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Messaggi di Maggio 2019

Una incredibile scoperta archeologica

Post n°2219 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Dio sconosciuto rinvenuto in

Turchia: l'incredibile scoperta

archeologica

Un rilievo di un metro e mezzo scolpito

sul basalto raffigurante un dio fino ad

orasconosciuto, sta facendo interrogare

gli archeologi di tutto il mondo da due anni.

Si tratta di una figura maschile con una folta

barba che emerge da un calice, contornato

da foglie ed accompagnato da simboli che

rimandano al mondo astrale.

Una serie di elementi misteriosi ed inediti per

l'epoca romana.

Il ritrovamento è avvenuto nella regione di

Gaziantep, all'estremo sud dell'Anatolia ed a

pochi chilometri dalla Siria in un tempio 

dedicato a Giove Dolicheno: una struttura di

oltre duemila anni sulla quale è stato costruito

successivamente un monastero cristiano

circondato da mura dell'Età del ferro.

dio sconosciuto 1

Dio sconosciuto rinvenuto in Turchia: l'incredibile

scoperta archeologica Fonte: University of Muenster

Proprio a questa antichissima epoca potrebbe

risalire il culto del dio sconosciuto.

 E' la posizione delle braccia e le caratteristiche

della barba a rimandare ad un lontanissimo passato.

Una misteriosa devozione che avrebbe resistito un

secoli, fino all'arrivo dei Romani.

Si tratta di una testimonianza preziosissima sulla

religione delle popolazioni orientali, centinaia di anni

prima di Cristo.

Secondo una datazione comunemente accettata

l'Età del ferro ha avuto inizio verso la fine del

secondo millennio per terminare con l'avvento

dell'Ellenismo nel 323 a.C.

 
 
 

Le fluttuazioni dell'ossigeno e l'esplosione del Cambriano

Post n°2218 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

Le fluttuazioni dell'ossigeno e l'esplosione del Cambriano

L'eccezionale diversificazione delle forme

di vita animale che oltre 500 milioni di anni fa

caratterizzò la cosiddetta esplosione del

Cambriano fu legata a fluttuazioni estreme

dei livelli di ossigeno atmosferico che provocarono

una serie di picchi evolutivi e di episodi di estinzione

paleontologiaevoluzionebiodiversità

La cosiddetta esplosione del Cambriano -

il periodo in cui la Terra passò in breve tempo

dall'essere popolata da organismi semplici e

unicellulari a ospitare una multiforme varietà

di forme di vita - fu legata a una serie di

drastici aumenti e diminuzioni dei livelli di

ossigeno. Nel corso di poco più di 13 milioni di

anni queste variazioni estreme provocarono

una rapida successione di diversificazioni di

nuove specie - ossia una serie di quelle che

sono dette "radiazioni" - e di estinzioni.

Le fluttuazioni dell'ossigeno e l'esplosione del Cambriano

Trilobite del periodo Cambriano.

A dimostralo è stato uno studio effettuato

da un gruppo internazionale di ricercatori

coordinato da Graham A. Shields dello University

College di Londra, che firmano un articolo 

su "Nature Geoscience".


L'esistenza di una stretta relazione fra livelli di

ossigeno ed esplosione cambriana era sospettata

da molto tempo; finora però non era stato possibile

dimostrarla a causa dell'assenza di qualsiasi

registrazione diretta dell'ossigeno atmosferico

durante quel lontano periodo geologico (fra 540

e 480 milioni di anni fa circa).

Le fluttuazioni dell'ossigeno e l'esplosione del CambrianoUn artropode

gigante del generePhytophilaspis (Cortesia Andrey Zhuravlev,

Lomonosov Moscow State University),Shields e

colleghi sono ora riusciti a determinarli in modo

indiretto analizzando gli isotopi di carbonio e zolfo

presenti in campioni di rocce calcaree che un

tempo costituivano i sedimenti del fondale di un

antico mare poco profondo e che ora formano

parte del bacino in cui scorrono i fiumi siberiani

Lena e Aldan. "La piattaforma siberiana - spiega

Benjamin Mills, dell'Università di Leeds e

coautore dello studio - offre una finestra unica

sui primi ecosistemi marini.

Quest'area contiene oltre la metà di tutta la

diversità fossile dell'esplosione del Cambriano

attualmente conosciuta".

Dall'analisi di quegli isotopi e servendosi di un

modello matematico, i ricercatori sono risaliti

all'andamento dei livelli di ossigeno durante

quel periodo; in questo modo hanno prima

osservato una serie di picchi e crolli d

quell'elemento in atmosfera, poi hanno confrontato

quelle variazioni con la quantità e varietà di fossili

nei corrispondenti strati rocciosi, trovando una

perfetta corrispondenza.

In particolare Shields e colleghi hanno individuato

un picco particolarmente intenso di ossigeno e

di radiazione delle specie fra 524 e 514 milioni di

anni fa, a cui è seguito un crollo e un'estinzione

diffusa fra 514 e 512 milioni di anni fa.

Secondo gli autori proprio questo andamento a

"impulsi" dei livelli di ossigeno ha contribuito a

una più vasta e complessa diversificazione delle

forme di vita. 

 
 
 

Il grande rinnovamento degli europei preistorici

Post n°2217 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

08 febbraio 2016

Il grande rinnovamento degli europei preistorici

I discendenti dei cacciatori-raccoglitori

sopravvissuti all'ultimo massimo glaciale

in Europa furono in gran parte sostituiti

da una popolazione di origine diversa circa

14.500 anni fa, in un periodo di grande

instabilità climatica.

Lo testimonia l'analisi genetica dei resti di

individui dell'epoca scoperti in varie nazioni

del Vecchio Continente(red)

antropologiageneticaclima

Circa 14.500 anni fa, in un periodo di grande

instabilità climatica, la popolazione preistorica

europea si è quasi completamente rinnovata.

Lo testimoniano i resti di DNA di 35 cacciatori

-raccoglitori che vissero tra 35.000 e 7000

anni fa nelle attuali Italia, Germania, Francia,

Repubblica Ceca e Romania, analizzati in

uno studio apparso sulla rivista "Current Biology"

 a firma di Cosimo Posth, dell'Università di

Tubinga, in Germania, e colleghi di una

collaborazione internazionale che include

anche l'Università di Siena.

"Abbiamo gettato una luce su un capitolo

della storia umana sconosciuto, in corrispondenza

dell'ultimo massimo glaciale", ha spiegato Johannes

Krause, coautore dello studio.

"I dati relativi a quel periodo sono sempre stati

scarsi, ed è per questo che si finora si sapeva

assai poco sulla struttura e sulla dinamica delle

prime popolazioni dell'uomo moderno in Europa".

Gli autori hanno studiato in particolare il DNA

mitocondriale, materiale genetico che si trova

negli organelli cellulari denominati mitocondri,

che viene ereditato solo dalla madre e che può

quindi essere usato per ricostruire le antiche

discendenze matrilineari attraverso l'individuazione

dei diversi aplogruppi, cioè le famiglie delle diverse

varianti genetiche osservabili sui differenti cromosomi.

L'analisi ha mostrato che i DNA mitocondriali di

tre individui, vissuti prima dell'ultimo massimo

glaciale nella regione occupata attualmente da

Belgio e Francia, appartenevano a uno specifico

gruppo genetico, l'aplogruppo M, praticamente

assente nelle popolazioni europee moderne ma

molto comune nelle popolazioni moderne di asiatici,

australasiani e nativi americani.

Il grande rinnovamento degli europei preistorici

Resti umani scoperti nel sito di Les Closeaux

at Rueil-Malmaison, nei pressi di Parigi, utilizzati

nello studio (Credit: L. Lang)Proprio sulla base

dell'assenza dell'aplogruppo M in Europa e della

sua presenza in altre parti del mondo, alcuni

antropologi avevano ipotizzato che la colonizzazione

dell'Eurasia e dell'Australasia da parte di popolazioni

non africane fosse avvenuta a più riprese.

Krause e colleghi ritengono che la scoperta

dell'aplogruppo M in un antico ramo filogenetico

materno europeo indica che tutti i non africani

del mondo abbiano avuto origine dalla diaspora

di un'unica popolazione avvenuta circa 50.000 anni fa.

In seguito, l'aplogruppo M è apparentemente

scomparso dal Vecchio Continente.

"Quando, circa 25.000 anni fa, iniziò l'ultimo massimo

glaciale, le popolazioni di cacciatori-raccoglitori si 

ritirarono verso sud, concentrandosi in alcune zone

limitate: ne è risultato un 'collo di bottiglia' genetico

che ha determinato la perdita di questo aplogruppo",

ha aggiunto Posth.

Il risultato che ha sorpreso maggiormente i

ricercatori è stata la prova di profondo rinnova-

mento della popolazione europea avvenuto

14.500 anni fa, quando il clima iniziò a riscaldarsi.

"Il nostro modello indica che durante questo

periodo di cambiamento climatico, i discendenti

dei cacciatori-raccoglitori sopravvissuti all'ultimo

massimo glaciale furono in gran parte sostituiti

da una popolazione di origine diversa", ha

sottolineato Adam Powell, autore senior dello

studio.

 
 
 

Le mutazioni del DNA spazzatura associate all'autismo

Post n°2216 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

28 maggio 2019

Le mutazioni del DNA spazzatura associate all'autismo

Le mutazioni del DNA spazzatura associate all'autismo

Sono migliaia le mutazioni spontanee nel cosiddetto

"junk DNA" che possono aumentare il rischio di autismo.

La scoperta è avvenuta grazie a una tecnica di intelligenza

artificiale che potrebbe essere applicata anche nella ricerca

sui tumori e le malattie cardiovascolari

autismointelligenza artificialegenetica

Il genoma umano è costituito solo in minima parte da DNA

codificante, cioè da geni che contengono le informazioni per

sintetizzare le proteine utili al funzionamento dell'organismo.

Il resto - il 98 per cento circa - era stato ribattezzato junk

DNA, DNA spazzatura, perché tradizionalmente considerato

inutile.

Questa visione è cambiata in anni recenti, quando si sono

accumulate sempre più prove che alcune parti di quel DNA

hanno importanti ruoli di regolazione dell'espressione dei geni

codificanti.

Inserendosi in questo nuovo paradigma degli studi genomici, 

una nuova ricerca pubblicata su "Nature Genetics" da Olga

Troyanskaya della Princeton University, e colleghi, rivela

ora che è proprio nel DNA spazzatura che possono insorgere

mutazioni che aumentano il rischio di insorgenza di autismo.

Gli autori hanno utilizzato una sofisticata tecnica d'intelligenza

artificiale, l'apprendimento automatico, per analizzare i genomi

di 1790 famiglie in cui è presente un figlio con un disturbo dello

spettro autistico, che invece non si riscontra negli altri familiari.

Si tratta di un campione di studio particolare, in cui, non essendo

evidente un'ereditarietà del disturbo, si può concludere che la

mutazione genetica è sorta in modo spontaneo nel soggetto.

Le mutazioni del DNA spazzatura associate all'autismo

Science Photo Library RF / AGFIl risultato non sarebbe stato

possibile senza l'apprendimento automatico, che procede

effettuando analisi sempre più approfondite del genoma, fino

a rivelare schemi d'interazione tra porzioni del DNA spazzatura

e geni codificanti.

Più in dettaglio, il suo algoritmo analizza ogni singola coppia

di basi, i "mattoni elementari" che costituiscono la lunga catena

della molecola di DNA, e verifica la sua relazione con un migliaio

di coppie di basi vicine.

Alla fine del processo, l'algoritmo produce una lista di sequenze

di DNA che, con probabilità crescente, hanno una funzione di

regolazione dei geni, e delle relative mutazioni in grado d'interferire

con queste regolazioni: gli autori lo definiscono come una sorta

di "punteggio d'impatto sul disturbo".

La nuova metodica ha così dimostrato di avere notevoli

potenzialità nelle ricerche in cui occorre una grande capacità di

analisi massiccia del genoma, inarrivabile per le tecniche tradizionali.

L'inconveniente è che non individua nuove cause genetiche

precise dell'autismo o alterazioni dello sviluppo del sistema

nervoso, ma solo migliaia di possibili fattori in grado di alterare

l'espressione dei geni nel cervello correlati al disturbo, come

quelli coinvolti nello sviluppo o nella migrazione dei neuroni.

Troyanskaya e colleghi ritengono comunque che possa aprire

interessanti prospettive di ricerca biomedica, non solo

sull'autismo, ma anche in su tumori e patologie cardiovascolari.

"Questa è la prima chiara dimostrazione di mutazioni non

codificanti non ereditarie che causano una malattia o un disturbo

complesso", ha commentato Troyanskaya.

"Finora, il 98 per cento del genoma è stato trascurato: i nostri

risultati permettono di guardare a questa porzione del DNA

come a un terreno da esplorare". (red)

 
 
 

Dall'inferno del plasma solare ai reattori a fusione

Post n°2215 pubblicato il 29 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Le Scienze

28 maggio 2019

Dall'inferno del plasma solare ai reattori a fusione

Dall'inferno del plasma solare ai reattori a fusione

L'osservazione del comportamento dei plasmi che

provocano i periodici brillamenti sul Sole ha permesso

di ottenere dati preziosi per progettare i reattori a

fusione nucleare

astrofisicanucleare

L'enigmatico comportamento del plasma solare, che è

all'origine dei periodici brillamenti del Sole, è stato

tracciato per la prima volta ad alta risoluzione da un

gruppo di ricerca franco-irlandese, che ne dà notizia

in un articolo su "Nature Communications".

Il risultato fornirà informazioni essenziali per la

realizzazione di reattori nucleari a fusione che siano

in grado di garantire una produzione di energia stabile

e continua.

La fusione nucleare rappresentata un modo di generare

energia nucleare molto diverso dalla fissione: non richiede

combustibile altamente radioattivo e produce scorie inerti.

Ma mentre i reattori a fissione si basano su una fisica

consolidata, i reattori a fusione (o almeno quelli detti a

confinamento magnetico) devono fare i conti con la fisica

dei plasmi, un terreno in buona parte inesplorato.

Dall'inferno del plasma solare ai reattori a fusione

I brillamenti solari sono una conseguenza dei complessi

moti dei plasmi nell'atmosfera del Sole (NASA/SDO)Il plasma

- un fluido di atomi ionizzati ed elettroni che si forma ad

altissima temperatura - è considerato il "quarto stato" della

materia (accanto a quello solido, liquido e gassoso), e si

distingue per il comportamento particolarmente complesso

dei suoi costituenti, che possono interagire fra loro a distanze

molto superiori di quanto accada in un gas.

In effetti, la quasi totalità della materia ordinaria dell'universo

si trova allo stato di plasma, che è estremamente difficile da

studiare perché sulla Terra le condizioni che ne permettono la

formazione, come i fulmini, sono rare.

Anche i laboratori appositamente allestiti per studiare il plasma

riescono a riprodurre solo alcune delle condizioni in cui esso si

forma, ma non quelle estreme, in cui il comportamento di questo

stato della materia può cambiare in modi non ancora compresi.

Il miglior laboratorio naturale resta quindi il Sole, che Eoin P.

Carley e i suoi colleghi del TrinityCollege di Dublino

dell'Osservatorio di Parigi sono riusciti a sfruttare analizzando

i dati raccolti dalla sonda Solar Dynamics Observatory della NASA.

In particolare, i ricercatori sono stati in grado di monitorare

con un'alta risoluzione temporale e spaziale le pulsazioni delle

emissioni luminose e radio prodotte dal plasma.

Dall'inferno del plasma solare ai reattori a fusione

L'interno del Joint European Torus (JET), il più grande reattore

a fusione nucleare a confinamento magnetico finora costruito

(EUROfusion)Questi dati sono essenziali per comprendere i

cosiddetti fenomeni di instabilità del plasma contro cui combattono

gli scienziati e gli ingeneri alle prese con la creazione di impianti di

fusione nucleare.
"I plasmi di fusione nucleare sono altamente instabili" spiega Peter T.

Gallagher, coautore dello studio. "Non appena il plasma inizia a

generare energia, un processo naturale blocca la reazione.

Da un lato questo rappresenta un interruttore di sicurezza intrinseco:

nei reattori a fusione non si possono innescare reazioni fuori controllo;

ma significa anche che è difficile mantenere in uno stato stabile per la

produzione di energia.

Studiando come i plasmi diventano instabili sul Sole, possiamo

imparare a controllarli sulla Terra." (red)

 
 
 

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