Messaggi del 19/01/2016
Post n°2072 pubblicato il 19 Gennaio 2016 da anonimo.sabino
Svuotata di funzioni dal decentramento delle competenze gestionali, L’Amministrazione Centrale conservava i posti di dirigente a soli fini di carriera; gli stessi vecchi direttori di sezione e di divisione ora si chiamavano primi dirigenti e dirigenti superiori, senza avere più neanche un vero ufficio: divisioni di sei o sette impiegati, a fronte dei cento che io avevo avuto in provveditorato. Né erano scomparsi i vecchi ispettori, ossia i dirigenti senza ufficio da dirigere; ma si chiamavano consiglieri del Ministro, con tanto di consiglieri aggiunti e di vice consiglieri che il ministro non lo vedevano neanche in fotografia. Impegno di tutti contendersi la cartuccella per un’apparenza di funzionalità reale e per occupare un proprio spazio. Sabatini, che non era riuscito ad entrare nella qualifica di dirigente, se n’era andato in pensione anticipatamente. Indifferenti alla mia professionalità, mi rifilarono come vice consigliere al Gabinetto del Ministro; ma era talmente intasato da non trovarvi, in un paio di mesi, una sedia dove sedermi. La Direzione del Personale dovette riprendermi così a proprio carico; mentre vi approdava un nuovo direttore dalla segreteria del ministro più longevo, la Falcucci. C’era una vecchia ruggine, fra noi. Al tempo in cui andavamo costituendo i gruppi di lavoro per l’integrazione degli handicappati, era la segreteria della Falcucci a disporre i comandi in provveditorato degli insegnanti proposti da noi o in loco. La compagna di un noto handicappato mi pregò d’inserirlo nel suo gruppo provinciale: lì poteva essere utile, mentre non ce la faceva a sostenere l’insegnamento, per quanto si ostinasse. Autore del libro Handicap esesso, Cesare Padovani era entrato anche nella confidenza di Pierpaolo Pasolini. Lui, l’ultima voce libera della cultura italiana, era stato trucidato poco prima, sul finire del torbido anno santo straordinario indetto dal papa polacco. Mi recai dal dottor D’Amore, capo della segreteria del ministro, per recargli e motivargli la proposta. Mi rispose sprezzante: “Di queste faccende io parlo soltanto con il suo superiore gerarchico”. E Padovani non ottenne il comando. Cinque anni dopo, a Rieti, dove mi trovavo come provveditore supplente, la signora Pasquali, capo della segreteria, mi riferì che aveva telefonato il dottor D’Amore. “Credo di aver capito che si tratti di una segnalazione”. Non si faceva quasi altro, nella segreteria del Ministro. Mi chiese: “Lo debbo richiamare o aspetto che chiami lui?” Non ci pensai un istante: “Lasci che richiami lui e non me lo passi: gli riferisca testualmente che per queste faccende deve aspettare che torni il suo parigrado”. |
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