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Messaggi del 06/04/2019

Fahrenheit 451

Post n°2097 pubblicato il 06 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Autore

Ray Bradbury

1ª ed. originale

1953

1ª ed. italiana

1956

Genere

romanzo

Sottogenere

fantascienza

Lingua originale

inglese

Fahrenheit 451 (edito in Italia anche

con il titolo Gli anni della fenice) è

unromanzo di fantascienza del 1953,

scritto da Ray Bradbury.

Ambientato in un imprecisato futuro

posteriore al 1960, vi si descrive una

società distopica in cui leggere o possedere

 libri è considerato un reato, per contrastare

il quale è stato istituito un apposito corpo

di vigili del fuocoimpegnato a bruciare

ogni tipo di volume.

Nel 1966 il libro è stato trasposto in un 

omonimo film per la regia di François Truffaut 

e una seconda trasposizione cinematografica

 è apparsa nel 2018 per la regia di R. Bahrani.

Nel 2004 al libro è stato assegnato il premio

 Retro Hugocome miglior romanzo 1954.

Storia editoriale

Nasce come espansione del romanzo breve 

The Fireman, pubblicato originariamente

nel numero di febbraio 1951 della rivista 

Galaxy Science Fiction. In forma di romanzo

fu pubblicato per la prima volta nel 1953

sulla nascente rivista Playboy, sul secondo,

terzo e quarto numero.

 È stato pubblicato in italiano per la prima

volta sulla rivista Urania in due puntate

(nn. 13 e 14, novembre e dicembre 1953),

con il titolo Gli anni del rogo.

Nel racconto La volpe e la foresta

 (The Fox and The Forest, 1950), si accenna

a un futuro distopico dove vengono censurati

i pensieri, si viene costretti ad ascoltare la

radio e vengono bruciati i libri: tale racconto

può essere considerato un ravvicinato

precursore dei temi presenti nel libro.

Il titolo del romanzo si riferisce a quella che

Bradbury riteneva essere la temperatura di

accensione della carta e che nelSistema

internazionale corrisponde a circa 506 K,

233 °C, anche se nel testo non vi si fa r

iferimento: infatti questa cifra compare solo

sull'elmetto da pompiere del protagonista

Montag. In realtà la temperatura d'accensione

della carta dipende dal suo spessore:

quella di giornale si accende per esempio a

 185 °C, quella da lettera a 360 °C.

Trama

Il protagonista, Guy Montag, lavora nei

pompieri, come un tempo suo padre e suo

nonno. Nella sua epoca però i pompieri,

"la milizia del fuoco", non spengono gli incendi,

bensì appiccano roghi alle case di coloro che 

hanno violato la legge, nello specifico di coloro

che nascondono libri in casa, in quanto la

lettura è proibita.

All'inizio della narrazione Montag sembra

convinto della sua missione poi  però inizia a

chiedersi cosa contengano i libri, perché le

persone rischino la libertà e la loro casa:

l'incontro con un'anziana donna che preferisce

bruciare nella sua casa anziché abbandonare

i libri lo sconvolge completamente.

Montag inizia a salvare alcuni libri e a leggerli

di nascosto.

Cosa che impensierisce  il suo capitano,

Beatty, che intuisce cosa si celi dietro il malessere

del suo sottoposto. Beatty cerca di parlare

con Montag, che vorrebbe licenziarsi, e le

sue parole rivelano comprensione per i

tormenti che ha provato anche lui ma nel  

contempo il capitano cerca di riportare

Montag alla ragione, rafforzando invece,

con le sue parole, la volontà di Montag di

lasciare il lavoro. Mildred, la moglie di

Montag, denuncia la presenza di libri in

casa e lascia il marito, così Beatty torna la

sera stessa per bruciargli la casa e

arrestare Montag, costringendolo a dar  

  fuoco lui stesso alla casa con il lanciafiamme.

Dopodiché Beatty inizia a provocare Montag

fino a    quando quest' ultimo gli dà fuoco

con il lanciafiamme.

Montag si ripara poi lungo il fiume, sulle cui

rive incontra un gruppo di uomini fuggiti dalla

società che, insieme ad altri loro compagni

sparsi per tutta la nazione, custodiscono il

patrimonio letterario dell'umanità mandando

a memoria i libri, senza conservarne copie,

per non infrangere la legge.

Intanto la televisione comunica la falsa ma

rassicurante notizia della sua morte durante

l'inseguimento.

Sulla città viene sganciato un ordigno nucleare

 e Montag, con i suoi nuovi compagni, si avvia

verso di essa per prestare soccorso ai

sopravvissuti, sperando di essere utili alla

società e aiutando a ricostruirla.

Contesto storico

La passione di Bradbury per i libri, che lo

accompagnerà per tutta la vita, cominciò

molto presto. Come utente frequente delle

biblioteche locali tra il 1920 e il 1930, spesso

fece notare il suo disappunto per il fatto che

non fossero rifornite di popolari romanzi

fantascientifici, come ad esempio quelli di

H. G. Wells, perché all'epoca non erano

considerati abbastanza eruditi.

Tra questo episodio e il venire a sapere

della distruzione della Biblioteca di Alessandria

nel giovane uomo si fece strada la profonda

consapevolezza della vulnerabilità alla

censura e alla distruzione a cui sono soggetti

i libri. Una volta divenuto adolescente,

Bradbury fu inorridito dal rogo dei libri

 perpetrato dal regime nazista e in seguito

anche dalla campagna politica di repressione

messa in atto da Stalin, le Grandi purghe,

durante la quale numerosi poeti e scrittori,

tra gli altri, furono arrestati e spesso giustiziati

Nel 1947, dopo la conclusione della

Seconda Guerra Mondiale e dopo le

bombe atomiche su Hiroshima e 

Nagasaki, la Commissione per le attività

anti-americane (HUAC), nata nel 1938

per investigare su cittadini americani che

fossero in qualche  modo collegati ai

comunisti, tenne delle udienze per

investigare su presunte influenze del

comunismo nelle produzioni di film a

Hollywood.

Queste udienze risultarono nella lista

nera dei cosiddetti "Hollywood Ten",

un gruppo di sceneggiatori e registi

piuttosto influenti.

Questa interferenza del governo in

affari artistici e di tipo creativo scatenò

l'ira di Bradbury. Amareggiato e interessato

alle mosse del suo governo, in una notte

del tardo 1949 incontrò uno zelante poliziotto

che avrebbe ispirato Bradbury per la stesura

di una breve storia, The Pedestrian, che

sarebbe dapprima diventataThe Fireman 

e poi Fahrenheit 451.

L'ascesa del senatore Joseph McCarthy e

le sue udienze di accusa contro i comunisti

a partire dal 1950, avrebbero approfondito

a dismisura il disprezzo dello scrittore nei

confronti del governo.

Lo stesso anno in cui la commissione per

l'attività anti-americane iniziò ad investigare

a Hollywood è spesso considerato l'inizio

della guerra fredda, che nel marzo del 1947

fu annunciata dalla Dottrina Truman.

Intorno al 1950, la guerra fredda era al suo

apice e la paura degli americani per la 

guerra atomica e l'influenza comunista era

a livelli febbrili.

La scena era pronta per la stesura

dell'olocausto nucleare presente alla fine

del romanzo Fahrenheit 451, esemplificando

uno scenario tanto temuto dal popolo

americano del tempo, ma al tempo stesso

quasi irreale: la guerra è solo un'eco e gli

unici effetti visibili sono vedere i ragazzi

partire al fronte e sentire gli aerei militari

volare alti.

Nella sua giovinezza, Bradbury fu un

testimone dell'età d'oro della radio, e

la transizione all'età d'oro della televisione

iniziò all'incirca quando cominciò a lavorare

sulle storie che l'avrebbero condotto a

Fahrenheit 451. Bradbury vide questi media

come una minaccia alla lettura dei libri, come

una minaccia alla società, perché possono

costituire una distrazione dalle questioni

più importanti.

Questo disprezzo per i mass media si

esprimerà attraverso Mildred e le sue amiche

ed è un importante tema presente

all'interno del libro.

Critica

Il testo, da cui lo stesso Bradbury ha

tratto una versione per il teatro, rientra

nel filone della fantascienza sociologica e

vuole rappresentare in modo esplicito i

rischi di una società distopica.

Secondo alcuni critici vorrebbe simboleggiare

un'allegoria del maccartismo imperante nella

società statunitense dei primi anni cinquanta.

Secondo altri l'autore avrebbe inteso

prefigurare semplicemente una società 

distopica cresciuta all'ombra di cervellotici 

machiavellismi.

Analogie con Huxley e Orwell

Il romanzo di Bradbury affronta il tema

delicato della gestione delle informazioni 

e del controllo della società e - sotto questo

particolare aspetto - tratta lo stesso tema

dell'altrettanto famoso romanzo di 

Aldous Huxley Il mondo nuovo, pubblicato nel1932.

In entrambi i romanzi l'attenzione delle

persone verso l'operato del governo è

annichilita dall'imposizione di un consumo

di massa, dove il fine ultimo è apparenza,

protagonismo e appagamento materialista.

Nonostante il proposito delle dittature, la

felicità risulta essere solo apparente e

sussistono numerose manifestazioni di

depressione, che però possono essere

eliminate facilmente grazie all'uso di 

stupefacenti.

Fahrenheit 451 ha anche numerose

analogie con il romanzo 1984 di George Orwell:

in entrambe le storie è presente la delazione 

(persino fra componenti dello stesso nucleo

familiare), anche se in 1984 essa è inculcata

fin da bambini e considerata positiva, in

Fahrenheit 451 è solo una prassi comune.

In entrambi i libri si fa un uso massiccio

della censura e della manipolazione

dell'informazione, ma organizzata in modo

differente. In 1984 esistono ancora i libri  ma

tutte le notizie vengono costantemente

rimaneggiate a posteriori ad opera di un ministero

delegato, le notizie sono palesemente in

contrasto con la realtà quotidiana di povertà e

abbrutimento della città e dei suoi abitanti e la

televisione diventa l'unico mezzo di comunicazione

ed educativo obbligatorio, al punto che non si

può spegnerla in nessun caso.

Nel romanzo di Bradbury invece è bandita

qualsiasi informazione scritta (che non siano

aridi manuali tecnici o scolastici oppure giornali

sportivi o umoristici).

I libri sono materiale illegale perché la società

deve proteggersi dalle persone che potrebbero

mettersi a pensare, istigate dai libri; la televisione

è presente non come strumento di educazione

ed oppressione, ma come un riempitivo volontario

della vita quotidiana, la tv non veicola nessun

contenuto, è solo intrattenimento puro.

Le notizie vere si ascoltano ancora alla radio,

ma la guerra viene presentata come qualcosa

che non interferisce con la normalità della vita

quotidiana e inoltre si è sicuri di vincerla,

quindi vengono date notizie rassicuranti,

finché una bomba non verrà sganciata sulla città.

Inoltre la città di Montag è improntata al

consumismo e al benessere dell'"American

way of life"

A differenza di quanto accade in 1984Fahrenheit 451 e Il mondo nuovo possono essere considerati libri critici verso le degenerazioni informative dei regimi democratici, basati sul sempre più invadente consumo di massa. In ogni caso il libro di Bradbury ha un finale aperto a una nuova vita e alla speranza, mentre Huxley e Orwell non lasciano alcuna via di fuga.

Opere derivateFilm

Fahrenheit 451, regia di François Truffaut (1966)

Fahrenheit 451, film TV, regia di Ramin Bahrani (2018)

Altri media

Nel 1984 è uscito il videogioco Fahrenheit 451,

un'avventura testuale per diversi home computer,

ambientata dopo la fine del romanzo.

Influenza culturale

Il breve racconto dello scrittore

 Robert Sheckley The Mnemone (1971) narra

di un'epoca in cui i libri sono banditi ed in un

piccolo centro americano sopraggiunge un

uomo la cui conoscenza mnemonica di

numerosi testi permette di tramandarli

oralmente a dei potenziali clienti

Papercelsius 154 è una parodia disneyana 

a fumetti del romanzo, scritta da Giorgio Figus

 e disegnata da Claudio Panarese, pubblicata

su Topolino n. 2156. In questa storia è la

 musica a essere proibita.

Parecchi elementi della storia si ritrovano nel

film Equilibrium; tra questi, il rogo dei libri,

l'appartenenza del protagonista a una speciale

milizia governativa e il suo ravvedimento.

Nel film, comunque, sono le emozioni ad essere

proibite, e di conseguenza tutti gli oggetti del

passato che hanno il potere di evocarle, libri 

inclusi.

A titolo e tag-line di questo romanzo si è

ispirato il regista statunitense Michael Moore

 per il suo documentario Fahrenheit 9/11 

basato sui fatti dell'11 settembre 2001.

Bradbury si è detto molto infastidito dal "furto"

del titolo, chiedendo più volte le scuse di

Moore e un cambio di titolo del film. 

 
 
 

Per migliorare una tecnologia non serve comprenderla

Post n°2096 pubblicato il 06 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

03 aprile 2019

Per migliorare una tecnologia non serve comprenderla

Migliorare una tecnologia è possibile anche se

non si capisce come funziona.

E' quanto ha stabilito un test di laboratorio,

suggerendo che tecnologie in uso fin dall'antichità,

come l'arco o la canoa, sono il frutto di un

processo di selezione di modifiche apportate

nel corso delle generazioni attraverso un

meccanismo di copiatura, spesso senza una

comprensione dei principi sottostanti

antropologiatecnologia

Molti degli strumenti che usiamo da millenni,

come l'arco o la canoa, mostrano un eccellente

grado di sviluppo tecnologico, adatto alle

esigenze di sopravvivenza in un ambiente naturale.

Questo sviluppo ha dello stupefacente,

considerato che si tratta di manufatti realizzati

senza un progetto e senza una comprensione

teorica dei molteplici parametri coinvolti,

difficili da cogliere anche con buone conoscenze

di fisica.

Per migliorare una tecnologia non serve comprenderla

Boscimani a caccia con arco e frecce.

Anche nelle società tradizionali, sono in uso

tecnologie con un elevato grado di perfezionamento,

frutto di milglioramenti stratificati in molte generazioni

(Agefotostock / AGF)Uno studio pubblicato su "Nature

Juman Behavior" da un gruppo internazionale di ricerca

guidato da Maxime Derex, dell'Università di Exeter,

nel Regno Unito e dell'Università Cattolica di Lille, in

Francia, dimostra ora grazie a un esperimento che

non è necessario comprendere una tecnologia per

riuscire a migliorarla.

Per spiegare i meccanismi che hanno plasmato

l'evoluzione degli strumenti tecnologici, gli

antropologi hanno elaborato due teorie principali:

l'ipotesi della nicchia cognitiva e l'ipotesi della

nicchia culturale.

Secondo la prima, la selezione naturale ha

migliorato l'abilità dei nostri antenati di pensare

in modo creativo, di pianificare e di ragionare

sui nessi causali dei fenomeni che si verificavano

nell'ambiente. Le migliorate capacità e competenze

hanno poi portato alla produzione di tecnologie

più efficienti.

Secondo l'ipotesi della nicchia culturale, invece,

le tecnologie complesse, come quella di un arco,

non sono il risultato delle nostre capacità di 

ragionamento, ma della nostra spiccata

propensione a copiare ciò che fanno gli altri

membri del nostro gruppo.

In sostanza, ciascun individuo può introdurre

piccoli miglioramenti, che con il tempo subiscono

un processo di selezione fino a ottenere uno

strumento efficace, ma senza una comprensione

esplicita dei miglioramenti introdotti e del perché

funzionino.

Per verificare questa idea, Derex e colleghi

hanno coinvolto alcuni studenti in un esperimento.

I partecipanti dovevano ottimizzare la

configurazione di una ruota che scivolava lungo

una pista in discesa.

Ciascuno aveva a disposizione cinque tentativi

per migliorare la struttura, e prima di ogni

azione doveva rispondere a un questionario

ideato per verificare la comprensione dei

meccanismi fisici che influivano sulla velocità

della ruota.

Per simulare l'azione delle diverse generazioni

nel miglioramento di una tecnologia, gli autori

hanno formato gruppi di cinque partecipanti,

in cui ogni soggetto poteva seguire su un

computer gli ultimi due tentativi di chi l'aveva

preceduto.

In una seconda versione del test, i soggetti

trasmettevano i loro tentativi ai successori

insieme a una descrizione teorica di ciò che

avevano fatto per arrivare a un miglioramento.

In entrambi i casi, la velocità della ruota è

migliorata nel tempo, anche se la comprensione

del perché da parte dei soggetti coinvolti è

rimasta mediamente mediocre.

Un ulteriore dato importante emerso dallo

studio è che spesso i soggetti trasmettevano

ai compagni teorie inaccurate, che limitavano

i tentativi dei successori e ne influenzavano

la comprensione dei problemi.

"La maggior parte dei partecipanti ha prodotto

teorie errate o incomplete nonostante la relativa

semplicità del sistema fisico", ha commentato

Derex. "Ciò  ha limitato la sperimentazione

successiva e ha impedito ai partecipanti di scoprire

soluzioni più efficienti".

Questi risultati indicano che le tecnologie

complesse non necessitano di un miglioramento

del ragionamento, ma invece emergono

dall'accumulo di miglioramenti nel corso delle

generazioni.

"Certo, l'intelligenza è importante per

l'adattamento umano", ha concluso Robert Boyd,

coautore dello studio. "Ma non è abbastanza: la

nostra capacità unica di imparare gli uni dagli altri

rende possibile l'evoluzione culturale cumulativa

di adattamenti efficaci - che nella migliore delle

ipotesi sono solo parzialmente compresi - e

questo potente strumento ha permesso alla

nostra specie di adattarsi e diffondersi". (red)

 
 
 

L'influenza culturale sui suoni delle lingue

Post n°2095 pubblicato il 06 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

14 marzo 2019

L'influenza culturale sui suoni delle lingue

Antichi cambiamenti nella dieta - in particolare

la diffusione dell'agricoltura e di alimenti ben

cotti - hanno influito sulla diffusione nelle

lingue di alcuni suoni consonantici, come

quelli delle consonanti "f" e "v"

linguaggioantropologia

I suoni presenti nelle lingue sono stati in

parte plasmati da cambiamenti nella

biologia umana indotti a loro volta da

cambiamenti culturali, e in particolare

da modificazioni nella dieta.

E' la la conclusione a cui è giunto un gruppo

internazionale di linguisti e antropologi

coordinati da Damian E. Blasi dell'Università

di Zurigo, che firmano un articolo 

pubblicato su "Science".

Secondo la teoria prevalente, le strutture

fonatorie che permettono il linguaggio umano

si sarebbero formate in coincidenza con

l'emergere diHomo sapiens, circa 300.000

anni fa, e sarebbero rimaste immutate da

allora.

Questa ricostruzione non spiega però il

fatto che i suoni presenti nelle diverse lingue

sono tutt'altro che uniformi.

Alcuni di essi si ritrovano pressoché in tutte

le lingue, come le vocali di base e consonanti

come la "m", ma svariate consonanti - come

la "f" e "v" - pur essendo molto diffuse nelle

lingue moderne, lo sono molto meno in altre

lingue, e altre ancora, come i "click"

(ottenuti facendo schioccare la lingua

contro il palato) sono presenti solo in alcune

etnie dell'Africa meridionale e orientale.

L'influenza culturale sui suoni delle lingue

L'uso di modelli biomeccanici ha mostrato come

la produzione di suoni come la "f" sia facilitato

dall'assetto delle strutture orofacciali che si

sviluppo in seguito all'abitudine di consumare

cibi morbidi (a sinistra) rispetto a quello favorito

da cibi più duri e resistenti. (

Cortesia Scott Moisik)Blasi e colleghi hanno

ripreso un'ipotesi avanzata nel 1985 dal

linguista Charles F. Hockett, che aveva osservato

come le cosiddette consonanti labiopalatali -

come "f" e "v" - fossero molto più frequenti nelle

lingue di popolazioni che avevano accesso a una

dieta a base di cibi più morbidi.

Attraverso una serie di misurazioni delle

strutture mascellari e mandibolari di crani

di varia epoca e origine geografica e di

simulazioni biomeccaniche di diverse strutture

orofacciali umane, i ricercatori hanno ora

fornito una conferma di questa ipotesi, ma

individuando un meccanismo di modificazione

delle strutture fonatorie più complesso di

quello originariamente suggerito da Hockett.

Via via che i frutti della caccia e della raccolta

riducevano la loro presenza nella dieta,

spiegano i ricercatori, e l'introduzione della

ceramica rendeva possibile cottura accurata

dei cibi, la forza da imprimere con il morso -

e quindi la sua importanza - diminuiva.

Un morso potente però aiuta a mantenere

anche da adulti una posizione sostanzialmente

allineata dei denti superiori e inferiori, quale

quella che si presenta nei bambini.

Di fatto, la perdita dell'abitudine a dare morsi

potenti per incidere e strappare gli alimenti

determina un leggero avanzamento dei denti

dell'arcata superiore rispetto a quelli dell'arcata

inferiore.

Questo facilita notevolmente l'emissione dei

suoni labiopalatali, che vengono prodotti sfiorando

o toccando con il labbro inferiore i denti superiori,

e quindi la loro diffusione in una lingua. 

 
 
 

Una soluzione per l'enigma delle statue di Rapa Nui

Post n°2094 pubblicato il 06 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

14 gennaio 2019

Una soluzione per l'enigma delle statue di Rapa Nui

Le enigmatiche statue dell'isola di Pasqua

sorgono in corrispondenza delle sorgenti

di acqua dolce, fondamentali per il sostentamento.

Lo ha stabilito un nuovo modello quantitativo,

che offre anche un'interpretazione del

significato dei misteriosi monumenti:

probabilmente rappresentavano antenati

divinizzati e celebravano la condivisione

quotidiana delle risorse(red)

antropologiaarcheologia

L'Isola di Pasqua, o Rapa Nui, secondo il suo

nome indigeno, si trova a 3600 chilometri a

ovest delle coste del Cile ed è famosa per

la straordinaria ed enigmatica testimonianza

archeologica di un'antica popolazione che vi

era insediata: circa 900 gigantesche statue

antropomorfe, i moai, che si ergono su

piedistalli di pietra chiamati ahu.

La realizzazione di queste opere, datate

tra il XIII e il XVI secolo, richiese certamente

una quantità enorme di tempo e di energie,

ma il loro significato non è noto.

Sulla rivista "PLOS ONE",

un gruppo internazionale di ricerca guidato

da Matthew Becker della California State

University a Long Beach propone ora una

spiegazione della distribuzione delle statue

nell'isola: sorgono tutte in corrispondenza

delle risorsa più preziosa per la sussistenza

degli abitanti, vale a dire l'acqua dolce.

Una soluzione per l'enigma delle statue di Rapa Nui

Credit: Juice Images/AGF"

La questione della disponibilità di acqua o della

sua mancanza è stata spesso citata dai ricercatori

che studiano i resti di Rapa Nui", spiega Carl Lipo,

antropologo della Binghamton University.

"Quando abbiamo iniziato a esaminare i

dettagli dell'idrologia dell'isola, abbiamo notato

che durante la bassa marea le sorgenti d'acqua

emergevani in alcuni punti lungo la costa, che

non sono certo evidenti a prima vista".

Studiando le aree intorno agli ahu, i ricercatori

hanno poi verificato che si trovano esattamente

in corrispondenza dei siti in cui emerge l'acqua

di falda.

E più si approfondivano le ricerche, più lo

schema appariva coerente.

"Molti ricercatori, compresi noi, hanno a lungo

ipotizzato una correlazione tra i monumenti e

diversi tipi di risorse, come acqua, terreni

agricoli e risorse marine", aggiunge Robert

Di Napoli ricercatore dell'Universitàdell'Oregon

e autore principale dello studio.

"Tuttavia, queste correlazioni non sono mai

state verificate quantitativamente o si sono

rivelate non significative statisticamente: i

l nostro studio è basato su un modello

spaziale quantitativo che mostra chiaramente

che gli ahu sono associati a fonti di acqua

dolce in un modo che non avviene per

altre risorse".

Gli autori danno anche un'interpretazione

del significato delle statue, che getta una

luce sul tipo di società dell'isola.

"I monumenti si trovano in luoghi con accesso

a una risorsa fondamentale per gli isolani: le

statue rappresentavano probabilmente

antenati divinizzati e celebravano di condivisione

quotidiana dell'acqua e anche del cibo, avvenuta

per generazioni; questa conoscenza era basata

sui legami familiari e sociali, così come sul

patrimonio culturale, che rafforzava la conoscenza

della precario sostentamento sull'isola", spiega

Terry Hunt ricercatore dell'Università dell'Arizona,

coautore dell'articolo, sottolineando come

questo sia un aspetto cruciale per spiegare

il paradosso dell'isola. "Nonostante le risorse

limitate, gli isolani riuscirono a condividere

attività, conoscenze e risorse per oltre 500 anni".

 
 
 

Nessun ultimo rifugio per i Neanderthal in Europa

Post n°2093 pubblicato il 06 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte Le Scienze

28 gennaio 2019

Nessun ultimo rifugio per i Neanderthal in Europa 

Una nuova datazione dei reperti della

grotta spagnola di Bajondillo ha mostrato

che i primi esseri umani moderni hanno

iniziato a sostituire i Neanderthal fra i

45.000 e i 43.000 anni fa nella penisola

iberica meridionale.

La scoperta fa cadere l'ipotesi per cui a

Gibilterra e dintorni i Neanderthal avreb-

bero resistito più che altrove nel resto

dell'Europa all'invasione dei nostri antenati

Neanderthalantropologiapaleontologia

I primi esseri umani moderni sarebbero

giunti nella penisola iberica fra 45.000 e

43.000 anni fa, ovvero prima - non dopo

- l'arrivo nel resto d'Europa.

Questa nuova datazione potrebbe implicare

che quella parte del continente europeo non

sia stata per i Neanderthal il rifugio che,

come invece finora ritenuto, avrebbe permesso

loro di sopravvivere molto più a lungo rispetto

agli altri neanderthaliani europei.

È lo scenario ricostruito da Francisco J.

Jiménez-Espejo dell'Instituto Andaluz de

Ciencias de la Tierra e colleghi, sulla base

di una nuova datazione dei reperti scoperti

nella grotta di Bajondillo, vicino a Malaga.

Lo studio èpubblicato su "Nature Ecology

and Evolution".

La scomparsa dei Neanderthal in quasi

tutta l'Europa occidentale è di solito fatta

risalire a circa 39.000 anni fa, con l'eccezione

delle regioni meridionali della penisola iberica,

dove sembrava che la transizione dalla

cosiddetta cultura musteriana (caratterizzata

da tecniche di scheggiatura della pietra tipica-

mente associate ai Neanderthal) a quella

aurignaziana (con tecniche di scheggiatura più

sofisticate, tipiche degli esseri umani moderni),

fosse avvenuta circa 32.000 anni fa.

Nessun ultimo rifugio per i Neanderthal in Europa

In primo piano un cranio Neanderthal (sinistra)

e uno dei primi umani moderni con, a fianco, due

strumenti litici tipici delle rispettive tecniche di

scheggiatura della pietra. Sullo sfondo la grotta

di Bajondillo e la baia di Malaga.

(Cortesia Università di Siviglia)Ora Jiménez-Espejo

e colleghi hanno proceduto a una nuova datazione

al radiocarbonio dei resti di legna carbonizzata e

di conchiglie trovati nei diversi livelli di sedimenti

nella grotta di Bajondillo; in questo sito sono stati

scoperti reperti sia neanderthaliani sia umani

moderni, da cui risulterebbe che i più antichi e

primitivi manufatti aurigniaziani risalirebbero a

45.000-43.000 anni fa e quelli di fattura più

classica a 38.000 anni fa.

L'occupazione del sito di Bajondillo da parte

degli esseri umani moderni non è avvenuta in

concomitanza con uno dei periodici forti raffred-

damentidel clima (noti come eventi di Heinrich)

che fra 110.000 e 10.000 anni fa si sono

numerose volte alternati a periodi più caldi

(eventi di Dansgaard-Oeschger);

quei raffreddamenti periodici quindi non

avrebbero influito sull'avvicendamento delle

due culture, come invece si sarebbe potuto

supporre se quella transizione fosse

avvenuta 30.000 anni fa.

Nessun ultimo rifugio per i Neanderthal in Europa

Mappa di siti archeologici dell'Europa occidentale

con industrie litiche aurignaziane, tipiche degli

esseri umani moderni, risalenti a 44.000-42.000

anni fa. (Cortesia Università di Siviglia)

La ricerca suggerisce inoltre la possibilità che

almeno parte degli esseri umani moderni arrivati

in Europa vi siano giunti non da est, ma

attraversando lo stretto di Gibilterra, considerato

che recenti ricerche hanno suggerito che i nostri

lontani antenati fossero in grado di solcare le

acque già 50.000 anni fa.

Ora gli autori intendono effettuare ulteriori ricerche

per capire se la nuova datazione di Bajondillo sia

rappresentativa di una completa sostituzione dei

Neanderthal in tutta la penisola iberica

meridionale o la spia di uno scenario più complesso

in cui vi sia stata una coesistenza delle due

popolazioni per diversi millenni.

 
 
 

Le differenze genetiche e cerebrali tra noi e i Neanderthal

Post n°2092 pubblicato il 06 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte : Le Scienze

Le differenze genetiche e cerebrali tra noi e i Neanderthal

Confrontando la forma dei crani dei

Neanderthal e quella degli umani moderni,

una complessa ricerca interdisciplinare è

riuscita a risalire a differenze genetiche

che influiscono su due strutture cerebrali

che controllano in primo luogo il movimento

ma che potrebbero aver avuto un riflesso

anche sull'evoluzione del linguaggio.

antropologiageneticaNeanderthal

Partendo dalla differenza di forma del cranio

dei Neanderthal e degli uomini moderni, un

gruppo di ricercatori è riuscito, grazie a una

complessa ricerca interdisciplinare, a risalire

ad alcune possibili differenze nello sviluppo

cerebrale nelle due specie.

La ricerca, diretta dal paleoantropologo

Philipp Gunz del Max Planck Institut per

l'antropologia evoluzionistica a Lipsia, e

dai genetisti Simon Fisher e Amanda Tilot

del Max Planck Institut per la psicolinguistica

a Nijmegen, nei Paesi Bassi, è

pubblicata su "Current Biology".

Le differenze genetiche e cerebrali tra noi e i Neanderthal

Cranio fossile di Neandertal (a sinistra) e di

un umano moderno (a destra). (Philipp Gunz,

CC BY-NC-ND 4.0 )La forma del cranio degli

umani moderni si caratterizza per una particolare

globosità, che si distingue non solo da quella di

tutti gli altri primati, ma anche di tutti gli altri

ominidi, Neanderthal compresi, la cui struttura

del cranio è più allungata.

I ricercatori sospettano che questa differenza

rispecchi cambiamenti evolutivi nelle dimensioni

del cervello e nelle connessioni cerebrali.

Gunz e colleghi hanno scansionato con

tomografia computerizzata crani fossili di

Neanderthal e crani di esseri umani moderni,

rilevando anche le impronte endocraniche del

cervello, per poi ricavare un indice che

rispecchiava la globosità del cranio nelle due

specie.

I ricercatori hanno poi analizzato il genoma

di circa 4500 umani moderni cercando di

identificare i frammenti di DNA di origine

neanderthaliana che sono presenti in varia

misura in tutte le persone di ascendenza non

africana. Grazie alla quantità dei dati raccolti

Gunz e colleghi sono riusciti a mettere in

relazione alcuni di questi frammenti, localizzati

sui cromosomi 1 e 18, proprio con la globosità

del cranio.

Le differenze genetiche e cerebrali tra noi e i Neanderthal

Immagini tomografiche di un

cranio fossile di Neandertal

(a sinistra) con la tipica impronta endocranica

allungata (in rosso) e di un umano moderno

(a destra) dalla caratteristica forma endocranica

globulare (blu). (Philipp Gunz, CC BY-NC-ND 4.0 )

L'analisi dei segmenti di DNA identificati ha

permesso di scoprire che due di questi influiscono

sull'attività di altrettanti geni a essi vicini, i

geniUBR4 PHLPP1, già noti per avere un ruolo

in importanti aspetti dello sviluppo cerebrale.

In particolare, i due geni contribuiscono alla

neurogenesi (la generazione dei neuroni) e

alla mielinizzazione dei neuroni, cioè della guaina

isolante che protegge gli assoni di alcuni neuroni.

I ricercatori hanno anche scoperto che la

versione neanderthaliana del segmento che

influisce su UBR4 fa sì che questo sia leggermente

meno espresso nel putamen, mentre la versione

neanderthaliana attiva suPHLPP1 fa sì che sia

leggermente sovraespresso nel cervelletto.

"Entrambe queste regioni cerebrali - ha spiegato

Gunz - ricevono un input diretto dalla corteccia

motoria e sono coinvolte nella preparazione,

nell'apprendimento e nella coordinazione

sensomotoria dei movimenti."

Ma il putamen fa anche parte di una rete di

strutture cerebrali dette gangli della base che,

ha proseguito Gunz, "contribuiscono anche a

diverse funzioni cognitive, come la memoria,

l'attenzione, la pianificazione, l'apprendimento

delle abilità e, potenzialmente, l'evoluzione

del linguaggio e il linguaggio stesso".

Secondo i ricercatori, questa scoperta può

portare a sviluppare ipotesi sulle differenze

neuronali, e potenzialmente cognitive, fra umani

moderni e Neanderthal, ipotesi che potrebbero

essere testate sperimentalmente, ricorrendo

per esempio a campioni di tessuto neuronale

umano coltivabile in laboratorio.

 
 
 

Una conferma indipendente del metano di Marte

Post n°2091 pubblicato il 06 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

 

02 aprile 2019

Una conferma indipendente del metano di Marte

L'analisi dei dati raccolti nel 2013 dalla

sonda europea Mars Express ha confermato

la presenza di metano su Marte, individuata

dal rover Curiosity della NASA in corrispondenza

del cratere Gale.

La probabile sorgente si trova a 500 chilometri

di distanza, ma serviranno ulteriori studi per

capire se il gas è il risultato da processi biologici

o geologici

planetologia

C'è metano su Marte: la scoperta fatta dal rover

Curiosity della NASA nel 2013 nel cratere Gale è

stata confermata dalle osservazioni della sonda

Mars Express dell'Agenzia spaziale europea (ESA).

L'annuncio è stato dato

 sulla rivista "Nature Geoscience" da una collabora-

zione internazionale guidata da Marco Giuranna

dell'Istituto nazionale di astrofisica (INAF), a cui

partecipano colleghi dell'Istituto nazionale di

geofisica e vulcanologia (INGV) e dell'Agenzia

spaziale italiana (ASI).

I ricercatori hanno da poco completato l'analisi

di una massiccia quantità di dati relativi al cratere

Gale, raccolti proprio negli stessi giorni in cui

Curiosity stava effettuando le sue rilevazioni.

Cuore tecnologico dello studio è lo strumento

Planetary Fourier Spectrometer (PFS) montato

su Mars Express, realizzato in Italia, che già

nel 2004 aveva ottenuto la prima misurazione

del metano marziano.

Una conferma indipendente del metano di MarteInterpretazione artistica della sonda Mars

Express in volo sopra la superficie di Marte

(Credit: ESA)"Quello che abbiamo rilevato è

un picco di circa 15 parti per miliardo di volume

di questo gas, esattamente il giorno dopo che

Curiosity ha registrato un picco di circa sei parti

per miliardo", ha spiegato Giuranna.

"Anche se in generale alcune parti per miliardo

indicano una concentrazione relativamente

piccola, per Marte è considerevole: la nostra

misurazione corrisponde a una media di circa

46 tonnellate di metano, presente nell'area

di quasi 50.000 chilometri quadrati osservata

dalla nostra orbita".

Una conferma indipendente del metano di Marte

 per ingrandireLe conferme incrociate da

metodi indipendenti sono la chiave anche

di un altro importante risultato: l'individuazione

della regione di emissione del gas.

Si tratta di un'area di 250 chilometri di lato,

situata a 500 chilometri a est del cratere Gale.

I ricercatori del Royal Belgian Institute for Space

Aeronomy (BIRA-IASB),coautori dello studio,

hanno infatti integrato i dati di PFS con un

modello teorico di circolazione globale dell'atmosfera

di Marte che si basa su scenari realistici di

emissioni di gas dalla superficie terrestre.

E i risultati sono coerenti con quelli di un'analisi

di natura geologica.

"Abbiamo studiato il contesto geologico

marziano in un'ampia regione attorno al punto

di rilevazione del gas alla ricerca di strutture

che potrebbero essere associate al rilascio di

metano: la regione più interessante dal punto

di vista geologico è proprio la stessa indicata

dai modelli di circolazione globale", sottolinea

Giuseppe Etiope, dell'INGV di Roma.

"Questa vasta area include il terreno fratturato

di Aeolis Mensae che ospita, in un settore

chiamato Medusae Fossae Formation (MFF),

numerose faglie e un sottosuolo ricco di

ghiaccio, come il permafrost diffuso nelle

aree fredde della Terra.

Poiché il permafrost può contenere metano

o fornire una copertura impermeabile per la

risalita di gas è possibile che il metano venga

rilasciato lungo le fratture in maniera episodica,

per parziale scioglimento del ghiaccio, per

sovrappressione del gas che si accumula nel

sottosuolo, eventi sismici o per l'impatto di

meteoriti".

Una conferma indipendente del metano di Marte

Immagine della struttura geologica

marziana di Aeolis Mensae (Credit: NASA/JPL/USGS)

Da anni i planetologi discutono sulla

presenza di metano sul Pianeta Rosso.

Ora che è stata confermata, resta però

da scoprire se è stato prodotto da processi

biologici oppure non biologici.

In ogni caso, sottolineano i ricercatori, il gas

dev'essere stato rilasciato relativamente di

recente, poiché i processi atmosferici possono

distruggere il metano in modo rapido. 

"Non abbiamo scoperto l'origine ultima del

metano: molti processi biologici e non biologici

possono generare metano su Marte.

Tuttavia, il primo passo per capirne l'origine

è determinare i luoghi di rilascio.

Un'analisi dettagliata di questi luoghi, alla fine

ci aiuterà a rivelare l'origine e il significato del

metano rilevato", ha aggiunto Giuranna. 

In definitiva, i risultati corroborano l'ipotesi

che la presenza di metano nell'atmosfera di

Marte non sia una costante ma il frutto di

eventi geologici transitori e di portata limitata.

Un altro tassello mancante nel complesso

puzzle del modello genofisico marziano è come

il metano viene rimosso dall'atmosfera.

Sarà dunque necessario cercare di conciliare

i dati di Mars Express con i risultati di altre

missioni.

"Rianalizzeremo i dati raccolti in passato

dal nostro strumento, senza tralasciare l

e nostre attività di monitoraggio tuttora

in corso, incluso il coordinamento di alcune

osservazioni con l'ExoMars Trace Gas Orbiter,"

ha concluso Giuranna. (red)

 
 
 

Il sacrificio rituale di centinaia di bambini nel Perù del XV secolo

Post n°2090 pubblicato il 06 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

07 marzo 2019

Il sacrificio rituale di centinaia di bambini nel Perù del XV secolo

I resti di quasi 140 bambini uccisi ritualmente

sono venuti alla luce in un sito archeologico

peruviano di epoca precolombiana.

Il sacrificio, databile intorno al 1450 d.C.,

rappresentò probabilmente un tentativo

di placare gli dèi durante una catastrofe

naturale che aveva colpito la fiorente cultura

Chimú che dominava la regione

Nel sito archeologico di Huanchaquito-Las

Llamas, sulla costa settentrionale del Perù,

sono state trovate le prove del più esteso

sacrifico infantile di massa di epoca

precolombiana.

I ricercatori hanno infatti portato alla luce

i resti di 137 bambini e 3 adulti, oltre a

quelli di circa 200 giovani lama.

I risultati degli scavi, condotti da un gruppo

internazionale di archeologi diretto da

Gabriel Prieto dell'Universidad Nacional

de Trujillo, in Perù e Khrystyne Tschinke

della Tulane University a New Orleans,

negli Stati Uniti, sono illustrati 

sulla rivista "PLoSOne".

Fondata su un'agricoltura intensiva

alimentata da una rete sofisticata di canali

idraulici gestiti da un'efficiente burocrazia,

la cultura Chimú fiorì tra l'XI e il XV secolo

d.C. lungo le coste peruviane, arrivando

a controllare, nei momenti di massimo

splendore, le valli costiere dall'attuale

confine con l'Ecuador a nord all'attuale

capitale peruviana di Lima a sud.

Il sacrificio rituale di centinaia di bambini nel Perù del XV secolo

I resti mummificati di uno dei bambini

sacrificati (Cortesia John Verano, 2019)

All'epoca del tragico evento - risalente, da

quanto stabilito con la datazione al radio-

carbonio, attorno al 1450 d.C. - il sito di

Huanchaquito-Las Llamas faceva parte di

un importante centro dalla cultura Chimú:

le rovine rimaste occupano circa 14 chilometri

quadrati, ma la città - i cui resti sono in

buona parte andati distrutti in seguito

all'espansione urbana della vicina Trujillo -

doveva essere molto più vasta.

I corpi sono stati rinvenuti in un'area di

700 metri quadrati circa, e l'analisi dei resti

ha mostrato che appartenevano a bambini

e ragazzi di età compresa tra i 5 e i 14 anni,

appartenenti a una varietà di gruppi etnici

provenienti da diverse aree del territorio

controllato dalla cultura Chimú.

Tutti i corpi, compresi quelli degli animali,

mostravano chiaramente che alle vittime

era stata aperta la cavità toracica,

verosimilmente per asportare il cuore.

Questa pratica sacrificale, a quanto riferito

da cronisti spagnoli del XVI secolo, era in

uso anche fra gli Inca, presso i quali tuttavia

il numero di bambini immolati era molto più

limitato, al massimo di qualche unità.

Il più esteso caso precedentemente conosciuto

di sacrifici infantili nel Nuovo Mondo, con 48

vittime, è stato documentato nella città

azteca di Tenochtitlan.

Il sacrificio rituale di centinaia di bambini nel Perù del XV secoloCortesia John Verano (2019)Il numero decisamente

eccezionale di bambini e animali sacrificati

indica che i Chimú devono essersi trovati

improvvisamente di fronte a una sfida

particolarmente grave, probabilmente di

origine naturale, considerato che in quel

momento quella civiltà era al massimo

della sua potenza.

L'ipotesi, secondo i ricercatori, è corroborata

dal fatto che alla stessa profondità degli

scavi tutta l'area è coperta da uno strato

di fango su un substrato di terreno sabbioso:

la regione - normalmente piuttosto arida e

con precipitazioni ridotte - deve essere

stata colpita da una serie di piogge e

inondazioni di eccezionale intensità.

Secondo Prieto e colleghi è verosimile

che quella catastrofe sia stata una conseguenza

di un evento ENSO (El Niño-Southern Oscillation)

- il periodico fenomeno di riscaldamento delle

acque del Pacifico centro-meridionale -

particolarmente marcato e avvenuto fra il 1400

e il 1450.

 
 
 

Le origini della cultura megalitica in Europa

Post n°2089 pubblicato il 06 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

12 febbraio 2019

L'analisi comparata delle datazioni di

oltre 2000 dei 35.000 megaliti diffusi

in tutta Europa e delle loro caratteristiche

costruttive indica che la tradizione

megalitica ha avuto origine nella

Francia nord occidentale per poi

diffondersi lungo rotte marittime.

La scoperta smentisce sia l'ipotesi

che la cultura megalitica provenisse

dal Vicino Oriente, sia quella di una

sua nascita indipendente nelle

diverse regioni
 (red)

archeologia

La cultura dei megaliti europea

sarebbe nata verso la metà del V

millennio a.C. nella Francia nord

occidentale per poi diffondersi sulle

coste atlantiche del continente e

del Mediterraneo lungo rotte marittime.

Il risultato - ottenuto dalla ricercatrice

all'Università di Göteborg, in Svezia,

Bettina Schulz Paulssonin, e illustrato 

sui "Proceedings of the National Academy of Sciences" 

- smentisce entrambe le principali

teorie finora in campo sulla storia

dell'edificazione di queste strutture.

Le origini della cultura megalitica in Europa

Il Dolmen di Sa Coveccada in Sardegna.

(Cortesia Bettina Schulz Paulsson)

Fra menhir, dolmen, cerchi di pietre,

allineamenti e altri edifici o templi megalitici,

in tutta Europa sono note circa 35.000

strutture di questo tipo, la maggior parte

delle quali risale al Neolitico e all'età del

Rame e si concentra nelle zone costiere.

Queste strutture megalitiche condividono

tutte caratteristiche architettoniche simili

se non spesso addirittura identiche; per

esempio, l'orientamento delle tombe è

costantemente orientato verso est o sud

-est, nella direzione da cui sorge il sole.

Ciò ha indotto gli archeologi, fin dalla metà

del XIX secolo, a ritenere che la loro

costruzione fosse legata a una religione

che si sarebbe diffusa dal Vicino Oriente

prima nel Mediterraneo e quindi sulle coste

atlantiche della Spagna, della Francia e

della Gran Bretagna, a seguito della

migrazione di membri della casta sacerdotale.

Questa ricostruzione resistette incontrastata

fino ai primi anni settanta del secolo scorso,

quando le prime datazioni al radiocarbonio

la misero fortemente in dubbio, portando

la maggior parte degli studiosi verso

l'ipotesi di una nascita indipendente nelle

diverse regioni e imputando le somiglianze

alla relativa "semplicità" delle strutture

architettoniche.

Da allora le datazioni al radiocarbonio dei

megaliti si sono moltiplicate a dismisura, 

ma senza che si tentasse di tracciare un

quadro cronologico complessivo su cui testare

l'ipotesi della nascita indipendente.

Le origini della cultura megalitica in Europa

Tomba megalitica a Haväng, in Svezia.

(Cortesia Bettina Schulz Paulsson)

Ora Bettina Schulz Paulssonin ha analizzato

2410 datazioni al radiocarbonico relative a

siti megalitici e pre-megalitici e a siti non

megalitici coevi di tutta Europa.

L'analisi ha mostrato che le prime strutture

- piccole costruzioni chiuse o dolmen realizzati

con lastre di pietra solo in superficie e coperti

da un cumulo di terra o di pietra - sono emerse

nella seconda metà del quinto millennio a.C.

(la struttura più antica è databile fra il 4794

e il 4770 a.C.), diffondendosi nel giro di 200

o 300 anni dalla Francia nord occidentale alle

isole del Canale, alla Catalogna, alla Francia

sud occidentale fino alla Corsica e alla Sardegna.

A questa prima ondata sono poi seguite altre

due principali, rispettivamente fra il 4000 e il

3500 a.C. e nel mezzo millennio successivo,

caratterizzate da altrettante variazioni strutturali

delle costruzioni megalitiche, che hanno portato

alla massima diffusione di questa cultura.

L'ultimo episodio di espansione, minore, si

verificò infine fra il 2500 e il 1200 a.C. con la

comparsa di megaliti alle Baleari, in Sicilia e

in Puglia. Strutture di questo periodo si trovano

anche in Sardegna, che però era stata interessata

in misura molto significativa anche dalle espansioni

precedenti.

 
 
 

Dal genoma delle mummie la storia degli antichi Egizi

Post n°2088 pubblicato il 06 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze.

30 maggio 2017

geneticaarcheologia

Gli antichi egizi erano strettamente

legati alle popolazioni del Medio Oriente

e alle popolazioni neolitiche della penisola

anatolica e dell'Europa.

Nel genoma degli egiziani di oggi si

trovano invece chiare tracce di significative

interazioni con popolazioni sub-sahariane,

del tutto assenti negli egizi del tempo

dei faraoni.

A stabilirlo è uno studio condotto da

ricercatori dell'Università di Tübingen e

del Max Planck Institut per la scienza

della storia umana a Jena, che sono

riusciti a sequenziare il genoma mito-

condriale e nucleare tratto da antiche

mummie.

La ricerca è descritta in un articolo su

"Nature Communications".

Anche se questa non è la prima analisi

condotta su antico DNA ricavato da

mummie egizie, gli autori osservano

che si tratta dei primi risultati veramente

affidabili, grazie al ricorso alle più

avanzate tecniche di sequenziamento

e all'uso sistematico di test di autenticità

per garantire l'origine effettivamente

antica dei dati ottenuti.

"Il clima caldo egiziano, i livelli elevati di

umidità in molte tombe e alcune delle

sostanze chimiche usate nelle tecniche

di mummificazione contribuiscono al degrado

del DNA. Si riteneva quindi che fosse

improbabile la sopravvivenza a lungo termine

del DNA nelle mummie egiziane", spiega

Johannes Krause, coautore dello studio.

A partire da 151 campioni prelevati da

mummie conservate in musei di Tübingen

e Berlino, i ricercatori sono riusciti a estrarre

e sequenziare il genoma mitocondriale di 90

individui e quello nucleare di tre.

Dal genoma delle mummie la storia degli antichi Egizi

Ricostruzione artistica del sito di Abusir

(Heritage / AGF)

Le mummie prese in esame coprono un

lasso di tempo di circa 1300 anni, e

provengono tutte dal sito di di Abusir

el-Meleq, nel Medio Egitto.

Le analisi hanno mostrato una stretta

continuità genetica nelle popolazioni di

Abusir el-Meleq vissute in epoca pre-

tolemaica (prima del 332 a.C.), tolemaica

(fra il 332 e il 30 a.C.) e romana

(successiva al 30 a.C.), indicando che a

dispetto della notevole influenza culturale

e politica esercitate nel periodo più tardo

da greci e romani, il loro contributo genetico

alla popolazione egizia fu trascurabile.

È tuttavia possibile - osservano i ricercatori

- che l'impatto genetico dell'immigrazione

greca e romana sia stato più pronunciato

nel Delta nord-occidentale del Nilo, nella

regione di Fayum, dove risiedeva un'importante

colonia greco-romana, oppure tra le classi

più alte della società egizia.

Probabilmente il mescolamento delle

popolazioni fu limitato a causa della politica

di Roma di ostacolare i matrimoni fra romani

e locali.

Sposandosi con un cittadino romano, si

acquisiva infatti la cittadinanza romana,

ambita per i privilegi che comportava.

Dal genoma delle mummie la storia degli antichi Egizi

Sarcofago proveniente dal sito di Abusir

(bpk/Aegyptisches Museum und

Papyrussammlung, SMB/Sandra Steiss)

I dati suggeriscono anche che il flusso genetico

dalle regioni sub-sahariane - che nella

popolazione egiziana attuale costituisce

l'8 per cento del genoma - si è verificato

ben più tardi.

All'origine della mescolanza 

- ipotizzano i ricercatori - vi fu forse il

miglioramento della mobilità lungo il Nilo,

l'aumento dei commerci su lunga distanza

tra l'Africa sub-sahariana e l'Egitto e ancor

più, la tratta degli schiavi lungo le vie

carovaniere che attraversano il Sahara e

che iniziò solo 1300 anni fa.

 
 
 

Genomi umani antichi senza fossili

Post n°2087 pubblicato il 06 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

28 aprile 2017

Genomi umani antichi senza fossili

Una tecnica innovativa è riuscita a

identificare DNA di specie umane

estinte da sedimenti di siti archeologici

in cui erano assenti resti fossili.

Il risultato permetterà di individuare la

presenza di antichi gruppi umani dove

non è possibile stabilirla con le tecniche

attuali(red)

antropologiaarcheologiagenetica

DNA di uomini di Neanderthal e di Denisova

è stato rinvenuto nei sedimenti di quattro

siti archeologici contenenti reperti

attribuibili a questi nostri antichi cugini,

dei quali però non c'è traccia sotto

forma di resti fossili.

La scoperta è opera di ricercatori del

Max-Planck-Institut per l'antropologia

evolutiva a Lipsia in collaborazione con

studiosi di altri centri di ricerca, ed è

illustrata in un articolo pubblicato su "Science".

In Europa e in Asia i siti preistorici che

contengono strumenti e altri manufatti

sono numerosi, tuttavia i resti scheletrici

degli antichi umani sono rari, rendendo

difficile e lacunosa la ricostruzione dei loro

spostamenti e delle relazioni fra i diversi

gruppi.

Genomi umani antichi senza fossili

La grotta di El Sidrón, in Spagna.

La possibilità di analizzare i sedimenti in

cerca di DNA antico aiuterà quindi a completare

la mappa degli insediamenti umani del remoto

passato, e a identificare le regioni in cui le

diverse specie umane possono avere

convissuto, e interagito.

Questa opportunità potrebbe essere

particolarmente importante per l'uomo di

Denisova, finora identificato in una sola

grotta sui Monti Altai, nella Siberia meridionale,

ma di cui persistono tracce genetiche in

popolazioni odierne, suggerendo che un

tempo questa specie fosse diffusa in molte

regioni dell'Asia. Ma non si sa esattamente

dove e quando.

La capacità del DNA di resistere, almeno

in tracce, nei sedimenti antichi è nota dal

2003, quando il genetista danese Eske

Willerslev è riuscito a sequenziare parte

dei genomi di antichi mammut, cavalli e

piante rilevati in sedimenti prelevati non

solo dal freddo permafrost, ma anche in

grotte situate in regioni dal clima temperato.

Finora tuttavia non si era riusciti a trovare il

modo per distinguere le sequenze umane

antiche dalle possibili contaminazioni dei

campioni con materiale biologico umano

moderno.

Viviane Slon, Svante Pääbo, Matthias

Meyer e colleghi sono riusciti a sviluppare

una "sonda" genetica costruita su frammenti

di DNA mitocondriale, ovvero il DNA che è

presente solo negli organelli mitocondri delle

cellule, che permette di filtrare i possibili

contaminanti attribuibili a esseri umani odierni

e isolare così i frammenti antichi.

I ricercatori hanno quindi raccolto 85 campioni

in sette siti archeologici in Belgio, Croazia,

Francia, Russia e Spagna, che coprono un intervallo

di tempo compreso fra 14.000 e 550.000 anni fa.

Otto di questi campioni - provenienti dai quattro

siti di Trou Al'Wesse in Belgio, El Sidrón in Spagna,

Chagyrskaya in Russia e Denisova, sempre in

Russia - contenevano DNA mitocondriale di

uno o più Neanderthal, specie umana scomparsa

circa 40.000 anni fa, mentre uno conteneva

DNA dell'uomo di Denisova, vissuto tra 70.000

e 40.000 anni fa, per quel poco che ne sanno

i ricercatori.

"Ricavando il DNA dai sedimenti, possiamo

individuare la presenza di gruppi di antichi

umani nei siti e nelle aree in cui non è possibile

stabilirla con altri metodi", ha detto Pääbo,

coautore dello studio. "Questo dimostra che

l'analisi dei DNA dei sedimenti è una procedura

archeologica molto utile, che in futuro potrà

diventare di routine".

 
 
 

Come si formò la via della seta

Post n°2086 pubblicato il 06 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

09 marzo 2017

Le antiche transumanze che

plasmarono la Via della seta

Gli schemi dei movimenti delle

mandrie di bestiame alla ricerca

di pascoli in un'ampia regione che

va dal Mediterraneo orientale alla

Cina sono correlati alle posizioni

dei siti archeologici della Via della

seta, l'antico reticolo di cammini

che collegava l'impero romano e

quello cinese. E' quanto risulta

dall'analisi dei dati raccolti da

satellite con modelli derivati dalla

mappatura dei corsi d'acqua(red)

storiaarcheologiaspazio

La Via della seta anticamente collegava

l'impero romano con l'impero cinese.

Il suo nome è tradizionalmente declinato

al singolare, ma in realtà si tratta di una

complessa serie di cammini che formavano

una struttura reticolare, attraverso la quale

si muovevano beni, persone e idee.

Lo studio dei resti archeologici di questa

e di altre antiche vie di comunicazione ha

permesso di ricostruirne a grandi linee il

percorso, ma finora non si è riusciti a stabilire

con certezza i dettagli di come abbiano avuto

origine i contatti commerciali e quali forze

spingessero i primi viaggiatori.

In un nuovo studio pubblicato su "Nature",

Michael Frachetti della Washington University

a St. Louis e colleghi della stessa Università

e dell'University college di Londra hanno

analizzato i movimenti dei mandriani nomadi

nelle aree dedicate alla pastorizia dell'Asia

scoprendo che esiste una significativa

correlazione con i siti archeologici lungo

la Via della seta.

Alcune prove archeologiche ed etnografiche

dell'Asia interna mostrano che per circa

4500 anni i mandriani hanno portato il

bestiame verso pascoli in quota d'estate,

riportandolo verso zone più calde e più

basse d'inverno.

L'ipotesi è che gli antichi mandriani

seguissero più o meno gli stessi schemi

di transumanza stagionale, seguendo

non solo i percorsi più agevoli e diretti

da un punto all'altro, ma andassero

anche alla ricerca di pascoli freschi.

Da qui l'idea di verificare se questi schemi

di spostamento delle mandrie potesse

avere a che fare con il reticolo di cammini

della Via della seta.

Le antiche transumanze che plasmarono la Via della seta

Modello grafico degli spostamenti di transumanza

lungo la Via della seta ottenuto nel corso dello

studio.

Gli autori hanno utilizzato un software chiamato

GIS (geographic information systems) che in genere

serve a mappare e modellizzare i corsi d'acqua

di una regione sulla base dei dati raccolti dai

satellite.

In questo caso, la tecnica è stata adattata per

ottenere una dettagliata mappa della copertura

vegetale in una vasta area compresa tra il

Mediterraneo orientale e la Cina a quote comprese

tra 750 e 4000 metri, sulla base di misurazioni del

grado di riflettività della luce solare.

I dati sono poi stati confrontati con le posizioni

dei principali siti archeologici della Via della seta,

seguendo l'ipotesi che la distribuzione dei pascoli

più redditizi sia rimasta più o meno la stessa

per secoli.

I risultati delll'analisi indicano che i movimenti

delle mandrie sono fortemente correlati alle

posizioni dei siti archeologici della Via della seta:

ciò indica che la distribuzione spaziale delle

praterie e la ricerca di pascoli per il nutrimento

delle mandrie contribuì in modo significativo

alla formazione della rete di cammini di questa

importante e antichissima via di comunicazione

tra est e ovest.

La ricerca rappresenta un significativo progresso

nello studio di un'antica rete di vie commerciali,

uno sviluppo raggiunto attraverso di strumenti

di analisi spaziale che potranno contribuire a

una sempre migliore comprensione delle

antiche civiltà.

 
 
 

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