L'intollerante

La storia di Daniele. La storia di tutti

Sul quel muretto Daniele aveva sul serio rischiato di ricordarsi cosa significasse essere felici. L’aveva baciata a lungo ma senza mai toccare con le mani le forme delicate del suo corpo e l’aveva sentita vicina come non aveva mai sentito nessuna prima. Eppure, adesso, dopo tutto quello che era successo, non faceva altro che chiedersi se, il sentimento che provava per lei, non fosse altro che un bisogno d’affetto. Un bisogno, si…un bisogno abilmente travestito d’autentico affetto, ma pur sempre una semplice, banale, circostanziale e momentanea necessità. La risposta a quella domanda, però, lo fece piombare in un’angoscia ancora più grande. Come dicevamo prima, su quel muretto, Daniele, aveva rischiato di ricordarsi della felicità ma, adesso, seduto davanti a quella vecchia scrivania piena di appunti e frasi sfuggite al suo irrequieto cervello, rischiava di abbracciare in maniera ancora più debilitante la tristezza e il senso di impotenza e la nostalgia e la rabbia. Aveva puntato tutto ciò che aveva in termini di energie cardiache con quella domanda: se avesse scoperto di aver vissuto un bisogno scambiato per sentimento, allora, si sarebbe sentito senza dubbio più leggero. Se però la risposta fosse stata diversa, il nostro bimbo perenne, avrebbe sofferto come e più di prima; quando a tormentare le sue notti insonni c’era il ricordo di una sola donna…la nostalgia di un solo paio di mani, di occhi, di gambe.

Ora, invece, rischiava di vivere un doppio senso di abbandono, un doppio senso di spreco; un doppio dolore che avrebbe dovuto sopportare con un'anima già morta per metà. Tutto questo dipendeva da quella maledetta domanda; bastarda quanto irrinunciabile. Così chiuse gli occhi, immaginò i palmi delle mani sul tufo di quel muro e la luce gialla del lampione dove lei era appoggiata di spalle. Tentò di acciuffare tutte le parole dette e i sorrisi condivisi e le carezze e i baci e le emozioni. Cercò di capire quanto contassero per lui, quanto fossero stati autentici. Sperava con tutto se stesso di riuscire a sminuirli, a svuotarli di quei significati simbolici che dava ad ogni gesto di unione che gli capitava di vivere con un’altra persona. Avrebbe regalato il braccio destro per essere più frivolo ed elementare nel suo modo di sentire il mondo. Avrebbe affittato la sua anima al diavolo sperando che un’esperienza all’inferno avesse potuto renderla più cinica. Daniele non era mai stato un angelo, ma non era mai nemmeno appartenuto alla categoria dei demoni. Aveva paura degli uomini quanto bastava ma riusciva sempre, in accordo con il perverso principio del mondo, a regalare fiducia e sentimenti a chi non li meritava.

Ora cercava di temporeggiare palleggiando con i ricordi. Vedeva bene il suo traguardo e le nefaste conseguenze che avrebbe dovuto affrontarle dopo averlo oltrepassato. Così si limitava a correre sul posto, curandosi di non fare mai un passo in avanti. Poi, inesorabile, arrivò l’errore; quell’inconsulto gesto masochistico verso la conoscenza di cose che sarebbe meglio lasciare nelle placide lande dell’ignoto. La risposta alla fatidica domanda arrivò ed ebbe lo stesso effetto di uno sparo di fucile sul cinguettio degli uccelli: silenzio tombale e terrorizzato. Non v’era bisogno nel suo sentimento, ma amore vero…ancora una volta solitario; ancora una volta “sbagliato”.

in foto: scorcio del belvedere di S.Leucio(CE). Scatto di Eccelso