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L'altra campana

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Messaggi del 05/02/2016

ARRIVANO I NOSTRI - 10

Post n°2085 pubblicato il 05 Febbraio 2016 da anonimo.sabino
 

 

 Conferendo ai presidi con la qualifica dirigenziale un potere pressoché assoluto sul loro feudo, la riforma Berlinguer non li emancipava dalla burocrazia. Oltre a moltiplicare i costi di una gestione amministrativa sminuzzata, sovrapponeva agli istituti autonomi un mini ministero regionale, cioè proprio una struttura burocratica, in luogo dei responsabili coraggiosamente configurati dall’ordinamento ottocentesco.

 

Personalmente non mi sarebbe dovuto dispiacere, dato che molti mi davano per il più quotato candidato alla funzione di direttore generale regionale, per il fatto di essere già il sovrintendente, per la sicura professionalità e, se ce ne fosse stato bisogno, per il trascorso impegno politico e sindacale. Avrei comunque sconsigliato quella riforma al ministro marxista (o post marxista?): la burocrazia non è il provveditore, ma fanno la burocrazia le norme dalle quali è vincolata qualsiasi dirigenza, la volontà politica che le ispira e i sottostanti interessi che dietro il suo schermo un marxista dovrebbe individuare.

 

La nomina dei “governatori” regionali della scuola coincise casualmente con la nascita dell’Unione Europea; che guarda caso si sarebbe subito espressa in una costosa e improduttiva burocrazia. Eventi che mi colsero nella convalescenza dall’infarto. E a qualcuno non parve vero potermi dare per spacciato. Fatto sta che il compagno De Mauro, subentrato a Berlinguer, pressato dai soliti elefanti della politica (nulla avevamo fatto per conoscerci), mi preferì addirittura un destrorso; che poi non fu il solo, tra i “governatori” della scuola.

 

Non fu adottata alcuna norma transitoria che provvedesse, come sempre, alla tutela delle posizioni e delle professionalità acquisite: provveditori e sovrintendenti dovevano sparire e basta. E i sovrintendenti ebbero una retrocessione ope legis, la prima nella storia del pubblico impiego. Mi trovai così a dipendere da un ex provveditore che, sia pure come secundus inter pares, era dipeso da me e mal celava il conseguente imbarazzo.

 

“Pensa alla salute, papà”, mi dicevano anche Lucilla e Sabrina, ridiventate affettuosissime dopo gli sbandamenti adolescenziali. E me lo ripeteva Antonietta.

 

“Ci penso, Onne: non ho mai tenuto alla carriera burocratica e non mi ammalerò per il modo in cui finisce. Mi preoccupa assai di più vedere questo governo di vecchi comunisti e pacifisti smanioso di andare a fare la guerra. E a chi? Alla Jugoslavia. Beh, sì che mi rode”.

 

Potevo restare altri due anni, dopo il 65°. Ma a fare l’emerito del tutto superfluo? E ho scelto il pensionamento alla scadenza dei 65 anni. Con l’amaro in bocca, non per la brutta conclusione di una vita burocratica mai amata, ma per la morte di tante illusioni.

 

 
 
 


 

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