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Messaggi del 28/03/2019
Post n°2058 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 21 febbraio 2019 Un'impronta fossilizzata risalente a 28.000 anni fa, scoperta a Gibilterra in un'antica duna di sabbia, potrebbe essere stata lasciata da uno degli ultimi neanderthaliani rimasti. Ma non tutti sono d'accordo con questa interpretazione, che si inserisce nell'annoso dibattito sull'epoca esatta in cui si estinsero i nostri arcaici cuginidi Kate Wong / Scientific American Neanderthalantropologiapaleontologia I ricercatori hanno scoperto una serie di impronte fossilizzate in un'antica duna di sabbia a Gibilterra, il piccolo territorio britannico sulla punta sud occidentale della penisola iberica. Una delle impronte, suggeriscono, potrebbe essere quella di un Neanderthal. significativo: è noto solo un altro sito di Neanderthal, in Romania, con una serie di impronte di 62.000 anni fa. Se, come riferito, l'impronta di Gibilterra fosse molto più recente, potrebbe essere stata lasciata da uno degli ultimi Neanderthal a camminare sulla Terra. interpretazione. La scoperta si inserisce così nella vecchia diatriba su quando l'Homo sapiens anatomicamente moderno ha colonizzato l'Europa e quando si è estinto l'arcaico Neanderthal. di impronte. Per identificare gli animali che le hanno lasciate, Fernando Muñiz dell'Università di Siviglia, in Spagna, e colleghi, ne hanno studiato le dimensioni e le forme, confrontandole con altre tracce conservate e correlandole con resti di animali fossilizzati trovati in altri punti di Gibilterra. Immagine in falsi colori dell'impronta (Cortesia Universdad de Sevilla) Le tracce sembrano appartenere a vari tipi di mammiferi, tra cui un elefante, un cervo e un leopardo. Tuttavia, anche se mal conservata, una delle impronte ha un aspetto decisamente umano: il calco rivela un piede destro più largo nella parte anteriore che in quella posteriore ed ha cinque dita allineate. E le dimensioni suggeriscono che sia stata lasciata da un giovane adolescente. Ma a quale specie umana apparteneva? associate sia ai Neanderthal che agli esseri umani moderni: impossibile decidere tra i due candidati in base alle dimensioni e alla forma. Così, i ricercatori hanno guardato all'età e alla posizione. ottica, che può determinare quando i granelli di sabbia sono stati esposti alla luce solare per l'ultima volta, il team ha datato le tracce a circa 28.000 anni fa. i ricercatori - compresi alcuni membri del team dell'impronta - avevano sostenuto che i Neanderthal erano vissuti nella regione anche in quell'epoca tarda, sopravvivendo migliaia di anni più a lungo che in qualsiasi altra parte dell'Eurasia. H. sapiens finì per soppiantare i Neanderthal e altri esseri umani arcaici in tutto il mondo, ma la nostra specie sembra aver raggiunto Gibilterra piuttosto tardi. a un'epoca in cui i Neanderthal - ma non gli esseri umani moderni - vivevano a Gibilterra, a lasciare l'orma fu quindi probabilmente un Neanderthal, concludono Muniz e i suoi colleghi, che riferiscono i loro risultati in un articolo in stampa su "Quaternary Science Reviews". degli esperti non coinvolti nel nuovo studio. L'impronta nel luogo del ritrovamento (Cortesia Universdad de Sevilla)" Le proporzioni dei piedi [di H. sapiens e Neanderthal] sono più o meno le stesse, e questo rende davvero difficile capire dal profilo di un'impronta se a calpestare quelle dune sabbiose 28.000 anni fa sia stato un uomo moderno o un Neanderthal", osserva Jeremy DeSilva del Dartmouth College, esperto di piedi umani fossili. Ma data l'età della traccia e dove è stata trovata, l'ipotesi che sia stato un Neanderthal è "del tutto ragionevole", dice. anch'egli specializzato nell'anatomia del piede, è più prudente. "Per quanto ne sappiamo 28.000 anni fa è proprio l'epoca del crepuscolo dei Neanderthal", dice. E benché a Gibilterra non siano stati ancora trovati resti umani moderni risalenti a quel periodo, questi erano ampiamente presenti in altre parti d'Europa. "È possibile che sia stato un Neanderthal a lasciare l'impronta, ma onestamente, da un punto di vista anatomico, la scarsa qualità dell'orma rende molto difficile dimostrarlo", dice. dell'impronta dalla sua datazione. Thomas Higham, dell'Università di Oxford, e colleghi, hanno datato un certo numero di siti neanderthaliani e dei primi umani moderni in tutta Europa. Cercando di determinare l'età dei resti archeologici dei Neanderthal di Gibilterra, non sono riusciti a replicare le date ottenute in precedeza per alcuni di quei materiali. della Spagna si è rivelata molto più antica di quanto supposto inizialmente, suggerendo che la sopravvivenza protratta dei Neanderthal nel sud della penisola iberica in realtà sia un artefatto del metodo di datazione usato Secondo il team di Higham, i Neanderthal sarebbero invece scomparsi circa 39.000 anni fa. Cranio di Neanderthal (a sinistra) a confronto con il cranio di un essere umano anatomicamente moderno (Science Photo Library / AGF)A complicare le cose, nuovi dati suggeriscono che gli esseri umani moderni potrebbero aver raggiunto la penisola iberica meridionale prima di quanto si pensava. Nature Ecology and Evolution", Miguel Cortes-Sanchez, dell'Università di Siviglia, e colleghi, riferiscono le loro datazioni di un sito a Malaga, la grotta di Bajondillo, i cui depositi archeologici coprono il periodo di transizione Neanderthal-umani moderni. abbia sostituito i Neanderthal circa 43.000 anni fa. E se gli esseri umani moderni si trovavano nel sud della Spagna già allora... beh, in linea d'aria Gibilterra è appena aun centinato di chilometri da Malaga. questo caso [la datazione a 28.000 anni fa] dia peso all'identificazione di un Neanderthal", dice Higham dell'impronta di Gibilterra. pubblicato su "Scientific American" il 15 febbraio 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati. |
Post n°2057 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte:Le Scienze 11 febbraio 2019 Con l'aiuto di tecniche di apprendimento profondo, i paleoantropologi hanno trovato prove di rami perduti da tempo sul nostro albero genealogico, identificando alcuni eventi potenziali di incroci e di ibridazioni tra specie umane estinte e lontani antenati della nostra speciedi Jordana Capelewicz/QuantaMagazine L'apprendimento profondo potrebbe aiutare paleontologi e genetisti a cercare fantasmi? volta dall'Africa 70.000 anni fa, almeno due specie affini, ormai estinte, li stavano già aspettando sul continente eurasiatico. Erano i Neanderthal e i Denisoviani, esseri umani arcaici che si sono incrociati con quei primi moderni, lasciando frammenti del loro DNA nei genomi delle persone di origine non africana. e colorita: la scorsa estate, per esempio, un gruppo di ricercatori ha riferito su "Nature" che un frammento osseo trovato in una grotta siberiana apparteneva alla figlia di una donna Neanderthal e di un uomo Denisoviano. La scoperta è la prima prova fossile di un ibrido umano di prima generazione. (© Arco Images / AGF)Purtroppo, è molto raro trovare fossili del genere (la nostra conoscenza dei Denisoviani, per esempio, si basa sul DNA estratto da un osso di un dito). Molti altri accoppiamenti ancestrali avrebbero potuto verificarsi facilmente, compresi quelli che coinvolgono gruppi ibridi provenienti da incroci precedenti, che però potrebbero essere praticamente invisibili quando se ne cercano prove fisiche. Gli indizi della loro esistenza possono invece sopravvivere nel DNA di alcune persone, ma in questo caso potrebbero essere più sfuggenti delle tracce genetiche lasciate dai Neanderthal e dai Denisoviani. l'esistenza di un paio di queste popolazioni anche in assenza di dati fossili: secondo una ricerca pubblicata a fine 2013, per esempio, modelli di variazione genetica negli esseri umani antichi e moderni indicano che una popolazione umana sconosciuta si è incrociata con i Denisoviani (o con i loro antenati). Ma gli esperti ritengono che questi metodi trascurino inevitabilmente molte cose. queste cosiddette popolazioni fantasma, dove vivevano e con quale frequenza interagivano e si accoppiavano con altre specie umane? i ricercatori hanno mostrato il potenziale di tecniche di apprendimento profondo per aiutare a colmare alcune lacune, di cui gli esperti potrebbero non essere nemmeno a conoscenza. Hanno usato l'apprendimento profondo per scandagliare le prove dell'esistenza di un'altra popolazione fantasma: un antenato umano sconosciuto in Eurasia, probabilmente un ibrido Neanderthal-Denisoviani o un parente della linea denisoviana. servire in paleontologia non solo per identificare fantasmi imprevisti, ma anche per scoprire le impronte molto sbiadite dei processi evolutivi che hanno plasmato chi siamo diventati. alla volta per individuarne i tratti comuni. È un test di somiglianza, ma non necessariamente di antenati reali, perché ci sono molti modi diversi di interpretare le piccole quantità di miscela genetica che il test trova. Per esempio, le analisi potrebbero suggerire che un europeo moderno, ma non un africano moderno, condivide alcune caratteristiche con il genoma dei Neanderthal. Ma ciò non significa necessariamente che quei geni provengano da incroci tra i Neanderthal e gli antenati degli europei. Questi ultimi, per esempio, avrebbero potuto invece incrociarsi con una popolazione diversa, strettamente legata ai Neanderthal, non con i Neanderthal stessi. Non lo sappiamo. In assenza di prove fisiche che indichino quando, dove e come sarebbero vissute quelle antiche ipotetiche fonti di variazione genetica, è difficile dire quale delle tante possibili ascendenze sia la più probabile. La tecnica, ha detto John Hawks, paleoantropologo all'Università del Wisconsin a Madison, "è potente per la sua semplicità, ma dal punto di vista della comprensione dell'evoluzione lascia molti punti irrisolti". Il nuovo metodo di apprendimento profondo è un tentativo di fare un passo avanti, cercando di spiegare livelli di flusso genico che sono troppo piccoli per i normali approcci statistici e offrendo una gamma molto più vasta e complicata di modelli. Attraverso l'addestramento, la rete neurale può imparare a classificare vari modelli nei dati genomici, basandosi sulle storie demografiche che hanno maggiori probabilità di averli originati, ma senza che chiarire in che modo ha stabilito quelle connessioni. di cui non si sospettava neppure l'esistenza. Intanto, non c'è motivo di pensare che Neanderthal, Denisoviani ed esseri umani moderni fossero le uniche tre popolazioni sulla scena. Secondo Hawks, ce ne potevano benissimo essere decine. a New York, condivide questa opinione. "La nostra immaginazione è stata limitata dalla nostra attenzione alle persone viventi o ai fossili che abbiamo trovato in Europa, Africa e Asia occidentale", ha detto. "Quello che le tecniche di apprendimento profondo possono fare, in un modo peraltro strano, è riorientare le possibilità. L'approccio non è più limitato dalla nostra immaginazione". improbabile ai problemi dei paleontologi, perché normalmente il metodo richiede enormi quantità di dati per l'addestramento. Prendete una delle sue applicazioni più comuni, la classificazione di immagini. Quando gli esperti addestrano un modello a identificare, per esempio, le immagini dei gatti, hanno migliaia di foto con cui possono addestrarlo e sanno se funziona perché sanno come dovrebbe essere un gatto. ha forzato i ricercatori che volevano usare l'apprendimento profondo a fare i furbi, creando loro dei dati. "In un certo senso abbiamo giocato sporco", ha detto Oscar Lao, ricercatore al National Center of Genomic Analysis di Barcellona e uno degli autori dello studio. "Potevamo usare una quantità infinita di dati per addestrare il motore di apprendimento profondo per il semplice fatto che stavamo usando simulazioni". simulate, basate su diverse combinazioni di dettagli demografici: numero di popolazioni umane ancestrali, loro dimensioni, quando differivano l'una dall'altra, loro tassi di mescolanza e così via. Da queste storie simulate, gli scienziati hanno generato un gran numero di genomi simulati per le persone di oggi. Hanno addestrato il loro algoritmo di apprendimento profondo con questi genomi, in modo che imparasse quali tipi di modelli evolutivi hanno maggiori probabilità di produrre determinati modelli genetici. fra umani moderni e una popolazione "fantasma" secondo la ricostruzione delle antiche migrazioni fatta dal sistema di intelligenza artificiale. (Cortesia Mayukh Mondal, Jaume Bertranpetit, Oscar Lao) Il gruppo ha quindi impostato l'intelligenza artificiale in modo che fosse libera di dedurre le storie che meglio si adattano ai dati genomici reali. Alla fine, il sistema ha concluso che all'ascendenza delle persone di origine asiatica aveva contribuito anche un gruppo umano non identificato in precedenza. Secondo quei modelli genetici, probabilmente quegli esseri umani erano una popolazione distinta nata dall'incrocio di Denisoviani e Neanderthal circa 300.000 anni fa oppure un gruppo che discendeva dal lignaggio dei Denisoviani subito dopo. in questo modo. Una manciata di laboratori ha applicato metodi simili per affrontare altri filoni delle indagini evolutive. Un gruppo di ricerca, guidato da Andrew Kern dell'Università dell'Oregon, ha usato un approccio basato sulla simulazione e sulle tecniche di apprendimento automatico per cogliere le differenze nei vari modelli evolutivi delle specie, esseri umani compresi. Kern e colleghi hanno scoperto che la maggior parte degli adattamenti favoriti dall'evoluzione non hanno bisogno dell'emergere di nuove mutazioni benefiche nelle popolazioni, ma dell'espansione di varianti genetiche già esistenti. - ha detto Kern - sta dando risultati entusiasmanti". evolutiva umana reale non fosse stata simile ai modelli simulati su cui sono addestrati questi metodi di apprendimento profondo, allora i risultati sarebbero errati. Questo è un problema che Kern e altri hanno cercato di affrontare, ma resta ancora molto da fare per fornire maggiori garanzie di accuratezza. applicazioni alla genomica", ha detto Joshua Akey, ecologo e biologo evolutivo della Princeton University. L'apprendimento profondo è uno strumento nuovo e fantastico, ma è solo un altro metodo. Non risolverà tutti i misteri e le complessità dell'evoluzione umana". "Ritengo che la densità e la qualità dei dati non siano molto adatte ad analisi che non siano ben ponderate e basate su un'intelligenza non artificiale", ha scritto in una mail David Pilbeam, paleontologo della Harvard University e del Peabody Museum. avanti, qualcosa che potrebbe essere usato per fare previsioni su possibili future scoperte fossili e su variazioni genetiche attese che dovrebbero essersi verificate tra gli esseri umani migliaia di anni fa. "Penso che l'apprendimento profondo darà davvero una spinta alla genetica di popolazioni", ha detto Lao. di dati, ma non conosciamo il processo che li ha prodotti. Nello stesso periodo in cui Kern e altri genetisti di popolazioni e biologi evolutivi stavano sviluppando tecniche di intelligenza artificiale basate sulla simulazione per affrontare le loro domande, i fisici facevano lo stesso per capire come vagliare l'immensa mole di dati prodotti dal Large Hadron Collider del CERN di Ginevra e da altri acceleratori di particelle. Anche la ricerca geologica e i metodi di previsione dei terremoti hanno iniziato a beneficiare di questo tipo di approcci di apprendimento profondo. Patterson, biologo computazionale al Broad Institute del Massachusetts Institute of Technology e della Harvard University. "Ma è sempre bello considerare nuovi metodi. Useremo tutto quello che possiamo se sembra essere buono per rispondere alle domande a cui vogliamo rispondere." pubblicato il 7 febbraio 2019 da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati) |
Post n°2056 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 25 marzo 2019 I ricercatori dell'esperimento DAMA ai Laboratori del Gran Sasso affermano da tempo di aver rilevato segnali di materia oscura, la massa mancante del cosmo che scienziati in tutto il mondo tentano di identificare. Ma due esperimenti fotocopia di DAMA non sono stati in grado di replicarne i risultatidi Davide Castelvecchi/Nature materia oscurafisica delle particellePer più di due decenni, un solo esperimento al mondo ha costantemente riferito di aver rilevato un segnale di materia oscura, la massa mancante dell'universo che i fisici cercano da tempo di identificare. usando la stessa tecnologia di rilevazione hanno presentato i loro primi dati. Una risposta definitiva rimane elusiva: anche se i dati iniziali di un esperimento sembrano essere compatibili con i risultati originali, i risultati dell'altro rivelatore vanno in direzione opposta. Ma gli scienziati dicono che grazie a questi esperimenti e ad altri che, secondo i programmi, saranno presto attivi, na risposta definitiva sulla natura del segnale misterioso è ora a portata di mano. Il profilo della Via Lattea ripreso dalla Terra. (CC0 Public Domain) "Non c'è davvero alcuna conclusione da trarre a questo punto, se non il crescere della suspense", dice Juan Collar, fisico dell'Università di Chicago, che ha lavorato a diversi esperimenti sulla materia oscura. "Ma gli strumenti sembrano avere una sensibilità sufficiente per dare al più presto risultati conclusivi", afferma Collar. a microonde - il "bagliore residuo" del big bang - suggeriscono che la maggior parte della materia nell'universo è invisibile. Questa materia "oscura" mostrerebbe la sua presenza quasi esclusivamente tramite le interazioni gravitazionali con altri oggetti, ma una serie di esperimenti ha cercato per decenni di raccogliere i segni delle sue altre interazioni con la materia ordinaria. nazionale del Gran Sasso dell'Istituto nazionale di fisica nucleare e il suo successore DAMA/LIBRA hanno registrato una variazione stagionale nei dati. Il rivelatore registra lampi di luce creati quando le particelle collidono con i nuclei atomici in un cristallo di ioduro di sodio altamente purificato. radiazione di fondo vagante - ma i fisici dell'esperimento affermano che la variazione stagionale si verifica perché la Terra si muove attraverso un alone di particelle di materia oscura che circonda la Via Lattea, determinando uno schema ripetitivo. Nel marzo 2018, la collaborazione DAMA ha presentato i primi risultati del rivelatore dopo che è stato aggiornato nel 2010. La firma della materia oscura sembrava essere ancora lì. hanno prodotto risultati apparentemente in contraddizione con DAMA. Ma COSINE-100 e ANAIS sono i primi progetti attivi che mirano a testare le affermazioni di DAMA usando gli stessi materiali, ed entrambi sono operativi da più di un anno. ANAIS nel Laboratorio sotterraneo Canfranc nei Pirenei, in Spagna, ha riferito i suoi primi risultati l'11 marzo. Sulla base di 18 mesi di dati, i risultati sembrano essere in disaccordo con quelli di DAMA. I dati di ANAIS mostrano fluttuazioni, ma non sono le stesse del ciclo annuale di DAMA , in cui i segnali raggiungono il picco all'inizio di giugno e il minimo all'inizio di dicembre. COSINE-100, sotto una montagna in Corea del Sud, ha svelato un'analisi simile di a quella di ANAIS nel corso di conferenze di questo mese. Anche questo rivelatore vede una fluttuazione nei suoi dati. Tuttavia, "la nostra è un po' più vicina a quella di DAMA", afferma Reina Maruyama, co-coordinatrice di COSINE-100 e fisica della Yale University. (I risultati sia di ANAIS sia di COSINE-100 sono ancora preliminari e non sono stati ancora sottoposti a peer review). Un momento della preparazione del rivelatore DAMA/LIBRA presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso. (Credit: DAMA-LIBRA Collaboration/LNGS-INFN)L'analisi di ANAIS non ha "alcun impatto" sui risultati di DAMA/LIBRA e dei suoi predecessori: i dati sono già stati confermati in oltre 20 cicli annuali indipendenti, afferma Rita Bernabei, fisica dell'Università di Roma Tor Vergata che ha guidato a lungo la collaborazione DAMA. risultato di DAMA/LIBRA, per molti rivelatori sarebbe utile continuare a raccogliere dati per diversi anni, dice Collar: "Quando un esperimento sta vedendo una cosa come questa e un altro no, ci si chiede se qualcuno ha sbagliato". registrazione dei dati da più esperimenti per sistemare veramente la questione. "Con qualche anno in più di dati, dovrebbero essere in grado di fare una dichiarazione definitiva", spiega David Spergel, il cosmologo che per primo nel 1986 ha previsto l'oscillazione stagionale con due colleghi. dell'Università di Saragozza, in Spagna, afferma che qualunque sia l'esito finale, il suo esperimento dovrebbe aiutare a spiegare che cosa ha causato il segnale stagionale al Gran Sasso. "Ho il desiderio di capire DAMA/LIBRA - dice - non solo per escludere il risultato". pubblicato su "Nature" il 19 marzo 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati) |
Post n°2055 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 27 marzo 2019 Uno studio appena pubblicato aggiunge altre prove alla nascita di nuovi neuroni nel cervello umano adulto anche in età avanzata, suggerendo che la perdita di questa capacità possa essere un indicatore precoce della malattia di Alzheimerdi Karen Weintraub/Scientific American neuroscienzememoriadisturbi mentali Se il centro della memoria del cervello umano potesse far crescere nuove cellule, sarebbe in grado di aiutare le persone a riprendersi dalla depressione e dal disturbo da stress post traumatico (PTSD), ritardare l'insorgenza dell'Alzheimer, approfondire la nostra comprensione dell'epilessia e offrire nuove conoscenze sulla memoria e sull'apprendimento. Altrimenti, beh, è solo un'altra cosa in cui le persone sono diverse dai roditori e dagli uccelli. della nascita di nuovi neuroni - chiamata neurogenesi - in un'area del cervello responsabile dell'apprendimento, della memoria e della regolazione dell'umore. Un numero crescente di ricerche ha suggerito questa possibilità, ma poi l'anno scorso un articolo su "Nature" aveva sollevato alcuni dubbi. Illustrazione di neuroni interconnessi (Science Photo Library RF/AGF) Ora, un nuovo studio pubblicato nei giorni scorsi su "Nature Medicine" , riporta l'equilibrio verso il sì. Alla luce di nuovi dati, "direi che c'è una prova schiacciante della neurogenesi lungo tutta la vita negli esseri umani", ha scritto in una e-mail Jonas Frisén, professore del Karolinska Institute, in Svezia, che firma con altri un commento allo studio sull'ultimo numero della stessa rivista. l'autore senior dell'articolo di "Nature" dell'anno scorso che ha messo in dubbio l'esistenza della neurogenesi. Alvarez-Buylla, professore di neurochirurgia dell'Università della California a San Francisco, dichiara di dubitare ancora che dopo l'infanzia nell'ippocampo si sviluppino nuovi neuroni. "Ho studiato la neurogenesi adulta per tutta la vita. Vorrei poter trovare negli esseri umani un posto dove avvenga in modo convincente". cerebrali dei primati, esseri umani compresi, sarebbero rimasti troppo sconvolti dalla crescita di un numero considerevole di nuovi neuroni. Alvarez-Buylla ritiene che il dibattito scientifico sull'esistenza della neurogenesi dovrebbe continuare. "La conoscenza di base è fondamentale. Il solo sapere se i neuroni adulti vengono sostituiti è un problema fondamentale e affascinante", ha detto. ervello vivente e misurare l'attività individuale delle cellule, nessuna delle quali è stata utilizzata nello studio di "Nature Medicine", potrebbero porre fine a qualsiasi domanda ancora aperta. come ponderato e condotto in modo attento. È un "tour de force tecnico" e affronta le questioni sollevate dall'articolo dell'anno scorso, afferma Michael Bonaguidi, assistente professore alla Keck School of Medicine della University of Southern California. conservare il tessuto cerebrale prelevato da 58 persone appena decedute, scoprendo che metodi di conservazione diversi portavano a conclusioni differenti sul possibile sviluppo di nuovi neuroni nel cervello adulto e in età avanzata. entro poche ore dopo la morte e per preservarlo occorre utilizzare specifiche sostanze chimiche, altrimenti le proteine che identificano le cellule appena sviluppate andranno distrutte, spiega Maria Llorens-Martin, autore senior dell'articolo. Altri ricercatori hanno perso la presenza di queste cellule, perché il loro tessuto cerebrale non era conservato accuratamente, dice Llorens-Martin, neuroscienziato dell'Università Autonoma di Madrid in Spagna. Antonio che non era coinvolta nella nuova ricerca, ha detto che lo studio fornisce una lezione a tutti gli scienziati che si affidano alla generosità delle donazioni cerebrali. "Se e quando andiamo a osservare qualcosa postmortem in un essere umano, dobbiamo essere molto attenti a questi problemi tecnici". Localizzazione nell'ippocampo nel cervello umano (Science Photo Library RF/AGF)Llorens-Martin ha detto di aver iniziato a raccogliere e conservare con cura i campioni di cervello nel 2010, quando si è resa conto che molti cervelli conservati nelle banche del cervello non erano stati preservati adeguatamente per quel tipo di ricerca. di persone che sono morte con la loro memoria intatta e quello di persone decedute in diversi stadi della malattia di Alzheimer. Hanno scoperto che il cervello delle persone con Alzheimer mostrava pochi o nessun segno di nuovi neuroni nell'ippocampo, con sempre meno segni via via che le persone erano avanti nella progressione della malattia. Questo suggerisce che la perdita di nuovi neuroni - se potesse essere rilevata nel cervello vivente - sarebbe un indicatore precoce dell'insorgenza dell'Alzheimer e che promuovere nuova crescita neuronale potrebbe ritardare o prevenire la malattia. Studies dove è anche neuroscienziato e docente, afferma di essere rimasto colpito dall'attenzione ai dettagli dei ricercatori. "Dal punto di vista metodologico, la ricerca fissa gli standard per gli studi futuri", dice Gage, che non era coinvolto nella nuova ricerca, ma nel 1998 era l'autore senior di un articolo che ha trovato le prime prove della neurogenesi. sollevate dalla ricerca di Alvarez-Buylla. "Dal mio punto di vista, questo mette a tacere quel contrattempo che si è verificato", dice. "Questo articolo, in modo molto bello. .. valuta sistematicamente tutti i problemi universalmente considerati molto importanti." le prove negli animali dimostrano che è essenziale per la separazione dei pattern, "consentendo a un animale di distinguere tra due eventi strettamente associati l'uno all'altro". Negli esseri umani, aggiunge, l'incapacità di distinguere tra due eventi simili potrebbe spiegare perché i pazienti con sindrome da stress post traumatico continuano a rivivere le stesse esperienze, anche se le circostanze sono cambiate. Inoltre, molti deficit osservati nelle prime fasi del declino cognitivo sono simili a quelli osservati negli animali la cui neurogenesi è stata fermata, dice. in situazioni stressanti, dice Gage. Anche i disturbi dell'umore, inclusa la depressione, sono stati collegati alla neurogenesi. Microfotografia in fluorescenza di neuroni dell'ippocampo (Science Photo Library RF/AGF)Hsieh afferma che la sua ricerca sull'epilessia ha scoperto che i neuroni appena formati si interconnettono in modo scorretto, interrompendo i circuiti cerebrali e causando convulsioni e potenziali perdite di memoria. Nei roditori con epilessia, i ricercatori prevengono le convulsioni se impediscono la crescita anormale di nuovi neuroni, dice Hsieh, il che le dà speranza che qualcosa di simile possa un giorno aiutare i pazienti umani. L'epilessia aumenta il rischio di Alzheimer, depressione e ansia in alcuni casi, dice. "Quindi, è tutto collegato in qualche modo. Crediamo che i nuovi neuroni svolgano un ruolo vitale nel collegare tutti questi pezzi". di nuovi neuroni facendo in modo che i roditori facciano più esercizio o fornendo loro ambienti più stimolanti dal punto di vista cognitivo e sociale, dice Llorens-Martin. "Questo non potrebbe essere applicato a stadi avanzati della malattia di Alzheimer. Ma se potessimo agire in fasi precedenti in cui la mobilità non è ancora compromessa", dice," chissà, forse potremmo rallentare o prevenire parte della perdita di plasticità del cervello". pubblicato su "Scientific American" il 25 marzo 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
Post n°2054 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 14 marzo 2019 Antichi cambiamenti nella dieta - in particolare la diffusione dell'agricoltura e di alimenti ben cotti - hanno influito sulla diffusione nelle lingue di alcuni suoni consonantici, come quelli delle consonanti "f" e "v" linguaggioantropologiaI suoni presenti nelle lingue sono stati in parte plasmati da cambiamenti nella biologia umana indotti a loro volta da cambiamenti culturali, e in particolare da modificazioni nella dieta. E' la la conclusione a cui è giunto un gruppo internazionale di linguisti e antropologi coordinati da Damian E. Blasi dell'Università di Zurigo, che firmano un articolo pubblicato su "Science". permettono il linguaggio umano si sarebbero formate in coincidenza con l'emergere diHomo sapiens, circa 300.000 anni fa, e sarebbero rimaste immutate da allora. presenti nelle diverse lingue sono tutt'altro che uniformi. Alcuni di essi si ritrovano pressoché in tutte le lingue, come le vocali di base e consonanti come la "m", ma svariate consonanti - come la "f" e "v" - pur essendo molto diffuse nelle lingue moderne, lo sono molto meno in altre lingue, e altre ancora, come i "click" (ottenuti facendo schioccare la lingua contro il palato) sono presenti solo in alcune etnie dell'Africa meridionale e orientale. L'uso di modelli biomeccanici ha mostrato come la produzione di suoni come la "f" sia facilitato dall'assetto delle strutture orofacciali che si sviluppo in seguito all'abitudine di consumare cibi morbidi (a sinistra) rispetto a quello favorito da cibi più duri e resistenti. (Cortesia Scott Moisik)Blasi e colleghi hanno ripreso un'ipotesi avanzata nel 1985 dal linguista Charles F. Hockett, che aveva osservato come le cosiddette consonanti labiopalatali - come "f" e "v" - fossero molto più frequenti nelle lingue di popolazioni che avevano accesso a una dieta a base di cibi più morbidi. e mandibolari di crani di varia epoca e origine geografica e di simulazioni biomeccaniche di diverse strutture orofacciali umane, i ricercatori hanno ora fornito una conferma di questa ipotesi, ma individuando un meccanismo di modificazione delle strutture fonatorie più complesso di quello originariamente suggerito da Hockett. loro presenza nella dieta, spiegano i ricercatori, e l'introduzione della ceramica rendeva possibile cottura accurata dei cibi, la forza da imprimere con il morso - e quindi la sua importanza - diminuiva. una posizione sostanzialmente allineata dei denti superiori e inferiori, quale quella che si presenta nei bambini. Di fatto, la perdita dell'abitudine a dare morsi potenti per incidere e strappare gli alimenti determina un leggero avanzamento dei denti dell'arcata superiore rispetto a quelli dell'arcata inferiore. Questo facilita notevolmente l'emissione dei suoni labiopalatali, che vengono prodotti sfiorando o toccando con il labbro inferiore i denti superiori, e quindi la loro diffusione in una lingua. (red) |
Post n°2053 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze Uno studio sui genomi di oltre 100.000 soggetti ha individuato ben 413 associazioni tra varianti geniche e sviluppo della schizofrenia. La correlazione non riguarda solo varianti anomale nei geni ma anche nei livelli di espressione di quei geni in 13 regioni cerebrali, modificando 36 percorsi metabolici in atto nel cervello dal periodo prenatale fino all'età adulta Ben 413 associazioni fra variazioni genetiche e sviluppo della schizofrenia sono state individuate da uno studio condotto da un amplissimo gruppo internazionale di ricercatori - a cui hanno partecipato fra gli altri lo Schizophrenia Working Group of the Psychiatric Genomics Consortium e il CommonMind Consortium - che illustrano i loro risultati su "Nature Genetics" in un articolo a prima firma Laura M. Huckins della Icahn School of Medicine at Mount Sinai, a New York. Photo Library / AGFNonostante le intense ricerche condotte in anni recenti, le basi genetiche della schizofrenia sono ancora poco conosciute: il numero di geni coinvolti nella sua genesi è infatti progres- sivamente cresciuto e si sono accumulate prove che alla sua insorgenza concorre anche il livello di espressione espresso da quei geni in diverse aree cerebrali e in diversi momenti della vita. colleghi hanno condotto uno studio che ha messo in relazione i risultati di ricerche genetiche genome wide (GWAS) e di ricerche di trascrittomica. di un codice genetico per vedere se una variazione è più frequente nelle persone con un tratto particolare (in questo caso la schizofrenia). 100.000 persone: 40.299 persone con schizofrenia e e 62.264 controlli sani. Gli studi di trascrittomica analizzano invece i livelli di migliaia di filamenti di RNA messaggero di ciascun soggetto, al fine di risalire ai livelli di espressione dei diversi geni nelle diverse regioni cerebrali. Questi studi, che generano una mole immensa di dati, permettono di ottenere dati significativi solo grazie al ricorso ad algoritmi di apprendimento profondo. associazioni con la schizofrenia, che coinvolgono 256 geni attivi in 13 regioni cerebrali distinte, e una serie di livelli di espressione anomala di quei geni che alterano 36 percorsi metabolici all'interno del cervello. geniche e di livelli di espressione alterati correlati alla malattia interessano la corteccia prefrontale dorsolaterale. I ricercatori hanno anche scoperto che i geni associati alla schizofrenia sono espressi nel corso di tutto lo sviluppo, anche se alcuni mostrano anomalie di espressione prevalentemente durante specifiche fasi della gravidanza, e altri durante l'adolescenza o l'età adulta. (red)Tweet |
Post n°2052 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 07 marzo 2019 La regione cerebrale dell'ippocampo, che sovraintende alla memoria episodica, conserva una traccia di memoria per ciascuno dei singoli elementi dell'ambiente e una traccia distinta per la caratteristica che li accomuna. La scoperta potrebbe spiegare come fa il cervello a formare associazioni tra oggetti ed eventi, un passaggio fondamentle per i processi di apprendimento Un cane sente il suono di un campanello subito prima di ricevere il pasto. Se i due eventi saranno ripetuti insieme per molte volte, alla fine l'animale inizierà a salivare tutte le volte che ascolta il suono del campanello. fisiologo russo Ivan Pavlov sul condizionamento delle risposte comportamentali, uno dei fondamenti della moderna psicologia sperimentale. Ma associare tra loro stimoli diversi non è certo una prerogativa dei cani; tutti gli animali stabiliscono continuamente collegamenti tra gli eventi, in un processo di apprendimento fondamentale per la sopravvivenza: associano un colore a un frutto velenoso o un odore alla presenza di un predatore. Sezione del cervello umano: è visibile in verde, la caratteristica forma dell'ippocampo (Science Photo Library / AGF) I ricercatori dell'Arizona State University e della Stanford University, che riferiscono i loro risultati in un articolo su "Nature Communications", hanno ora scoperto uno schema di attivazione dell'ippocampo - una regione cerebrale importante per la memoria episodica, cioè legata all'esperienza di tutti i giorni - che spiegherebbe come si formano queste associazioni. meccanismo di base che consente in qualche modo di tenere una traccia di memoria sia degli elementi distinti sia della loro combinazione. ad alcuni test di associazione di stimoli, analizzandone nel frattempo il cervello con la risonanza magnetica funzionale (fMRI), che consente di visualizzare le aree cerebrali attive mentre un soggetto è impegnato in un compito. messo a confronto l'ippocampo con altre aree cerebrali che potrebbero contribuire ai processi di apprendimento, come la corteccia paraippocampale, la corteccia peririnale, il solco frontale inferiore e la corteccia orbitofrontale mediale. area che rappresentava le immagini dello stimolo associate tra loro. Per esempio, quando si trattava di un volto e di una casa, l'ippocampo mostrava una traccia per il volto, una per la casa e una terza traccia - distinta dalle prime due - per l'associazione volto-casa. connessioni dell'ippocampo con altre regioni cerebrali durante il test, scoprendo un importante collegamento con lo striato, che si attiva quando il soggetto cerca di prevedere gli esiti di una situazione sulla base dei dati disponibili. l'ippocampo raccoglie informazioni su combinazioni di caratteristiche di oggetti ed eventi, inviandole poi allo striato, che le utilizza per i suoi compiti. struttura interconnessa, con parti diverse che lavorano insieme per produrre le nostre impressionanti capacità mentali", ha spiegato Samuel McClure, autore senior dell'articolo. (red) |
Post n°2051 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze Il sonno ha una funzione specifica e importantissima all'interno di ciascun neurone: permette la riparazione dei danni al DNA che si accumulano durante la veglia. La scoperta, ottenuta studiando i cromosomi di un piccolo pesce, potrebbe spiegare come mai il sonno è così essenziale per tutti gli organismi con un sistema nervoso - compresi noi esseri umani Dai vermi alle meduse, dalle mosche agli esseri umani. Tutti gli organismi con un sistema nervoso dormono, compresi noi, che dedichiamo al sonno circa un terzo della nostra vita. Ma a cosa serve esattamente un comportamento che si è conservato così stabilmente nel corso dell'evoluzione, nonostante abbia alcuni svantaggi, come essere esposti all'attacco dei predatori? e condotto su Danio rerio, o pesce zebra, un modello animale molto usato in biologia, ricercatori dell'Università Bar-Ilan, in Israele, rivelano ora una funzione essenziale del sonno, che si svolge al livello dei singoli neuroni. Utilizzando tecniche di imaging 3D con una risoluzione di un cromosoma, gli autori sono infatti riusciti a dimostrare per la prima volta che i neuroni hanno bisogno del sonno per eseguire la "manutenzione" del DNA che si trova nel loro nucleo. -fisici, come radiazioni e stress ossidativo, sia processi biologici, come l'attività del neurone stesso. All'interno di ogni cellula, tuttavia, ci sono sistemi specificamente dedicati alla correzione di questi danni. Nell'immagine, dinamica dei cromosomi (in verde) in un singolo neurone (in rosso, nella casella tratteggiata) di una larva di pesce zebra (David Zada/ Bar-Ilan University) Gli autori hanno osservato il movimento del cromosoma - l'insieme di DNA e proteine visibili in alcune fasi del nucleo cellulare - all'interno dei nuclei dei neuroni di alcuni esemplari di Danio rerio mentre i pesci erano svegli o addormentati. di giorno, quando il danno al DNA si accumula costantemente e può raggiungere livelli pericolosi. Viceversa, sono più attivi di notte, quando il corpo riposa, e questa maggiore attività si associa a una maggiore efficienza della riparazione dei danno al DNA. la veglia non è abbastanza efficiente e ha bisogno di un periodo di sonno, durante il quale il cervello riceve un numero di stimoli limitato. "È un po' come una strada piena di buche", ha spiegato Lior Appelbaum, che ha guidato lo studio. "Le strade accumulano segni di usura, specialmente durante il giorno nelle ore di punta, ed è più comodo ed efficiente sistemarle di notte, quando c'è poco traffico". prezzo della veglia", ipotizzando, insieme a David Zada, primo autore dello studio, che il sonno consolidi e sincronizzi la manutenzione del nucleo all'interno dei singoli neuroni. "Nonostante il rischio di una ridotta consapevolezza ambientale, gli animali devono dormire per permettere ai loro neuroni di eseguire una manutenzione efficiente del DNA, e questo è probabilmente il motivo per cui il sonno si è evoluto ed è così conservato nel regno animale ", ha concluso. (red) |
Post n°2050 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 01 marzo 2019 I roditori della specie Scotinomys teguina si esibiscono in caratteristici duetti per il controllo del territorio, alternandosi nel canto. Il comportamento è possibile grazie a due regioni cerebrali distinte, una scoperta che potrebbe servire a capire meccanismi analoghi che regolano le conversazioni tra esseri umani(red) I maschi di Scotinomys teguina, una specie di criceti diffusa in Costarica, hanno un comportamento singolare. Quando si affrontano per il controllo del territorio, due maschi ingaggiano una sorta di "duetto" cantato che segue uno schema ritualizzato: il criceto che viene sfidato reclama la sua posizione con una vocalizzazione. Lo sfidante inizia il suo canto solo dopo che il primo criceto ha finito, e così via, in rapidissima successione. cercato di capire in che modo questi roditori controllano i muscoli che consentono le vocalizzazioni e come tengono conto di quando devono emetterle, in rapida alternanza con l'avversario. Uno studio pubblicato su "Science" da Michael Long della New York University ha concluso che i duetti forniscono preziose indicazioni sulle regioni cerebrali che sovraintendono agli scambi di vocalizzazioni in tutti i mammiferi, compresi gli esseri umani. Un esemplare della specie Scotinomys teguina (Credit: NYU School of Medicine) Analizzando i tracciati elettromiografici, che misurano i segnali elettrici generati dal cervello per produrre contrazioni muscolari, i ricercatori hanno scoperto che per i duetti canori dei criceti erano necessarie aree cerebrali distinte della corteccia motoria: una per il controllo della vocalizzazione e una per sapere quand'è il proprio turno nelle rapidissime serie di interruzioni e riprese delle vocaliz- zazioni. controllano la produzione dei suoni da quelli che ne controllano il ritmo negli scambi con altri individui, l'evoluzione ha dotato il cervello di questi roditori canterini di un raffinato controllo vocale osservato anche nel frinire dei grilli, nei duetti degli uccelli, e forse anche nelle conversazioni umane", ha sottolineato Arkarup Banerjee, coautore dello studio. ancora speculativo, ma le analogie con quanto avviene negli animali sono significative, perché il nostro cervello riesce a generare risposte verbali istantanee utilizzando centinaia di muscoli. Grazie a questo tipo di modelli animali, i ricercatori sperano di acquisire informazioni anche per trovare terapie per i deficit del linguaggio e della fonazione, come quelli tipici dell'autismo o delle conseguenze di un ictus, o di quelli carattieristici di altri disturbi psichici. |
Post n°2049 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze
L'editoriale del n.171 di Mind, in edicola il 27 febbraio 2019di Marco Cattaneo Era il 1950 quando Isaac Asimov pubblicava una raccolta dei suoi racconti di fantascienza. La intitolò Io, robot, e nel racconto Essere razionale comparivano per la prima volta in forma compiuta le tre leggi della robotica. quaranta, e alla fine, nella loro versione originale, suonavano così: 1) un robot non può recare danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano subisca un danno; 2) un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché questi ordini non contravvengano alla prima legge; 3) un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la prima o con la seconda legge. Asimov sono un tantino ingenue, o perlomeno semplicistiche. La nostra etica è indubbiamente governata da principi più complessi e flessibili. Ma d'altra parte quando Asimov scriveva le sue leggi l'informatica stava muovendo i primi passi, i computer erano giganteschi macchinari che occupavano intere stanze e l'intelligenza artificiale non era ancora stata inventata, almeno come espressione. Fu coniata nel 1956, da John McCarthy, nel convegno del Dartmouth College che viene considerato l'atto di fondazione di questa nuova scienza. regole, però, è ora di fare sul serio. Perché - come dice Pedro Domingos, citato da Stefania De Vito a p. 92 - siamo preoccupati che i computer possano diventare tanto intelligenti da conquistare il mondo, «ma il problema vero è che i computer sono ancora troppo stupidi, e hanno già conquistato il mondo». zioni di intelligenza artificiale stanno diventando pervasive. Ma robot e computer prendono le decisioni sulla base delle informazioni che apprendono, perciò i dati con cui sono alimentati sono importanti almeno quanto gli algoritmi. E i dati che vengono forniti alle macchine partendo dai grandi numeri della rete e dei social network risentono degli stessi pregiudizi, delle stesse distorsioni, degli stessi stereotipi diffusi tra gli esseri umani. Lo hanno sperimentato colossi del digitale come Google e Amazon, rilevando che le banche dati tendono a sovrarappresentare individui bianchi e di sesso maschile. E chi l'avrebbe mai detto... a prendere decisioni lo si capisce, per esempio, quando si pensa all'introduzione sul mercato delle auto a guida autonoma. E a quei test in cui si chiede alle persone di scegliere chi «sacrificare» in caso di incidente i nevitabile. Tra i molti esperimenti condotti in questo campo, De Vito ne ricorda uno illuminante, pubblicato su «Science» nel 2016. incidente imminente, l'auto dovesse proseguire e investire numerose persone o sterzare, andando contro un muro e sacrificando il passeggero. La risposta, nella maggior parte dei casi, era scontata: un'auto dovrebbe salvaguardare il maggior numero di vite umane possibile, e dunque uccidere il passeggero. Ma c'è un problema. Probabilmente nessuno acquisterebbe un'automobile programmata per ucciderlo, nemmeno sapendo che si tratta di un'eventualità rarissima. evoluta per decine di migliaia di anni con il mutare del tessuto sociale, e tuttavia rimane incerta, fluida, contraddittoria. Quanto siamo sicuri di affidare a una macchina questioni di vita o di morte? |
Post n°2048 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 20 febbraio 2019 Un particolare fenomeno, chiamato blocco di memoria, che si manifesta nei processi di apprendimento, non è dovuto a un problema nel meccanismo di formazione dei ricordi, quanto piuttosto a un'incapacità di recuperarli. Lo ha stabilito un nuovo studio sperimentale condotto su C. elegans, un piccolo verme con sole 302 cellule nervose(red) Gli studiosi lo chiamano blocco di memoria, o blocco di Kamin. Si verifica quando un animale che ha già imparato a rispondere a un input percettivo, per esempio un suono, in seguito non riesce ad apprendere a rispondere a un input di tipo diverso, come un lampo di luce, se questo viene presentato insieme al primo. Si tratta di un meccanismo fondamentale per il processo di apprendimento dall'esperienza, in cui ha un ruolo centrale la presenza di un effetto sorpresa. da Derek van der Kooy e colleghi dell'Università di Toronto, in Canada, ha scoperto che questo blocco non è dovuto a un problema nel meccanismo di formazione dei ricordi, quanto piuttosto a un'incapacità di recuperarli. Il risultato è stato ottenuto studiando Caenorhabditis elegans, un piccolo verme lungo solo un millimetro, che rappresenta uno degli organismi più utilizzati nei laboratori di biologia, per la sua semplicità: il suo sistema nervoso è formato da 302 cellule nervose, la cui posizione è nota con certezza. Per studiare il blocco di memoria in C. elegans, van der Kooy e colleghi hanno utilizzato due sostanze: il sale e la benzaldeide, che conferisce alle mandorle il loro caratteristico sapore. Normalmente i vermi sono attratti da queste due sostanze, ma gli autori ne hanno addestrato alcuni a sviluppare una forte avversione al sapore del sale o all'odore della benzaldeide. Hanno poi mostrato che l'avversione per ciascuna di esse poteva essere soppressa presentandole insieme nell'ambiente intorno a verme. Approfondendo a livello biochimico il processo, hanno evidenziato che il ricordo dell'avversione della benzaldeide, per esempio, si era formato, ma non poteva essere recuperato: il verme l'aveva dimenticato. contraddice la classica interpretazione del blocco, in cui si ritiene che un elemento di sorpresa sia necessario perché venga disturbata la seconda associazione", ha spiegato Daniel Merritt, primo autore dell'articolo. "I nostri dati mostrano che la memoria si forma ma è l'espressione di un comportamento che è soppresso in qualche modo". Cosa succede nella mente del verme durante quel tempo? Merritt, che ora sta lavorando per scoprire parti del cervello dei vermi che aiutano a integrare le risposte di apprendimento del sale e della benzaldeide. cambiamenti molecolari che stanno avvenendo nella memoria è decisamente affascinante, ma la memoria umana è troppo effimera e nebulosa per poter fissare qualcosa", ha concluso il ricercatore. "Studiandolo nei vermi, stiamo davvero facendo molti progressi nel capire esattamente cosa sta succedendo quando i ricordi sono formati e recuperati, con un approccio molecola per molecola". |
Post n°2047 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 12 febbraio 2019 Un nuovo studio ha scoperto che il midollo spinale elabora direttamente i segnali neurali necessari per controllare il movimento delle mani. La scoperta smentisce l'idea che questa parte del sistema nervoso serva quasi esclusivamente a trasferire i segnali neurali tra il cervello e la periferia del corpo(red) Il midollo spinale, la porzione del sistema nervoso che esce dalla scatola cranica e corre lungo la colonna vertebrale, è stata considerata finora poco più di una lunga "autostrada" di collegamento, incaricata di trasmettere gli impulsi nervosi che partono dall'encefalo e arrivano alle zone periferiche dell'organismo, e viceversa. ha dimostrato invece che il midollo spinale ha un ruolo molto più "intelligente", perché è in grado anche di elaborare e controllare funzioni motorie complesse, per esempio come mettere una mano in una certa posizione nello spazio. Questo tipo di controllo delle mani richiede la raccolta di stimoli sensoriali che arrivano da diverse articolazioni, essenzialmente dal gomito e dal polso, stimoli che finora si pensava fossero elaborati e convertiti in comandi motori a livello della corteccia cerebrale. di laboratorio in cui alcuni soggetti hanno indosato un esoscheletro robotico, in grado di compiere movimenti nelle tre direzioni de llo spazio. Ai volontari è stato poi chiesto di mantenere la propria mano in una posizione dello spazio predefinita. L'esoscheletro robotico aveva il compito di spostare il braccio da quella posizione, e contemporaneamente di far flettere o estendere la mano e l'avambraccio. tempo impiegato dai muscoli del braccio per rispondere ai movimenti dell'esoscheletro riportando il braccio nella posizione predefinita. Dal tempo di latenza dei movimenti e dei relativi impulsi nervosi, sono riusciti a determinare quale parte del processo si svolgesse nel cervello o nel midollo spinale. rapide che non potevano che essere generate dai circuiti dello stesso midollo spinale", ha spiegato Jeff Weiler. "Ciò che si può osservare è che questi circuiti midollari non si preoccupano di ciò che si verifica nelle singole articolazioni, ma solo di dove si trova la mano nello spazio esterno e generano una risposta che cerca di riportarla nella posizione iniziale". ed è denominata riflesso di allungamento (stretch reflex) ma si pensava che fosse molto limitata in termini di ausilio al movimento. solo per ripristinare la lunghezza del muscolo nella situazione originale, qualunque cosa fosse all'origine dell'allungamento", precisa Andrew Pruszynski, autore senior dello studio. "Ciò che abbiamo mostrato è che avviene qualcosa di molto più complesso: un vero e proprio controllo della mano nello spazio". importante viene elaborata a livello del midollo spinale, e apre quindi la strada a un'intero campo di nuove ricerche per cercare di capire che cosa avviene realmente a livello spinale e che cosa finora ci siamo persi", ha concluso il ricercatore. |
Post n°2046 pubblicato il 28 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 04 febbraio 2019 Un nuovo studio ha dimostrato che il giudizio degli altri influenza le opinioni e addirittura la percezione di una persona già a partire dai 12 anni di età, ma lo stesso non avviene nei soggetti autistici(red) autismocomportamentopercezione Il giudizio degli altri condiziona le opinioni di una persona, influenzandone addirittura la percezione, già all'età di 12 anni. Ma non quando è affetta da un disturbo dello spettro autistico. A scoprirlo è stato un nuovo studio pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences" da Kristine Krug dell'Università di Oxford, nel Regno Unito, e colleghi di altri istituti australiani e tedeschi. di studi che riguardano l'influenza sociale nella capacità di giudizio e di scelta dell'individuo, iniziati con i pionieristici test dello psicologo statunitense Solomon Asch. volontari di dire se un certo stimolo visivo era comparso o no davanti ai loro occhi. Dimostrò così che molto spesso i soggetti tendevano a uniformarsi al giudizio degli altri, anche se era sbagliato. E non solo: alcuni di loro, messi di fronte alle prove del loro errore, erano assolutamente sicuri di aver percepito lo stimolo come avevano detto. sono stati condotti centinaia di studi sullo stesso fenomeno, e i loro risultati sono stati interpretati secondo due filoni diversi. degli altri influenzi il processo di elaborazione delle informazioni ricavate dalla percezione sensoriale; il secondo sull'idea che l'influenza riguardi la percezione stessa, perché per esempio il soggetto tende a percepire selettivamente solo gli stimoli che confermano l'opinione della maggioranza. a che età si inizia a essere condizionati dall'opinione degli altri, e in che modo la tendenza sia presente in un disturbo neuropsicologico come l'autismo, in cui la comunicazione sociale è fortemente compromessa. comportamentali di 125 bambini neurotipici e 30 bambini autistici tra i 6 e i 14 anni, sottoposti a un test di decisione percettiva che prevede la discriminazione di figure tridimensionali in movimento. a una simulazione di volo su un'astronave. I bambini dovevano prendere decisioni sulla navigazione giudicando la direzione di rotazione di alcuni buchi neri. Prima di ogni decisione, ai bambini veniva mostrato il video di un "consulente", che poteva essere un bambino o un adulto. quello dei bambini neurotipici, in tutte le fasce d'età, le decisioni sono risultate i nfluenzate da alcuni elementi sensoriali, come la percezione della profondità. sull'influenza dei consulenti. Le decisioni dei bambini neurotipici tra i 12 e i 14 anni erano statisticamente spostate nella direzione dell'opinione del consulente - a riprova del fatto che l'influenza sociale del giudizio emerge a quell'età - anche se aveva dato un consiglio sbagliato. Lo stesso fenomeno non è invece emerso nel gruppo di bambini autistici. |
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