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Messaggi del 17/12/2018

LA METAFORA DELLA VITA....

Post n°1789 pubblicato il 17 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

LA METAFORA DELLA VITA

La Fortezza Bastiani è un luogo impervio

e solitario che non ha niente di attraente.

Chi ci viene mandato a prestare servizio

non vede l' ora di andare via.

Ma più tempo si trascorre tra le sue mura

più difficile diventa abbandonarla.

Le giornate vi scorrono lente e monotone,

lo sguardo e il pensiero sono sempre rivolti

alla vasta pianura del Nord, il deserto dei

Tartari da dove si aspetta da un momento

all' altro un attacco nemico. E' proprio l'attesa

di questa possibile guerra che impedisce a

chi vi è dentro di andar via, perché pian

piano diventa una ragione di vita, un' occasione

di riscatto. E' ciò che accade anche al protagonista

di questo libro, il Tenente Giovanni Drogo, che

trascorrerà la sua vita nella fortezza aspettando

il grande giorno, entusiasmandosi per ogni piccolo

segnale proveniente dal deserto e sprecando

così la sua esistenza. Una bella metafora della

vita dell' uomo che si consuma aspettando qualcosa

che probabilmente non arriverà mai e intanto

perde di vista tutto ciò che invece potrebbe

renderlo felice. Un messaggio forse un po'

pessimista ma trasmesso attraverso un bel libro,

lento ma interessante, scritto con un linguaggio

molto semplice e con un protagonista nel quale

è facile immedesimarsi. 

 
 
 

La montagna incantata di Thomas Mann

Post n°1788 pubblicato il 17 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

La montagna incantata di Thomas Mann

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Mann iniziò a lavorare a La montagna

incantata nel 1912, concependo inizialmente

il progetto come un racconto breve in cui

sviluppare in chiave ironica alcuni dei temi

già presenti in La morte a Venezia. L'idea

centrale riflette le esperienze ed impressioni

relative al soggiorno della moglie, Katia

Pringsheim, a quel tempo sofferente di una

malattia polmonare, nel sanatorio del dottor

Friedrich Jessen aDavos, in Svizzera, durato

diversi mesi. Mann le fece visita nel maggio e

giugno del1912, facendo la conoscenza del

personale e dei degenti di questo centro

medico cosmopolita. Secondo quanto affermato

dallo stesso scrittore in un'appendice più tardi

aggiunta al volume, l'esperienza fornì il materiale

per il primo capitolo (L'arrivo) del romanzo.

Lo scoppio della prima guerra mondiale 

Interruppe il lavoro sul libro. Il conflitto e le

difficili condizioni del dopoguerra indussero

l'autore a un sostanziale riesame della società

borghese europea che tenesse conto delle

perverse tendenze distruttive mostrate da

una gran parte dell'umanità cosiddetta "civilizzata".

Si trovò inoltre a considerare con rinnovata

attenzione l'atteggiamento dell'individuo nei

confronti di questioni quali la malattia, la morte,

la sessualità. Ne conseguì una sostanziale

revisione del testo che venne notevolmente

ampliato e finalmente completato nel 1924.

Der Zauberberg fu pubblicato in due volumi,

nel novembre dello stesso anno, dall'editore

S. Fischer Verlag a Berlino.

La storia è ambientata negli anni precedenti

la prima guerra mondiale. Il protagonista è i

l giovane ingegnere di Amburgo Hans Castorp,

agli inizi della carriera nell'industria navale.

La narrazione inizia con la visita di Castorp,

programmata per tre settimane, al cugino,

militare di carriera, Joachim Ziemssen presso

il sanatorio Berghof a Davos, sulle Alpi

svizzere, qui ricoverato a causa della tubercolosi.

Poco prima del previsto ritorno, Castorp

si sottopone a una visita a causa di una

leggera infezione bronchiale e viene persuaso

a rinviare la partenza in attesa di un

miglioramento delle sue condizioni di salute.

La prima metà del romanzo descrive i primi mesi

del soggiorno durante i quali il protagonista fa

la conoscenza di una serie di personaggi che

costituiscono un microcosmo della società

europea del tempo. Particolare impressione

fa su Castorp il massone,umanista ed

enciclopedista italiano Lodovico Settembrini,

allievo di Giosuè Carducci, che ne diventa una

sorta di mentore. Un'altra rilevante figura è

costituita da Madame Chauchat, moglie di un

funzionario russo, di cui Castorp si innamora

fin dai primi giorni, ma con cui avrà modo di

parlare solo assai più tardi, poco prima

della partenza di questa per un lungo soggiorno

in Spagna e in altre località europee.

La malattia si rivela in realtà tubercolosi e

tratterrà il protagonista lontano dalla vita

attiva per sette anni. La narrazione segue

la percezione del tempo degli stessi malati

per cui esso trascorre quasi inavvertitamente:

mentre la prima parte del romanzo descrive il

primo anno di soggiorno di Castorp, la seconda

tratta dei restanti sei. All'umanista Settembrini

si affianca intanto il gesuita Leo Naphta, la cui

filosofia a tratti cinica e radicale fa da contraltare

alle posizioni moderate dell'italiano, mettendone

in luce i limiti senza però fornire una visione

organica del mondo che possa essere

accettata dall'animo essenzialmente borghese

di Castorp. Alle accanite discussioni tra i due

intellettuali il protagonista assiste rendendosi

via via sempre più partecipe, mentre il cugino

Joachim, che spesso lo accompagna, mantiene

sempre un marcato riserbo. Quest'ultimo,

insofferente all'inattività a cui le condizioni di

salute lo costringono, decide all'improvviso e

risolutamente di far ritorno al "piano" e alla

carriera militare nonostante l'opinione contraria

dei medici, i quali invece dichiarano "guarito"

Castorp che si rifiuta però di lasciare la clinica.

Diversi mesi più tardi, a causa di un aggravarsi

della malattia, Joachim fa ritorno a Davos in

compagnia della madre e, poco tempo dopo, muore.

Negli ultimi capitoli del romanzo, fa la sua

comparsa, accompagnato dalla signora Chauchat,

il magnate Pieter Peeperkorn, ultima figura ad

esercitare una forte influenza sul protagonista.

Nonostante questi goda dei favori della mai

dimenticata dama russa e ne sia dunque rivale

in amore, Castorp rimane conturbato dalla

forte personalità del ricco edonista olandese.

Poco dopo però questi, quasi inspiegabilmente,

si uccide.

Nella parte finale del romanzo inizia a serpeggiare

nel sanatorio una forte insofferenza e

inquietudine; simbolo probabilmente della fine

della Belle époque, ma anche delle future

contraddizioni della Repubblica di Weimar.

Persino le discussioni tra Naphta e Settembrini

si fanno più veementi e il primo sfida l'altro a

duello. Al rifiuto di Settembrini di sparare

all'amico però Naphta si spara in testa uccidendosi.

Verso la conclusione, la prima guerra mondiale

ha inizio e Castorp scende al "piano" per arruolarsi

nell'esercito.

Un giovane uomo poco più che ventenne.

Secondo lo stesso autore il protagonista

del romanzo è un cavaliere indagatore,

come il "puro folle" alla ricerca del Santo

Graal nella tradizione mitico-letteraria del

Parzival; tuttavia, egli rimane come ad uno

stato embrionale ed abortito, pallido e

mediocre in quanto perfetta rappresentazione

della borghesia tedesca. Fortemente diviso

tra influenze contrastanti, capace dei più

alti ideali umanistici, ma allo stesso tempo

soggetto anche a pesante filisteismo ed

apparente radicalismo ideologico.


Come è suo solito, Mann scegli il nome del

suo protagonista con accurata attenzione:

Hans è un nome tedesco assai generico,

quasi anonimo, ma che si riferisce anche

alla figura presente nella fiaba "La fortuna

di Hans" (Hans im Glück) deiFratelli Grimm

e all'apostolo Giovanni evangelista, il

discepolo prediletto di Gesù che ha avuto

la visione dell'Apocalisse. Castorp è invece

il cognome di un eminente personalità

storica medioevale della città natale di

Thomas Mann, Lubecca, ilsindaco e ricco

mercante del XV secolo Hinrich Castorp.

In un certo senso Hans Castorp può esser

inteso come la personificazione della

giovane repubblica di Weimar: da una

parte 'umanesimo, dall'altra il radicalismo

più estremo - rappresentati rispettivamente

da Settembrini e Naphta - cercano di attrarlo

a sé ottenendo il suo favore, ma Castorp

non pare in grado di poter fare una scelta

compiuta e decisa. Il leggero ma costante

stato febbrile che lo accompagna è sottile

metafora della propria mancanza di

chiarezza interiore: l'alterazione di temperatura

corporea (37,6°) è un punto intermedio tra

l'esser sano e l'esser malato. Infine la

temperatura esterna dell'ambiente in cui si

ritrova improvvisamente a vivere è spesso

fuori equilibrio; o è troppo caldo o troppo

freddo e tende quindi agli estremi (ad esempio

l'episodio della nevicata in pieno agosto), non

avendo mai una sua stabilità.

SettembriniIl massone Settembrini viene ben

a rappresentare l'ideale attivo e positivo

dell'illuminismo, dell'umanesimo, dellademocrazia,

della tolleranza e dei diritti umani. Spesso

egli trova Castorp letteralmente immerso nel buio,

tanto che prima di iniziare le loro quasi

quotidiane conversazioni vi è la necessità di

accendere la luce. Egli si paragona volentieri

alla figura della mitologia greca Prometeo,

colui che ha portato nel mondo umano il dono

del fuoco e quindi di conseguenza anche

dell'illuminazione. Il suo mentore è Giosuè

Carducci, il poeta italiano che ha anche

scritto tra l'altro un inno dedicato aLucifero,

"la forza vindice della ragione."

I suoi principi etici sono quelli dei valori

borghesi e del lavoro; cerca di contrastare

il fascino morboso che Castorp pare

intrattenere con la morte e la malattia,

mettendolo in guardia contro la "compagna

di malattia" Madame Chauchat, cercando di

dare prova di una visione positiva della vita:

il suo antagonista Naphta lo descrive come

"Zivilisationsliterat". Mann originariamente

ha costruito Settembrini come una caricatura

del romanziere liberal-democratico, rappresentato

per esempio dal fratello Heinrich Mann. Tuttavia,

mentre il romanzo era in corso d'opera, Mann

stesso è diventato un sostenitore dichiarato

della repubblica di Weimar, il che può spiegare

come mai accada che Settembrini, soprattutto

nei capitoli successivi a quelli immediatamente

iniziali, diventi la voce dell'autore.

Nelle caratteristiche fisiche Settembrini

ricorda il compositore italiano Ruggero

Leoncavallo, mentre il nome è preso da quello

del patriota italiano del XIX secolo Luigi Settembrini.

Naphta

L'antagonista principale di Settembrini, Leo

Naphta, è un membro della compagnia di Gesù,

divenuto hegeliano-marxista ma nato Ebreo;

una parodia del filosofo ungherese György Lukács,

come informa Mann in una lettera del 1949.

Madame Chauchat
Claudia Chauchat rappresenta la tentazione

data dall'erotismo, la lussuria e l'amore, il tutto

in una forma degenerata ed ampiamente

morbosa, dominata da "passività asiatica".

Lei si trova ad essere proprio uno dei motivi

principali per il soggiorno prolungato di Castorp

sulla montagna magica. La promessa femminile

del piacere sessuale come ostacolo alla gioia

maschile per l'azione nel mondo imita i temi

del mito riguardante Circe ma presente anche

nelle ninfe delle "montagne di Venere"

nell'opera lirica Tannhäuser (opera) di Richard Wagner.

Caratteristiche feline che contraddistinguono

la donna sono fatte notare abbastanza

spesso; il suo cognome poi deriva dal

francese "chaud chat" (gatto caldo),

mentre il suo primo nome include anche

un accenno all'inglese claw-artiglio.

(Il suo nome può anche essere un riferimento

alla mitragliatrice Chauchat in dotazione

all'esercito francese durante la prima

guerra mondiale. Claudia Chauchat lascia

il Berghof per qualche tempo, ma per

ritornare in seguito con un altro compagno

impressionante, Mynheer Peeperkorn,

che soffre di una malattia tropicale.

Peeperkorn
Mynheer-Pieter Peeperkorn, nuovo amante

di Claudia Chauchat, entra nel paesaggio

del Berghof piuttosto tardi; ma è certamente

una delle persone maggiormente predominanti

del romanzo: rappresenta il principio e lo

spirito dionisiaco. Il suo forte comportamento

e l'accentuata personalità, con la sua aura

di importanza che lo attraversa, in

combinazione con un imbarazzo evidente

e la strana incapacità di completare

nemmeno una volta una qualche dichiarazione

od affermazione, ricorda alcune figure delle

precedenti novelle dell'autore (per esempio,

Herr Klöterjahn in Tristano (racconto));

personaggi che sono da un lato fonte

di ammirazione per la loro prorompente

energia vitale ma anche, dall'altro,

condannati a causa della loro estrema

ingenuità.

In conclusione, questa persona rappresenta

la forma più grottesca di un carattere dionisiaco;

il dio greco Dioniso è importante anche nella

filosofia di Friedrich Nietzsche e La nascita

della tragedia è la fonte del titolo

"La montagna incantata". Estremismo di

Peepercorn si ripercuote anche nell'atto finale

del suicidio da lui compiuto, eseguito anche

in modo alquanto strano. Con Mynheer

Peeperkorn l'autore del romanzo personalizza

contemporaneamente il suo rivale, l'influente

poeta tedesco Gerhart Hauptmann, ma anche

alcune proprietà di Goethe (con il quale spesso

è stato confrontato Hauptmann).

Interpretazioni

La montagna incantata è caratterizzata da

una narrativa densa di erudizione e spesso

ambigua che ha determinato una certa

varietà di giudizi critici. A fianco di uno

scrupoloso realismo nella descrizione di

personaggi e situazioni, si ritrova un

marcato simbolismo, nei toni con cui viene

descritto, ad esempio, il fluire del tempo

o le impressioni e meditazioni del protagonista.

I personaggi stessi, rappresentano, più o

meno apertamente, le diverse tendenze

filosofiche del tempo con cui Castorp viene,

in questo modo, successivamente in contatto.

Il rapporto tra l'ordine e l'equilibrio della morale

borghese e il vitalismo estetico, già analizzato

in un contesto di malattia e morte in La morte

a Venezia, è qui interpretato con sottile ironia

e presentato in relazione al più ampio

panorama del pensiero europeo del primo

Novecento.
Il romanzo si rifà apertamente alla tradizione

europea, e in particolare tedesca, del

romanzo di formazione o Bildungsroman,

benché, come dichiarato dallo stesso autore,

ne sia anche la parodia. Nei capitoli iniziali,

il protagonista mostra una spiccata curiosità

sia nei confronti delle scienze naturali che

delle discipline umanistiche, spesso in

contrasto con l'atteggiamento chiuso e

riservato del cugino Joachim.

Col passare del tempo impara però a

mantenere una certa distanza dalle

posizioni pur affascinanti ma estreme

del gesuita Naphta, così come sviluppa

anche un certo scetticismo rispetto

agli slanci retorici dell'umanista Settembrini.

A differenza del tipico impianto del romanzo

di formazione, è stato sottolineato come la

maturità acquisita da Castorp non sembra

avere come scopo un futuro vissuto nella

pienezza dello spirito finalmente raggiunta.

Pare invece, a causa della prospettata e

probabile morte nel conflitto mondiale, quasi

fine a sé stessa o comunque inutile e

inconsistente di fronte all'irrazionalità della

guerra.

 
 
 

IL DESERTO DEI TARTARI, ROMANZO

Post n°1787 pubblicato il 17 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli



Il deserto dei Tartari (romanzo)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il deserto dei Tartari
AutoreDino Buzzati
1ª ed. originale1940
Genereromanzo
Lingua originaleitaliano
AmbientazioneFortezza Bastiani
Il deserto dei Tartari è un romanzo

di Dino Buzzati. Pubblicato nel 1940,

segnò la consacrazione di Buzzati tra i

grandi scrittori del Novecento italiano.

Lo scrittore bellunese in un'intervista

affermò che lo spunto per il romanzo,

era nato:

«dalla monotona routine redazionale

notturna che facevo a quei tempi.

Molto spesso avevo l'idea che quel

tran tran dovesse andare avanti senza

termine e che mi avrebbe consumato

così inutilmente la vita. È un sentimento

comune, io penso, alla maggioranza degli

uomini, soprattutto se incasellati nell'esistenza

ad orario delle città. La trasposizione di

questa idea in un mondo militare fantastico

è stata per me quasi istintiva.»

Il tema centrale del romanzo è dunque

quello della "fuga del tempo".

Trama


Il romanzo è ambientato in un immaginario

paese. La trama segue la vita del sottotenente

Giovanni Drogo dal momento in cui, divenuto

ufficiale, viene assegnato come prima nomina

alla Fortezza Bastiani, molto distante dalla città.

La Fortezza, ultimo avamposto ai confini

settentrionali del Regno, domina la desolata

pianura chiamata "deserto dei Tartari", un tempo

teatro di rovinose incursioni da parte dei nemici.

Tuttavia, da innumerevoli anni nessuna minaccia

è più apparsa su quel fronte; la Fortezza, svuotata

ormai della sua importanza strategica, è rimasta

solo una costruzione arroccata su una solitaria

montagna, di cui molti ignorano persino l'esistenza.

Dopo un viaggio a cavallo di più giorni, Drogo

ha una cattiva impressione della fortezza.

Confida all'aiutante maggiore Matti di voler

chiedere l'avvicinamento alla città e questi

gli consiglia di attendere quattro mesi fino

alla visita medica periodica, dopo la quale

potrà farlo trasferire per motivi sanitari.

Drogo si pente subito di avere acconsentito,

ma in questo periodo subisce inconsciamente

il fascino degli immensi spazi desertici che si

aprono a settentrione. La vita alla Fortezza

Bastiani si svolge secondo le norme ferree

che regolano la disciplina militare ed esercita

sui soldati una sorta di malia che impedisce

loro di lasciarla. I militari sono sorretti da

un'unica speranza: vedere apparire all'orizzonte,

contro le aspettative di tutti, il Nemico.

Fronteggiare i Tartari, combatterli, diventare

eroi: sarebbe l'unica via per restituire alla

Fortezza la sua importanza, per dimostrare

il proprio valore e, in ultima analisi, per dare

un senso agli anni buttati via in quel luogo

di confine.

Il giorno della visita medica che dovrebbe

sancire la sua inabilità per il servizio alla

Fortezza, Drogo la vede improvvisamente

trasformata; davanti ai suoi occhi si espande

a dismisura con camminamenti, spalti e mura

che mai ha visto. Il selvaggio paesaggio del

nord gli appare bellissimo. Rinuncia al

trasferimento e si lascia affascinare dalle

rassicuranti e ripetitive abitudini che scandiscono

il tempo alla Fortezza, dalla speranza,

condivisa da altri compagni, di una futura

gloria.

Un giorno un soldato uscito per recuperare

un cavallo sbandato rientra senza conoscere

la parola d'ordine e viene abbattuto dalla

sentinella che pure lo ha riconosciuto: le

regole del servizio lo impongono. Qualche

tempo dopo sembra che ciò che tutti attendono

stia per accadere: lunghe colonne di uomini

armati si avvicinano da settentrione

attraverso la pianura deserta. La Fortezza

è in fermento, i soldati sognano battaglia

e gloria, ma si scopre che non sono tartari,

bensì soldati del Regno confinante che

vengono a definire la linea di frontiera.

Dopo quattro anni Drogo torna a casa in

licenza, ma non si ritrova più nei ritmi della

città: prova un senso di estraneità e

smarrimento nel ritornare al suo vecchio

mondo, a una casa che non può più dire

sua, ad affetti a cui scopre di non saper

più parlare. Maria, sorella del suo amico,

gli sembra indifferente, eppure basterebbe

una sola parola di Drogo perché lei rinunci

a un viaggio in Olanda e rimanga con lui.

Si reca da un generale per ottenere il

trasferimento, come sarebbe prassi dopo

quattro anni in Fortezza, ma il superiore

gli dice che l'organico della piazzaforte

sarà drasticamente ridotto e molti suoi

colleghi hanno presentato domanda

prima di lui, senza dirgli nulla.

Drogo ritorna alla Fortezza e ai suoi ritmi

immutabili. Ora la guarnigione è appena

sufficiente. Il collega tenente Simeoni crede

di avvistare del movimento in fondo alla

pianura settentrionale, il comandante è

il primo a disilluderlo. In realtà con il tempo

si scopre che il Regno del Nord sta

probabilmente costruendo una strada

diretta verso le montagne di confine,

ma occorreranno quindici anni di lavori

attraverso il vasto deserto per arrivare

nei paraggi della Fortezza. Nel frattempo

tutti si sono abituati a considerarlo un

lavoro di ingegneria civile.

Nell'attesa della "grande occasione" si consuma

la vita dei soldati di guarnigione; su di loro

trascorrono, inavvertiti, i mesi, poi gli anni.

Drogo vedrà alcuni dei suoi compagni morire,

altri lasciare la fortezza ancora giovani o ormai

vecchi. Dopo trent'anni di servizio è diventato

maggiore e vicecomandante della Fortezza.

Una malattia al fegato lo corrode fino a

costringerlo a letto, quando improvvisamente

accade ciò che giustificherebbe tutta la vita

trascorsa in questo avamposto: la guerra

contro il regno del Nord, che fa affluire truppe

e artiglierie lungo la strada.

Ma mentre arrivano due reggimenti di rinforzo

alla Fortezza Bastiani, il comandante e suo ex

collega Simeoni fa evacuare Drogo malato per

far alloggiare nella sua stanza i nuovi ufficiali.

La morte lo coglierà solo, in un'anonima stanza

di una sperduta locanda, ma senza più

sentimenti di rabbia e delusione. Drogo,

infatti, riflettendo su tutta la sua vita,

capisce nei suoi ultimi istanti quale fosse

in realtà la sua personale missione, l'occasione

per provare il suo valore che aveva atteso per

tutta la vita: affrontare la Morte con dignità,

"mangiato dal male, esiliato tra ignota gente".

Drogo non ha quindi centrato l'obiettivo della

sua esistenza ma ha sconfitto il nemico più

grande: non la morte ma la paura di morire.

Con la consapevolezza di aver combattuto

questa battaglia decisiva, Drogo muore da

vero soldato, rappacificato con la sua storia,

della quale ha finalmente trovato un senso

che supera la sua individualità.

I Tartari

I Tartari erano una popolazione nomade

dell'Asia centrale, federata nel Medioevo

con i Mongoli; il loro nome veniva storpiato

in Tartari per l'assonanza con uno dei nomi

dell'inferno, il Tartaro appunto. Essi,

tuttavia, in realtà non hanno nulla a che

vedere con il romanzo. Lo scrittore sfrutta

il nome dei Tartari per evocare l'idea di

una minaccia militare, di un'invasione da

parte di un popolo crudele, guerriero e

sconosciuto, sulla scia di un immaginario

medievale che ha la sua origine ne Il Milione,

il primo grande libro di viaggi, in cui lo

stupore per il favoloso e il meraviglioso è

sempre confuso alla tendenza catalogatrice

di Marco Polo.

Riferimenti nella cultura di massa

Cinema

Nel 1976 si traspose il romanzo in

un film omonimo diretto da Valerio Zurlini

(nel cast Vittorio Gassman, Jacques Perrin,

Philippe Noiret, Max Von Sydow e

Giuliano Gemma).

Il film italiano Fortezza Bastiani del 2002,

diretto da Michele Mellara, fa riferimento

all'ambientazione del romanzo.

Nella pellicola, viene chiamato Fortezza

Bastiani l'appartamento in cui vivono i

cinque studenti protagonisti.

La serie animata giapponese Sora no

Woto, trasmessa a partire dal 2010,

presenta una trama per certi aspetti

molto simile al romanzo di Buzzati.

Protagoniste sono cinque soldatesse

le quali occupano una fortezza sul confine.

Esse trascorrono i giorni simulando missioni

di guerra e addestrandosi alle armi,

nonostante non vi sia alcun nemico da

affrontare.

Letteratura

Lo scrittore sudafricano J.M. Coetzee, premio

Nobel per la letteratura nel 2003, s'ispirò

alla trama de Il deserto dei Tartari per

scrivere il romanzo Waiting for the

Barbarians, pubblicato nel 1980.

In omaggio all'opera di Dino Buzzati, l

o scrittore Dario Pontuale nel romanzo

L'irreversibilità dell'uovo sodo anagramma

il cognome di Giovanni Drogo per adattarlo

al proprio protagonista, l'impacciato

investigatore privato Gabriele Grodo.

Musica

Il cantante Franco Battiato, nel brano

omonimo tratto dall'album Dieci stratagemmi

del 2004, paragona la sua esistenza alla

Fortezza Bastiani sentendosi come il Tenente

Drogo in cerca della sua personale missione

tra le mura della Fortezza.

Il brano Prima guardia, contenuto nell'album

Terremoto della rock band italiana Litfiba del

1993, è stato ispirato dalle vicende del romanzo.

 
 
 

IL DESERTO DEI TARTARI , FILM

Post n°1786 pubblicato il 17 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

                            
Il deserto dei Tartari (film)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il deserto dei Tartari è un film del 1976,

diretto da Valerio Zurlini, tratto dal

romanzo omonimo di Dino Buzzati.

È stato l'ultimo film diretto da Zurlini.

Trama

L'ufficiale Giovanni Battista Drogo,

appena nominato sottotenente

dell'esercito imperiale di una nazione

imprecisata (potrebbe però essere

l'Impero Austro-ungarico riconoscibile

dalle uniformi e dalle bandiere), viene

comandato alla Fortezza Bastiano

(mentre nel romanzo di Buzzati il nome

è Bastiani), un inaccessibile e remoto

avamposto militare, dove una nutrita

guarnigione di soldati e ufficiali ha il

compito di sorvegliare la frontiera

desertica che separa l'impero da una

misteriosa ma minacciosa popolazione:

i Tartari.

L'ufficiale si lascerà presto assimilare a

quei rigidi rituali militari che animano

quotidianamente la fortezza e i suoi

occupanti e ne determinano comportamenti

e relazioni, nell'attesa di un evento eroico

e glorioso, di un'invasione, di una battaglia

finale dalla quale ognuno potrà ricavare

gloria e prestigio.

Il tenente Drogo trascorrerà alla fortezza

tutta la sua vita nella attesa vana di una

minaccia che si concretizzerà proprio nel

momento in cui, anziano, stanco e malato,

dovrà abbandonare per sempre la

guarnigione mentre ingenti rinforzi e

nuove truppe, inviate dalla capitale,

risaliranno le mulattiere che conducono

alla Fortezza Bastiano per combattere i

Tartari, che finalmente avranno attraversato

il deserto e attaccato l'impero.

Produzione

Alcuni registi (Antonioni, Jancsó) avevano

progettato un'opera cinematografica basata

sul romanzo di Buzzati, ma non avevano dato

corso alla realizzazione per le inevitabili

difficoltà sia di tipo narrativo, sia di tipo

economico. La situazione si sbloccò grazie

a Jacques Perrin, che si impegnò personalmente

nella ricerca di finanziamenti, e soprattutto

grazie alla fortunosa scoperta, nell'Iran sud-

orientale, dell'antica fortezza di Arg-e Bam,

che sarebbe diventata l'ambientazione del film.


L'arrivo di Giovanni Drogo alla fortezza


La città, patrimonio dell'umanità UNESCO,

fu poi quasi completamente distrutta dal

terremoto che colpì l'Iran nel dicembre del

2003, causando più di 40.000 vittime.

Alcune scene aggiuntive furono tuttavia

girate a Bressanone, in Alto Adige, e nella

zona di Campo Imperatore, in Abruzzo,

mentre gli interni furono creati a Cinecittà.

Differenze fra romanzo e film

Questa voce non è neutrale!

La neutralità di questa voce o sezione

sull'argomento film è stata messa in dubbio.

Motivo: Ricerca originale priva di fonti.

Si esprimono inoltre pareri personali.

Per contribuire, correggi i toni enfatici o di

parte e partecipa alla discussione.

Non rimuovere questo avviso finché la

disputa non è risolta. Segui i suggerimenti

del progetto di riferimento.

La vicenda narrativa segue quella del

Tenente Drogo buzzatiano; fanno eccezione

alcune rifiniture della sceneggiatura, come

ad esempio i tratti di alcuni personaggi

che risultano leggermente accentuati

rispetto alla vaghezza esistenziale del

romanzo (personaggi i cui nomi vengono

talvolta modificati).

L'inaccessibilità della fortezza, il suo

isolamento fisico ed esistenziale rimangono

centrali per tutto lo svolgimento del film, così

come l'idea della frontiera morta, del deserto,

della presenza di un nemico assente e

dell'inutilità del tempo. La vastità degli

ambienti e la coreografia delle immagini,

che si alternano tra gli esterni assolati o

crepuscolari e gli interni tenebrosi e ciechi

della Fortezza Bastiano (così viene indicata

nel film quella che nel romanzo è la Fortezza

Bastiani), esprimono l'immobilità corale

esattamente come nel romanzo in cui le povere

vicende umane, annullate dalla contemplazione

della vastità, hanno luogo.

Tuttavia, pur abbastanza fedele al romanzo

nello spirito e nei fatti narrati, il film se ne

discosta moltissimo da tutti e due i punti di

vista nel finale. Infatti, nel film Drogo muore

(o forse semplicemente si addormenta in

preda alla febbre) disperato e pieno di

rimpianti sulla carrozza che lo sta portando

lontano dalla fortezza verso la quale stanno

già galoppando i "Tartari". Il romanzo ha un

finale molto diverso: lasciata la fortezza

sulla carrozza Drogo osserva durante l

a prima parte del viaggio, altrettanto

sconvolto e amareggiato, il passaggio

sulla strada in senso contrario dei rinforzi

diretti alla fortezza. Tuttavia, giunta la

notte, deve pernottare in una locanda;

qui trascorre le ultime ore di vita sdraiato

nel letto nella notte acquistando pian piano

la consapevolezza che la battaglia, che

aveva aspettato tutta la vita alla fortezza

Bastiani ma che aveva perso all'ultimo

momento, si presentava ora in modo molto

diverso ma molto più importante sotto

forma dell'affrontare senza paura la morte.

Con la raggiunta consapevolezza di questa

battaglia decisiva e più importante da

combattere, Drogo muore riappacificato

con la sua storia, della quale ha finalmente

trovato un senso anche ultraterreno.

In nome di una maggiore concretezza

cinematografica, il regista colloca il deserto

dei Tartari ai margini (presumibilmente

settentrionali o orientali) dell'Impero austro-

ungarico, e fornisce ai protagonisti una

spiccata personalità ottocentesca. Questi

realismi sono assenti nel romanzo dello

scrittore bellunese, come in quasi tutta la

sua poetica; anzi, nel romanzo essi sono

volutamente resi ambigui e inefficaci.

Tuttavia c'è da dire che tale caratterizzazione

era praticamente obbligata nella trasposizione

da un'opera letteraria a forte contenuto

evocativo e simbolico, ad un'opera

cinematografica in cui i personaggi e gli

eventi devono necessariamente trovare

una collocazione visiva nei costumi e nella

cultura di una epoca storica. Il periodo storico

a cavallo tra Ottocento e Novecento era l'unico

che si prestava a rendere molti particolari

presenti nel racconto letterario (eserciti con

cavalli, armi da fuoco e cannoni, mitragliatrici

vecchio tipo e cannocchiali per l'osservazione).

Analogamente l'Impero austro-ungarico di

fine Ottocento-inizio Novecento era l'unica entità

storica che poteva giustificare molti particolari

del racconto, come l'ambientazione di un regno

europeo ma al contempo confinante con zone

insieme desertiche e montagnose (in questo

senso il cosiddetto e misterioso 'Stato del

Nord' proveniente da un luogo vasto e

desolato potrebbe così essere identificato

con l'Impero Russo che costituiva tutta la

frontiera orientale dell'Impero Asburgico

dalla Polonia al Mar Nero).

Comunque l'opera cinematografica inizia con

un evidente errore storico, quando l'inizio

dell'azione viene collocata nel mattino di

lunedì 2 agosto 1907. Innanzitutto il 2 agosto

1907 non era lunedì ma venerdì.. Inoltre, poiché

lo svolgimento del racconto copre quasi 25 anni,

la data sarebbe anacronistica perché la Prima

Guerra Mondiale (che avrebbe coinvolto

l'Austria contro tutti i suoi vicini) avrebbe

dovuto scoppiare a soli 7 anni dall'arrivo di

Drogo alla fortezza, e terminare con la sconfitta

11 anni dopo l'arrivo. Così, volendo cimentarsi

nell'esercizio di trovare date coerenti con un

lunedì 2 agosto, l'inizio del racconto dovrebbe

essere collocato nel 1869, 1875 o 1880. D'altra

parte solo il 1º anno sarebbe coerente con la

tecnologia presentata nel film che, alla fine del

racconto come all'inizio, prevede solo l'uso di

cavalli, carrozze e messaggeri a cavallo; ciò

sarebbe impossibile con le date d'inizio del

1875 o 1880 perché l'automobile data alla

fine dell'Ottocento e le comunicazioni via

radio all'inizio del Novecento.

Il film trascende la finzione e diventa metafora

kafkiana della vita, trascorsa senza altra

aspettativa che l'attesa della morte e quando

questa arriva, l'impossibilità a opporvisi.

 
 
 

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