittori, burocrati e ruspanti parenti monteflaviesi. In particolare Rosita o Luigina, le belle figlie di Lisandrina e Francesco, passavano qualche periodo da noi per partecipare a corsi e concorsi o per far fronte ai primi impegni di lavoro, graditissime alle cugine più ancora che a noi.
“Trista la porta dove non entra nessuno”, diceva Antonietta.
Né l’umiltà della nostra casa, che aveva già ospitato tanti autorevoli colleghi, mi distolse dall’accogliervi Amatucci.
“E’ un vero signore”, fu l’impressione che ne ebbe Antonietta.
“Sì. Come te, che ti sei scolato il mio caffé”. Lei assaggiava tutto ciò che mi ammanniva.
“Oddio, volevo solo assaggiarlo. Come faccio, adesso?”
“Come fai tu o come faccio io?” E lei tornava a ridere. |
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