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Messaggi del 11/12/2018

IL BARONE RAMPANTE

Post n°1761 pubblicato il 11 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il barone rampante è un romanzo di 

Italo Calvino scritto nel 1957, secondo

capitolo della trilogia araldica 

I nostri antenati, insieme a Il visconte dimezzato(1952)

Il cavaliere inesistente (1959).

L'ispirazione del romanzo deriva dal

racconto che, una sera del 1950,

all'osteria Menghi in via Flaminia 57, 

Salvatore Scarpitta fa a Italo Calvino.

Sette anni dopo, esce Il barone rampante.

Ambientato in un paesino immaginario

della riviera ligure, Ombrosa, rappresenta

come tema centrale la visione dell'autore,

poco incline a giudizi e opinioni ottuse.

Il romanzo è narrato da Biagio, fratello

minore del protagonista, ed è la storia

di un giovane barone, Cosimo Piovasco

di Rondò, primogenito di una famiglia

nobile tristemente in ritardo sui tempi.

Il fatto principale è rappresentato da

un litigio avvenuto il 15 giugno 1767

nella tenuta di Ombrosa, tra Cosimo

adolescente e suo padre, dopo il quale

Cosimo (che aveva litigato col padre in

quanto si era rifiutato di mangiare una

zuppa di lumache) salirà sugli alberi del

giardino di casa e prometterà di non

scendere mai più.

Dopo il litigio, la vita di Cosimo si svolgerà

sempre sugli alberi, prima nel giardino di

famiglia e dopo nei boschi del circondario.

La vita di Cosimo sarà piena di avventure,

a partire dalle amicizie con i ladri di frutta,

fino alle giornate trascorse a caccia o

immerso nella lettura. Nella vita del barone

non mancheranno nemmeno incontri amorosi.

La fama di Cosimo si diffonderà con rapidità.

All'inizio diverrà famoso come fenomeno da

baraccone e la sua famiglia quasi se ne

vergognerà, ma in seguito troverà anche

il modo di conquistarsi la stima della 

Comunità di Ombrosa.

Il ritorno di Viola, suo primo amore, farà

scattare un sentimento reciproco, sempre

esistito, che si concluderà tristemente per

una serie di equivoci e incomprensioni.

Quello tra i due sarà un amore forte,

anche se la relazione sarà piena di litigi

furibondi, di fughe e di rifiuti. Anche la sua

fine avverrà in modo insolito; di fatti 

Invecchiato e malato, sentendo sopraggiungere

la morte si arrampicherà sulla cima di un grande

noce e si appenderà ad una mongolfiera di

passaggio. Così, senza tradire il suo intento

di non rimettere più piede sulla terra,

scomparirà nel cielo, senza concedere alla

terra neppure le sue spoglie.

Personaggi

Cosimo Piovasco di Rondò

Il protagonista della storia, è un ragazzino

di dodici anni figlio di una famiglia nobile;

nel corso del racconto diventeràbarone in

seguito alla morte del padre. È forte e rapido

nello spostarsi da un albero all'altro, mangia

il cibo dato dagli abitanti del luogo e che riesce

a cacciare, veste indumenti fatti da sé secondo

necessità, sua dimora sono gli immensi boschi

del tempo sui quali si diceva fosse possibile

spaziare per chilometri e chilometri di nazione

in nazione. È testardo e irremovibile nelle sue

decisioni e ha il coraggio di ribellarsi inizialmente

ai suoi genitori e in seguito al mondo intero.

Le sue virtù più forti sono la costanza, che

ha sin da bambino, e l'orgoglio, tanto che

non vorrà toccare terra neanche da morto,

per essere sepolto. Un pregio di Cosimo, 

Spesso emerso nei capitoli centrali e finali

del racconto, è la capacità e la naturalezza

con cui riesce a convincere le persone,

spesso diverse tra loro, a perseguire uno

scopo comune. Cosimo tuttavia rimane un

personaggio semplice, altruista, ottimista

e simpatico ai suoi amici, ed aperto alle nuove

idee.

Viola

Il suo vero nome sarebbe Violante ed è figlia

dei Marchesi d'Ondariva, vicini della famiglia di

Cosimo. Ha un carattere incostante: in alcune

occasioni é infantile in altre è molto matura.

È opportunista e spesso Cosimo e i suoi amici

non sanno mai cosa seguirà le sue promesse.

Si fa desiderare, si mette in mostra ed è

estremamente viziata. Sarà però l'unico

vero amore di Cosimo, fin dal primo giorno

che la vedrà. Tornata dal collegio sembra

cambiata in quanto è fedele al Barone, fino

a quando lo abbandona a causa di gelosie

e incomprensioni tra i due.

Per creare Viola, Calvino si è ispirato alla Pisana,

personaggio femminile principale di Confessioni

di un italiano di Ippolito Nievo.

Biagio

Il fratello minore di Cosimo, ha quattro anni

meno di lui. È l'unico compagno di giochi di

Cosimo: si arrampica sugli alberi e si fa trascinare

facilmente dal fratello in azioni non consentite,

come quella di liberare le lumache, per il fatto

di avere un carattere debole, tranquillo e

sottomesso. Non ha un'indole ribelle e sta

sotto gli ordini senza lamentarsi; è inoltre

altruista e molto attaccato al fratello.

Nel romanzo tuttavia ha sempre una posizione

neutrale o irrilevante.

Arminio Piovasco di Rondò

Il padre di Cosimo, barone d'Ombrosa. È un uomo

distinto, ma anche schizzinoso e ambizioso in

un modo che ai figli sembra ridicolo, alla luce

dei cambiamenti politici in corso. È preoccupato

della successione del suo titolo e tiene molto

alla sua immagine. Aspira alla carica di duca

d'Ombrosa, solo che non riuscirà ad ottenerla.

Dopo che il suo primogenito si arrampica sugli

alberi è restio a farsi vedere per la vergogna

e teme per le conseguenze dinastiche che

il fatto avrebbe provocato. Qualche mese prima

della sua morte, viene a conoscenza, da parte

di molti Ombrosotti, di voci assai gentili e di

rispetto devoto verso il figlio primogenito,

tanto che in un secondo tempo, apprezza

la creatività del figlio, regalandogli una

preziosa "spada", originaria e preziosissima,

della Dinastia dei Piovasco di Rondò. Dopo

quest'episodio passa l'ultima parte della sua

vita, perdendo ogni attaccamento ad essa,

chiuso in casa fino a trovare pace nella morte.

Generalessa Corradina

La madre di Cosimo, ha vissuto l'infanzia

al seguito del padre che se la portava dietro

quando andava in battaglia. È autoritaria e

usa modi a volte bruschi, ma è premurosa e

si prende cura, a distanza, del figlio, con amore

materno. Muore in seguito ad un attacco d'asma.

Battista

La sorella di Cosimo, è stata costretta a

vivere da monaca, da suo padre, dopo il

fallimento del suo fidanzamento col

"Marchesino", accusato di averla aggredita,

anche se il giorno della presunta aggressione

fu lui, e non la ragazza, a gettare un grido di

terrore. È anch'ella ribelle e esprime la tristezza,

per il suo stato, in cucina, dove prepara

minuziosamente pietanze, la maggior parte

delle volte disgustose ed esibizioniste, con

ingredienti insoliti. Sposerà anni dopo il

Contino d'Estomac.

Abate Fauchelafleur

Vecchietto sciupato e raggrinzito che viveva

con la famiglia dei Rondò. Si prendeva cura

dei due fratelli, ma senza una vera disciplina,

per cui i ragazzini riuscivano,con lui,

sempre a farla franca. Finisce la sua vita

fra carcere e convento, in quanto fu scoperto

in possesso di libri proibiti, destinati a Cosimo,

cui faceva da intermediario nell'acquisto di

pubblicazioni legali o meno.

Cavalier Avvocato Enea Silvio Carrega

Amministratore dei poderi dei Piovasco di

Rondò e fratellastro di Arminio. Sta sempre

sulle sue, non si conosce molto del suo passato

tranne che ha soggiornato per molto tempo alla

corte del sultano ottomano e che è diventato

un esperto di idraulica ed è coinvolto in diverse

vicende. Sembra che non abbia la parola perché

parla raramente ed è distaccato da tutti i discorsi.

Muore decapitato mentre cerca di salire sulla barca

dei pirati turchi, sognando di raggiungere una

donna Zaira, sua figlia, lasciata nell'impero

ottomano.

Gian dei Brughi

Brigante che viene salvato da Cosimo, che

vedendolo inseguito dai gendarmi lo invita

a nascondersi sull'albero con lui. Da questo

incontro nasce un rapporto simile all'amicizia

tra i due: il brigante, stanco di essere tale,

si fa prestare libri da Cosimo, che inizialmente

glieli da volentieri, ma successivamente inizia

a stancarsi della petulanza delle richieste e

del pessimo stato in cui Gian gli riconsegna

i libri. Viene giustiziato per impiccagione dopo

un fallito tentativo di rapina.

Narratore

Il narratore è Biagio, il fratello minore di

Cosimo, perciò si può dire che il libro sia

scritto in terza persona, sebbene il narratore

sia interno. Nel romanzo Biagio afferma di

raccontare ciò che il fratello gli ha narrato, per

cui i suoi racconti non sono del tutto veri, ma

contengono diversi elementi fiabeschi aggiunti

da Cosimo, il quale amava raccontare delle sue

avventure alla gente, sempre aggiungendo

nuovi particolari di sua inventiva. Infatti Biagio,

durante tutta la narrazione, fa diversi interventi

per spiegare queste fantasie e discordanze.

Fa eccezione il capitolo XXVII, quasi interamente

narrato in prima persona da Cosimo.

         Ambientazione

La narrazione attraversa tutto il periodo

della Rivoluzione Francese iniziando nel

ventennio immediatamente precedente

e concludendosi in piena Restaurazione.

La storia inizia il 15 giugno 1767, quando

Cosimo ha 12 anni, e finisce con la scomparsa

di Cosimo a 65 anni, nel 1820.

 
 
 

Dino Buzzati

Post n°1760 pubblicato il 11 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Dino Buzzati, all'anagrafe Dino Buzzati

Traverso (San Pellegrino di Belluno

16 ottobre 1906 - Milano28 gennaio 1972), è stato

uno scrittoregiornalistapittore,drammaturgo,

 librettistascenografocostumista e poeta italiano.

Fin da quando era uno studente collaborò

al Corriere della Sera come cronistaredattore 

inviato speciale.

Egli è, insieme a Italo Calvino e Tommaso Landolfi,

uno dei più grandi scrittori fantastici del Novecento 

italiano, con all'attivo un grande numero di romanzi

e racconti surreali e realistico-magici (tanto da

esser stato a più riprese definito il "Kafka italiano").

Il suo capolavoro, Il deserto dei Tartari (1940),

è considerato dalla critica il vertice della 

narrativa esistenzialista italiana, insieme

alle opere di Alberto Moravia (che tuttavia

estrinsecano il genere in tutt'altra direzione).

Infanzia e studi

Dino Buzzati Traverso nacque presso la villa

di famiglia di San Pellegrino, una località alle

porte della città di Belluno, il 16 ottobre del 

1906. Il padre, Giulio Cesare Buzzati (1862-1920),

era un celebre giurista appartenente ad

un'illustre famiglia bellunese di remote

origini ungheresi, mentre la madre, Alba

Mantovani (1871-1961), veneziana, era

la figlia del medico Pietro Mantovani e

della nobildonna Matilde Badoer.

È il terzogenito di quattro fratelli: gli altri

sono Augusto (1903-?), che diverrà

ingegnere, Angelina (1904-2004) e

 Adriano (1913-1983), futuro biologo

genetista.

La famiglia Buzzati trascorre le estati

nella villa di Belluno e il resto dell'anno

Milano, dove il padre - docente di 

diritto internazionale - lavora alla neonata 

Università commerciale Luigi Bocconi,

dividendosi tra questa e l'insegnamento

alla più antica Università di Pavia.

La villa di famiglia e la biblioteca furono

fondamentali nella formazione dello scrittore.

Nei primi anni della sua infanzia lo scrittore

mostra una grande attenzione e sensibilità

per le arti figurative e per la musica,

imparando a suonare a dodici anni il pianoforte

 e il violino, abbandonando però in seguito

gli studi. Connaturato alla crescita di Buzzati

è anche l'amore per la montagna, che lo

porterà a scalare e a sognare le

montagne per tutta la vita.

Dopo i primi anni, e dopo la morte del padre,

a quattordici anni, Buzzati si iscrive al 

liceo Parini di Milano, dove conosce Arturo

Brambilla; i due stringono amicizia e si

cimentano anche in duelli di scrittura.

Con lui inizierà una fitta corrispondenza

che continuerà sino alla prematura morte

di Brambilla. In questi anni Buzzati scopre

l'interesse per la cultura egizia (nelle lettere

con Brambilla si firmerà a lungo Dinubis) e

per Arthur Rackham. Terminati gli studi

superiori Buzzati inizia a mostrare il desiderio

di scrivere un romanzo. Si iscrive a

giurisprudenza per assecondare la volontà

della famiglia e il 10 ottobre 1928 si laurea

con una tesi dal titolo La natura giuridica del Concordato.

Carriera giornalistica

Sempre nel 1928, a luglio, entra come praticante,

al Corriere della Sera, del quale diverrà in seguito

 redattore e infine inviato.

Il 27 marzo 1933 pubblica sul Corriere il suo

primo elzeviroVita e amori del cavalier rospo.

Il Falstaff della fauna, che non è gradito da

alcune grandi firme del giornale. Nonostante

ciò Buzzati continuerà per tutta la sua vita a

scrivere elzeviri originali e di alta qualità letteraria.

Tra il 1935 e il 1936 si occupa del supplemento

mensile La Lettura. Incomincia soprattutto in

questi anni a dedicarsi alla scrittura di racconti

brevi, pubblicati anche sulle pagine del Corriere.

Nel 1940, anno di uscita de Il deserto dei Tartari,

è inviato di guerra ad Addis Abeba per il Corriere.

Il giornalista è imbarcato su varie unità della

 Regia Marina italiana e scrive molte corrispondenze

di guerra, che verranno raccolte nel 1992 

nel volume Il buttafuoco: cronache di guerra sul mare.

Dal gennaio all'estate del 1942 Buzzati

soggiorna in incognito a Messina, come inviato

di guerra e operatore militare nella base della

Marina di Marisicilia, con il compito di compilare

un manuale tecnico "sulla nostra attuale guerra

navale", un lavoro di "grande responsabilità e

mole". L'opera non verrà mai portata a termine.

Aderisce alla Repubblica sociale italiana e il 26

aprile 1945 è casualmente suo l'editoriale di

commento all'inizio dellaLiberazione, avvenuto

il giorno precedente. L'articolo esce sulla prima

pagina del Corriere col titolo Cronaca di ore memorabili.

Dal 1945, dopo la caduta del Fascismo e la fine

della guerra, fino alla morte, scrive articoli di

cronaca nera, il settore giornalistico che predilige.

I numerosi pezzi giornalistici dedicati da

Buzzati agli omicidi e alle tragedie italiane

(e non solo) saranno raccolti da Lorenzo

Viganò e pubblicati nel 2002 in un cofanetto

di due volumi dal titolo La «nera» di Dino Buzzati.

Parallelamente alla cronaca nera si dedica alla

cronaca bianca, alla cronaca sportiva

(principalmente all'alpinismo e allo sci, come è

testimoniato dai pezzi raccolti nel libro postumo

 I fuorilegge della montagna) e soprattutto alla

 Terza pagina.

Nel 1949 è inviato dal Corriere al seguito del 

Giro d'Italia, all'epoca la manifestazione

sportiva più seguita nella penisola. Gli articoli

scritti in quell'occasione saranno pubblicati in

un libro postumo del 1981Dino Buzzati al Giro d'Italia.

Dal 1950 al 1963 è vicedirettore della

 Domenica del Corriere. In realtà è un direttore

ombra: è lui infatti a guidare i collaboratori del

periodico e a occuparsi dell'impaginazione, della

 grafica, dei titoli, degli argomenti da trattare

(sport, cinema, musica leggera, tv, politica).

Nelle sue mani il settimanale incrementa

eccezionalmente le vendite, sfiorando non

poche volte il milione di copie.

Nei primi anni sessanta è inviato del giornale

per brevi periodi in Giappone, a Gerusalemme,

New York e Washington, inIndia, a Praga.

Alcuni degli articoli scritti durante questi viaggi 

saranno inclusi in Cronache terrestri, una

raccolta di un centinaio di brani giornalistici

di vario genere (cronaca, sport, cultura,

società), pubblicata poco dopo la morte

dell'autore. Quelli scritti in occasione del

viaggio di Paolo VI a Gerusalemme verranno

raccolti invece in Con il papa in Terrasanta,

Henry Beyle, 2014.

Nello stesso periodo inizia a occuparsi

stabilmente d'arte, fino ad assumere nel 

1967 l'incarico di critico d'arte del Corriere

(anche se, per sua stessa ammissione,

le sue non sono vere e proprie critiche,

bensì resoconti sulle principali novità

artistiche, narrate con una lingua semplice

e priva di tecnicismi]).

Nel 1965 Buzzati scrive una serie di articoli

dal titolo In cerca dell'Italia misteriosa, nei

quali si occupa di eventi all'apparenza

paranormali, visioni, apparizioni e fatti di

spiritismo dell'Italia del dopoguerra. I dieci

articoli e altri scritti dello stesso genere

verranno raccolti nel volume I misteri d'Italia,

uscito postumo nel 1978.

L'attività giornalistica di Buzzati verrà

apprezzata soprattutto dopo la sua morte,

con la pubblicazione di numerose antologie

dedicate alle varie tipologie del suo

giornalismo. La principale caratteristica

dei suoi servizi ed elzeviri è sicuramente

quella di trasformare dei semplici fatti di

cronaca in racconti fantastici e poetici,

dando vita a un sapiente connubio tra

giornalismo e letteratura.

 

 
 
 

DINO BUZZATI

Post n°1759 pubblicato il 11 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

DA WIKIPEDIA

Nel 1933 esce il suo primo romanzo, 

Bàrnabo delle montagne, al quale

segue dopo due anni Il segreto del

Bosco Vecchio. Da entrambe le opere

saranno tratti film a opera di registi

italiani: il primo girato da Mario Brenta 

nel 1994, il secondo da Ermanno Olmi 

nel 1993. Alla fine degli anni trenta

Buzzati inizia a pubblicare racconti fantastici

e surreali sul Corriere e su altre testate

giornalistiche. Il 9 giugno 1940 Buzzati

pubblica il suo più grande successo, 

Il deserto dei Tartari, scritto l'anno

precedente (il titolo originale doveva

essere La fortezza, poi cambiato su

suggerimento di Leo Longanesi, che lo

pubblica da Rizzoli), dal quale nel 1976

Valerio Zurlini trarrà il film omonimo.

Nel 1949 il romanzo esce in Francia

e riscuote un lusinghiero successo.

Nel 1942 Buzzati pubblica I sette messaggeri,

volume che raccoglie i suoi migliori racconti,

usciti negli anni precedenti su varie riviste e

giornali. Negli anni seguenti lo scrittore

pubblicherà prevalentemente raccolte di

racconti fantastici: del 1949 èPaura alla Scala 

e del 1954 Il crollo della Baliverna.

Da queste prime tre raccolte Buzzati estrarrà

i racconti più rappresentativi e, insieme

ad altri testi, li pubblicherà nel volume Sessanta

racconti (1958), che vincerà il Premio Strega.

Sempre nel 1958 pubblica Esperimento di magia.

18 racconti. Non mancano in questo periodo

pubblicazioni di altro genere: un romanzo per

bambini illustrato dallo stesso autore

(La famosa invasione degli orsi in Sicilia, 1945),

una raccolta di racconti e riflessioni brevissime

(In quel preciso momento, 1950), un libro di

valutazioni satiriche (Egregio signore, siamo

spiacenti di..., 1960, con illustrazioni di Siné).

A cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta 

inoltre Buzzati inizia a scrivere per il teatro, ideando drammicommediefarse emonologhi:

del 1953 è il suo unico vero successo in questo

campo, Un caso clinico, commedia tratta dal

racconto Sette piani e riproposta qualche anno

dopo anche al pubblico parigino nella traduzione

di Albert Camus. Le opere successive non

riscuoteranno un effettivo successo di

pubblico ma risultano degli ottimi testi, in

grado di mostrarci le varie sfumature della

poetica dell'autore, in questo caso

prevalentemente satirica: Drammatica fine

di un noto musicista (1955), Sola in casa(1958),

 Un verme al Ministero (1960), I suggeritori

 (1960), La colonna infame (1962) e altri.

Nel 1960 Buzzati torna alla forma del romanzo

e pubblica Il grande ritratto, che riscuote

molto successo dal punto di vista tematico,

meno da quello letterario: viene affrontato

il tema della femminilità, novità rispetto alle

tematiche affrontate fino ad allora dall'autore.

Esso anticipa il più famoso Un amore (1963),

incentrato su una tormentata storia

sentimentale, nella quale si riconoscono

alcune vicende autobiografiche dello scrittore.

Dal romanzo verrà tratto l'omonimo film (1965)

di Gianni Vernuccio.

Nel 1965 il narratore pubblica le sue uniche

opere poetiche: Il capitano Pic e altre poesie, 

Scusi, da che parte per Piazza del Duomo? e 

Tre colpi alla porta. Le ultime due saranno

raccolte due anni dopo in Due poemetti di Neri

Pozza editore, l'intera produzione poetica nel 

1982. Questi componimenti dimostrano l'estrema

versatilità letteraria di Buzzati, che trova nella 

poesia e nel verso libero un mezzo per esprimere

le sue consuete tematiche in maniera del tutto originale.

Nel 1966, dopo otto anni, esce una nuova

raccolta di racconti, Il colombre e altri cinquanta racconti,

seguita due anni dopo da La boutique del mistero,

che raccoglie 31 storie estrapolate da tutte le

precedenti raccolte: è chiara l'intenzione di

Buzzati di raccogliere il meglio della sua

produzione novellistica.

Le ultime opere dello scrittore bellunese

sono il discusso e celebre Poema a fumetti 

(1969), a seguito del quale gli è conferito il

prestigioso premio Amelia 1970, opera a metà

tra un romanzo e un fumetto, che rielabora

il mito di Orfeo edEuridice in chiave pop

Le notti difficili (1971), una raccolta di racconti

ed elzeviri incentrati sulla morte, e

 I miracoli di Val Morel (1971), una raccolta di

dipinti e brevi commenti imperniati su dei finti 

miracoli, che nell'invenzione dell'autore

sarebbero stati attribuiti a santa Rita dalla

tradizione popolare e ispirati alla località

di Valmorel di Limana.

Numerose sono le opere postume, che

raccolgono per lo più racconti mai pubblicati

in volume durante la vita dell'autore ed

estratti dalle copie originali del Corriere e di

altre testate, tra cui Il reggimento parte

all'alba (1985), Lo strano Natale di Mr. S

crooge e altre storie (1990), Bestiario (1991), 

Le cronache fantastiche di Dino Buzzati (2003), 

Il panettone non bastò(2004), I fuorilegge

della montagna (2010) e Il «Bestiario» di

Dino Buzzati (2015). Sono stati editi inoltre

dei libri che assemblano opere già pubblicate

da Buzzati durante la sua vita: Romanzi e r

acconti (1975), 180 racconti (1982),

Le poesie(1982), Teatro (1985, accresciuto

nel 2006), Il meglio dei racconti (1990), 

Opere scelte (1998), I capolavori di Dino Buzzati.

Tra le principali opere biografiche e critiche

dedicate alla vita, alle opere e alla poetica

di Buzzati Dino Buzzati (1967) diFausto

Gianfranceschi, prima monografia dedicata

all'autore, Dino Buzzati: un autoritratto (1973),

un libro-intervista prodotto da Yves Panafieu

sulla base di alcuni incontri con lo scrittore

poco prima della sua morte, Guida alla lettura

di Buzzati (1987) di C. Toscani, Il pianeta

Buzzati (1992) a cura di N. Giannetto, Dio

che non esisti ti prego. Dino Buzzati, la fatica

di credere (2006) di L. Bellaspiga e Album

Buzzati (2006), un'opera biografica a cura di

Lorenzo Viganò, ricca di fotografie in parte inedite.

Vi sono poi le introduzioni e i commenti alle

opere di Buzzati, firmati perlopiù da Lorenzo

Viganò, maggiore studioso dell'opera dello

scrittore bellunese, ma anche da Indro Montanelli,

amico stretto dello scrittore, Guido Davico Bonino,

Giulio Carnazzi, Carmen Covito, Oreste del Buono,

 Franco Di Bella, Fausto Gianfranceschi, Giuliano

Gramigna, Domenico Manzella, Ettore Mazzali,

 Claudio MarabiniGiulio Nascimbeni

Guido PioveneDomenico Porzio, Federico

Roncoroni, Alberico Sala, Claudio Toscani e

Maurizio Vitta.

Un dipinto di Buzzati: La stanza(1968, olio su tela, 70x45).

Il quadro è suddiviso in vari riquadri che

corrispondono ai vari momenti della narrazione.

 
 
 

DINO BUZZATI

Post n°1758 pubblicato il 11 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: WIKIPEDIA

Carriera artistica

Più che uno svago la pittura fu per

Dino Buzzati un secondo mestiere,

tanto che arrivò a dichiarare: «Sono

un pittore il quale, per hobby, durante

un periodo purtroppo alquanto prolungato,

ha fatto anche lo scrittore e il giornalista».

Le opere pittoriche di Buzzati sono

fortemente legate alle atmosfere e alle

situazioni dei suoi romanzi e dei suoi racconti:

lo stesso autore definì i suoi quadri

"storie dipinte", sottolineando con questa

espressione la forte carica narrativa delle

tele, che spesso presentano scritte 

fumettistiche o sono divise, proprio come

la pagina di un fumetto, in vari riquadri,

ognuno dei quali sta a rappresentare un

"momento" dell'azione.

Già da bambino Dino disegna molto,

soprattutto le sue amate montagne, ma

anche soggetti fantastici. Negli anni venti e

 trenta dipinge alcune tele (Romantica, 

Il lampione, Primo amore), ma l'occasione

di mostrare al pubblico le sue qualità di

disegnatore arriva solo nel 1945, quando

produce per il romanzo La famosa invasione

degli orsi in Sicilia numerosi disegni colorati.

È nel 1952 però che dipinge il suo quadro

più famoso, Piazza del Duomo di Milano,

nel quale il Duomo è raffigurato come una

montagna dolomitica con guglie e pinnacoli,

circondata da pascoli verdi.

L'attività pittorica di Buzzati diventa rilevante

a partire dal 1957, anno in cui inizia a produrre

con regolarità numerosi dipinti e disegni di

vario genere. Le tematiche dei suoi primi dipinti

sono quelle tipiche delle altre opere,

soprattutto dei racconti (il fantastico, il destino,

l'attesa, il mistero), e lo stile richiama al 

Simbolismo, alle illustrazioni di Arthur Rackham,

alla pittura metafisica di De Chirico e al Surrealismo

. A questa prima fase appartengono Una fine del mondo

Duello notturno (1957), Toc, toc (1957), 

Gli apriranno? (1958), Adieu (1958) e molti altri dipinti.

Negli anni sessanta Buzzati inizia a sostituire

le precedenti tematiche con nuovi argomenti,

come la sessualità e il delitto, e nuovi stili,

che ricordano il fumetto nero italiano e la 

pop art. A queste novità si rifanno dipinti

quali Il delitto di via Calumi(1962), 

La vampira (1965), Il circo Kroll (1965), 

Escalation (1966), Diabolik (1967), 

Laide (1967), L'urlo (1967), Un utile

indirizzo (1968) ecc. Buzzati tuttavia non

abbandona le precedenti tematiche:

opere come Miraggio (1966), Il Babau (

1967),Il vicario di Stinfeld (1967), 

Gli amici di mezzanotte (1967) ci mostrano

personaggi e creature fantastiche, colori

più freddi, che richiamano alle atmosfere

immaginarie tipiche delle prime opere

dello scrittore bellunese.

Le tematiche dell'erotismo, del delitto,

della morte e degli sfondi pop ritornano

nelle 208 tavole a colori del Poema a fumetti,

un'opera singolare che rielabora il mito di

Orfeo ed Euridice in chiave moderna.

Il volume, edito Mondadori, esce nel 1969,

vende benissimo e nel 1970 vince il premio 

Paese Sera. La critica, anziché dare un giudizio

netto, è piuttosto spaesata]: il connubio tra

letteratura e pittura che opera Buzzati,

il forte erotismo e lo stile moderno appaiono

ai più bizzarri e incompatibili con la precedente

produzione dello scrittore. L'opera è

considerata la prima graphic novel italiana

e tra le prime nel panorama mondiale.

L'ultimo libro pubblicato dall'autore è 

I miracoli di Val Morel (1971), una raccolta

di dipinti, accompagnati da brevi didascalie,

che raffigurano degli immaginari ex voto

compiuti nella finzione letteraria da Santa Rita.

I dipinti rappresentano la summa dell'intera

opera di Buzzati, poiché riprendono e ampliano

tutte le tematiche da lui affrontate nel corso

della carriera di romanziere e pittore: il destino,

il fantastico, l'ironia, l'amore, la perversione,

il delitto. L'opera verrà ristampata soltanto nel2012.

Tra le opere postume dell'autore dedicate

alla pittura il Catalogo dell'opera pittorica (2006)

a cura di Nicoletta Comar, il più completo catalogo

dei quadri di Buzzati, e Le storie dipinte (2013)

a cura di Lorenzo Viganò, che include la riproduzione

di cinquantatré dipinti narrativi, accompagnati

da brevi didascalie.

Altre attività

Accanto all'attività di scrittore, giornalista e pittore,

Buzzati si dedicò alla musica operistica,

dando vita a un sodalizio con il compositore

e direttore di orchestra Luciano Chailly,

per il quale scrisse quattro libretti. Curò

personalmente le scenografie delle sue

opere teatrali e dei drammi d'opera e l

avorò come scenografo e costumista

anche per opere non sue, come i balletti 

Jeu de cartes di Igor Stravinskij e Fantasmi

al Grand Hotel di Luciano Chailly. A questa

attività dello scrittore bellunese sono dedicati

i cataloghi Maccari e Buzzati al Teatro alla Scala,

mostra sesta a cura e con saggio di Giulio

Carlo Argan (1990) e Buzzati alla Scala (2006)

a cura di Vittoria Crespi Morbio.

Un'altra passione di Buzzati è stata quella

dell'alpinismo e in particolare delle scalate su roccia.

Molte sono le vie di roccia, anche difficili,

da lui percorse sulle Dolomiti, spesso

accompagnato da famose guide alpine

divenute nel tempo suoi intimi amici (come

Gabriele Franceschini). Le zone da lui più

frequentate erano le Pale di San Martino e la 

Croda da Lago, a cui era particolarmente

affezionato. Per quasi tutta la sua vita ha

dedicato a questa attività il mese di vacanza i

n settembre, che trascorreva nella casa di

famiglia a San Pellegrino di Belluno. Il suo

amore per le montagne e per le scalate era

tale che più volte ha raccontato e scritto che

quasi tutte le notti a Milano sognava di

arrampicare. Testimonianza della sua passione

per la montagna è il cofanetto di due volumi

 I fuorilegge della montagna, pubblicato nel

2010 a cura di Lorenzo Viganò, che raccoglie

articoli e racconti dedicati alle sue amate

Dolomiti, all'alpinismo, a famosi scalatori e allo sci.

Nel campo artistico Buzzati, oltre a cimentarsi

lui stesso nella produzione di dipinti, disegni

e bozzetti, si occupa, soprattutto nell'ultimo

decennio della sua vita, di critica e rassegna

artistica. Negli anni '60 viene nominato critico

d'arte del Corriere della Sera, testata sulla

quale pubblicherà centinaia di articoli, dedicati

a svariate mostre, correnti e artisti

(la pop art,BaconKlein). Alla tradizionale critica,

con la quale il critico d'arte si poneva in una

posizione di importanza e superiorità rispetto

al lettore e lanciava accuse di qua e di là,

Buzzati ne preferisce una più informale,

che presenta al lettore le novità artistiche

e le mostre pittoriche senza inserire negli

articoli pretenziosi giudizi.

Interessanti anche le esperienze come

sceneggiatore, che lo videro collaborare

con Federico Fellini alla stesura de 

Il Viaggio di G. Mastorna, il progetto che il

regista inseguì tutta la vita, e che non ebbe

mai luce.

Sceneggiò inoltre Il pianeta acciaio di 

Emilio Marsili (1962), raffinatissimo

documentario sull'Italsider.

Matrimonio e morte

Buzzati si sposa nel dicembre del 1966

con la giovane Almerina Antoniazzi.

Muore di tumore al pancreas alla clinica

"La Madonnina" di Milano il 28 gennaio 

1972 (ne era morto anche il padre nel 1920).

Nell'estate del 2010 le sue ceneri sono

state disperse sulla Croda da Lago, nelle amate Dolomiti.

 
 
 

DINO BUZZATI

Post n°1757 pubblicato il 11 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: WIKIPEDIA

Poetica, temi e problematiche

Con un tono narrativo fiabesco, Buzzati

affronta temi e sentimenti quali l'angoscia,

la paura della morte, la magia e il mistero,

la ricerca dell'assoluto e del trascendente,

la disperata attesa di un'occasione di riscatto

da un'esistenza mediocre (Le mura di Anagoor, 

Il cantiniere dell'Aga Khan, Il deserto dei Tartari),

l'ineluttabilità del destino (I sette piani) spesso

accompagnata dall'illusione (L'uomo che volle guarire).

Il grande protagonista dell'opera buzzatiana

è il destino, onnipotente e imperscrutabile,

spesso beffardo (come ne Il deserto dei Tartari).

Perfino i rapporti amorosi sono letti con quest'ottica

di imperscrutabilità (Un amore).

 La letteratura di Buzzati appartiene al genere 

fantastico con molteplici spunti, talvolta con

vicinanze al surrealismo, l'orrore e alla fantascienza

 (Il grande ritratto e alcuni racconti).

Momento centrale della sua narrativa è

comunque Il deserto dei Tartari nel quale

il protagonista, Giovanni Drogo, tenente

di prima nomina è mandato in una fortezza

sperduta ai limiti del deserto, dove egli vive

una sorta di iniziazione alla morte.

La Fortezza Bastiani è un avamposto

ai limiti dell'impero che si colloca in un contesto

caratterizzato da una surreale assenza di

definizioni spazio-temporali.

Il clima della Fortezza, coi suoi luoghi e le sue

atmosfere, sostanzialmente fuori del tempo e

dello spazio, determina negli abitanti una

specie di malattia psichica, una sorta di

"morbo della Bastiani" che colpisce tutti.

Drogo non tarda ad accorgersi che i giorni

si snocciolano in una routine abitudinaria

senza sbocchi e prospettive in una ripetizione

sterile di atti stereotipati.

Gli spazi limitati, le azioni limitate, la sua

cameretta, l'ineliminabile stillicidio della cisterna,

gli angoli e le scale, i suoni, le luci, le ombre,

avevano fatto sì che egli incorporasse tutto

ciò: «queste cose erano diventate sue».

Dopo due anni di permanenza a Giovanni

Drogo pare che tutto sia rimasto uguale,

immobile nel suoi rituali da caserma.

Nulla è cambiato, tutto si ripete e la noia

avanza e invade tutto con le sue regole

spesso assurde, persino i sonni sono

scanditi dalle regole. Si tratta di una sorta

di incantesimo in cui però permane sempre

l'illusione di essere stato mandato lì

"per sbaglio" e che a sua richiesta potrebbe

essere trasferito altrove in qualsiasi momento.

Ma egli ha momenti in cui torna prepotente

la voglia di andarsene, con la certezza di

poterlo fare quando vorrà. Un giorno decide

di lasciare la Bastiani e va dal medico per farsi

fare un certificato da allegare alla domanda

di trasferimento. Il medico gli dice:

Mentre però il medico procede alla compilazione

del certificato, Giovanni si accosta alla finestra

e subisce una sorta di incantesimo. La fortezza

gli appare improvvisamente grandiosa, immensa,

con una sorta di sua perfezione geometrica,

guerrieri immobili e bellissimi con le baionette

innestate, poi trombe dai suoni squillanti e

bellissimi. Rapidamente Drogo confronta tutto

ciò con la città e se ne fa un'immagine di

squallore e di piattezza, il cambiamento è

repentino e la decisione stupefacente.

All'«Ecco qua il certificato» del dottor

Rovina egli risponde che non vuol più partire.

Questa scena rappresenta il momento di

massima evidenza di quella malattia della

Bastiani dalla quale Drogo è ormai contagiato.

Tra le altre componenti l'aspetto più rilevante

di tale malattia è "l'attesa". Si attende

l'invasione dei Tartari, ma nessun elemento

oggettivo lascia pensare che essa avverrà

mai. Drogo però a un certo momento si ammala

veramente, nel fisico, di una malattia che lo

consuma giorno per giorno e lo rende inabile

fino a diventare una larva umana ingombrante

che dovrebbe lasciare la fortezza; egli tuttavia

si oppone. Quando è ormai moribondo accade

l'impensabile: i Tartari attaccano.

È l'evento tanto atteso, ma è troppo.

 
 
 

IL DESERTO DEI TARTARI

Post n°1756 pubblicato il 11 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: WIKIPEDIA

Buzzati, "Il Deserto dei Tartari": riassunto

Con la pubblicazione del romanzo

 intitolato Il deserto dei Tartari nel 

1940, Dino Buzzati ottiene quel successo

di critica e di pubblico che ne hanno fattouno

dei principali scrittori del Novecento italiano.  

L'ispirazione per le vicende del libro arriva

a Buzzati dall'esperienza giornalistica per

conto del "Corriere della Sera" in Etiopia

nel 1939, e dallo scoppio del conflitto

mondiale, cui l'Italia decide di partecipare

(10 giugno 1940) proprio in concomitanza

con la pubblicazione del romanzo.

Il protagonista delle pagine del Deserto

dei Tartari è allora Giovanni Drogo, un

tenente mandato in servizio presso un

non meglio identificato distaccamento

militare ai confini del mondo, la "Fortezza

Bastiani", relegata in cima ad un'impervia

montagna. Questo scenario - che in parte

ricorda quello del Bàrnabo delle montagne,

e che costituisce una delle costanti dell'autore

- ci appare da subito come sospeso tra

il sogno e la veglia; la Bastiani è un

avamposto ormai abbandonato e pressoché

dimenticato, ma che vincola a sé tutti i militari

del battaglione non solo attraverso una

ferrea disciplina ma per il senso di perenne

attesa di un nemico che giungerà dalla

frontiera e che rappresenta il sogno di

una gloria da conquistare e di un destino

su cui riporre la propria fiducia. Quando

Drogo giunge alla Fortezza, è un giovane

tenente fiero e saldo, che dispone di se

stesso e della sua esistenza in piena

libertà, convinto di trascorrere in quel

luogo desolato solo qualche mese, per

poi tornare alla vita normale.

Dopo poco però, la pacata e monotona

vita della Fortezza Bastiani, scandita

dalla disciplina militare, dagli orari

dell'esistenza comunitaria e dalla

convinzione che di lì a poco il nemico

arriverà, fa presa anche sul nostro

protagonista che, senza rendersene

conto, trascorre in quel luogo remoto

tutti gli anni della sua esistenza.

Per Drogo, così come per i commilitoni,

la speranza di veder comparire un

nemico all'orizzonte si trasforma a

poco a poco in un'ossessione metafisica,

in cui al desiderio di mostrare il proprio 

eroismo si sovrappone - con forte

simbolismo - la ricerca di una verità 

definitiva sulla propria esistenza.

Mentre trascorrono i decenni (e mentre

i compagni alla Fortezza tornano alla

vita civile o muoiono, come il tenente

Angustina), Drogo rimane fatalmente

incatenato a questa condizione

irrisolta tra speranza edisillusione;

quando, per una breve licenza, potrà

rientrare nel mondo reale, percepirà

tutto il senso del proprio sradicamento 

rispetto alla gente comune. L'attesa

del nemico, unico moto vitale per

Drogo e i per suoi compagni di sventura,

si rivela infine un fallimento: quando

finalmente i Tartari, a lungo attesi, avanzano

verso la Fortezza, Drogo è costretto in un

letto, condannato da un male incurabile.

Proprio nell'occasione sperata da una vita,

Drogo, frustrato e sconfitto, viene congedato

dalla Bastiani, e trascorre la sua ultima notte

in un'anonima locanda, sulla via del ritorno.

Il momento della morte diventa quindi quello

della rivelazione per il protagonista: dopo

un'esistenza spesa e sfumata nell'attesa di

un evento che dia un senso alla propria vita,

Drogo sceglie di affrontare con serena dignità 

una morte solitaria ed ignota a tutti.

 
 
 

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