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Messaggi del 17/12/2018
Post n°1789 pubblicato il 17 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET LA METAFORA DELLA VITA La Fortezza Bastiani è un luogo impervio e solitario che non ha niente di attraente. Chi ci viene mandato a prestare servizio non vede l' ora di andare via. Ma più tempo si trascorre tra le sue mura più difficile diventa abbandonarla. Le giornate vi scorrono lente e monotone, lo sguardo e il pensiero sono sempre rivolti alla vasta pianura del Nord, il deserto dei Tartari da dove si aspetta da un momento all' altro un attacco nemico. E' proprio l'attesa di questa possibile guerra che impedisce a chi vi è dentro di andar via, perché pian piano diventa una ragione di vita, un' occasione di riscatto. E' ciò che accade anche al protagonista di questo libro, il Tenente Giovanni Drogo, che trascorrerà la sua vita nella fortezza aspettando il grande giorno, entusiasmandosi per ogni piccolo segnale proveniente dal deserto e sprecando così la sua esistenza. Una bella metafora della vita dell' uomo che si consuma aspettando qualcosa che probabilmente non arriverà mai e intanto perde di vista tutto ciò che invece potrebbe renderlo felice. Un messaggio forse un po' pessimista ma trasmesso attraverso un bel libro, lento ma interessante, scritto con un linguaggio molto semplice e con un protagonista nel quale è facile immedesimarsi. |
Post n°1788 pubblicato il 17 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
La montagna incantata di Thomas Mann Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Mann iniziò a lavorare a La montagna incantata nel 1912, concependo inizialmente il progetto come un racconto breve in cui sviluppare in chiave ironica alcuni dei temi già presenti in La morte a Venezia. L'idea centrale riflette le esperienze ed impressioni relative al soggiorno della moglie, Katia Pringsheim, a quel tempo sofferente di una malattia polmonare, nel sanatorio del dottor Friedrich Jessen aDavos, in Svizzera, durato diversi mesi. Mann le fece visita nel maggio e giugno del1912, facendo la conoscenza del personale e dei degenti di questo centro medico cosmopolita. Secondo quanto affermato dallo stesso scrittore in un'appendice più tardi aggiunta al volume, l'esperienza fornì il materiale per il primo capitolo (L'arrivo) del romanzo. Lo scoppio della prima guerra mondiale Interruppe il lavoro sul libro. Il conflitto e le difficili condizioni del dopoguerra indussero l'autore a un sostanziale riesame della società borghese europea che tenesse conto delle perverse tendenze distruttive mostrate da una gran parte dell'umanità cosiddetta "civilizzata". Si trovò inoltre a considerare con rinnovata attenzione l'atteggiamento dell'individuo nei confronti di questioni quali la malattia, la morte, la sessualità. Ne conseguì una sostanziale revisione del testo che venne notevolmente ampliato e finalmente completato nel 1924. Der Zauberberg fu pubblicato in due volumi, nel novembre dello stesso anno, dall'editore S. Fischer Verlag a Berlino. La storia è ambientata negli anni precedenti la prima guerra mondiale. Il protagonista è i l giovane ingegnere di Amburgo Hans Castorp, agli inizi della carriera nell'industria navale. La narrazione inizia con la visita di Castorp, programmata per tre settimane, al cugino, militare di carriera, Joachim Ziemssen presso il sanatorio Berghof a Davos, sulle Alpi svizzere, qui ricoverato a causa della tubercolosi. Poco prima del previsto ritorno, Castorp si sottopone a una visita a causa di una leggera infezione bronchiale e viene persuaso a rinviare la partenza in attesa di un miglioramento delle sue condizioni di salute. La prima metà del romanzo descrive i primi mesi del soggiorno durante i quali il protagonista fa la conoscenza di una serie di personaggi che costituiscono un microcosmo della società europea del tempo. Particolare impressione fa su Castorp il massone,umanista ed enciclopedista italiano Lodovico Settembrini, allievo di Giosuè Carducci, che ne diventa una sorta di mentore. Un'altra rilevante figura è costituita da Madame Chauchat, moglie di un funzionario russo, di cui Castorp si innamora fin dai primi giorni, ma con cui avrà modo di parlare solo assai più tardi, poco prima della partenza di questa per un lungo soggiorno in Spagna e in altre località europee. La malattia si rivela in realtà tubercolosi e tratterrà il protagonista lontano dalla vita attiva per sette anni. La narrazione segue la percezione del tempo degli stessi malati per cui esso trascorre quasi inavvertitamente: mentre la prima parte del romanzo descrive il primo anno di soggiorno di Castorp, la seconda tratta dei restanti sei. All'umanista Settembrini si affianca intanto il gesuita Leo Naphta, la cui filosofia a tratti cinica e radicale fa da contraltare alle posizioni moderate dell'italiano, mettendone in luce i limiti senza però fornire una visione organica del mondo che possa essere accettata dall'animo essenzialmente borghese di Castorp. Alle accanite discussioni tra i due intellettuali il protagonista assiste rendendosi via via sempre più partecipe, mentre il cugino Joachim, che spesso lo accompagna, mantiene sempre un marcato riserbo. Quest'ultimo, insofferente all'inattività a cui le condizioni di salute lo costringono, decide all'improvviso e risolutamente di far ritorno al "piano" e alla carriera militare nonostante l'opinione contraria dei medici, i quali invece dichiarano "guarito" Castorp che si rifiuta però di lasciare la clinica. Diversi mesi più tardi, a causa di un aggravarsi della malattia, Joachim fa ritorno a Davos in compagnia della madre e, poco tempo dopo, muore. Negli ultimi capitoli del romanzo, fa la sua comparsa, accompagnato dalla signora Chauchat, il magnate Pieter Peeperkorn, ultima figura ad esercitare una forte influenza sul protagonista. Nonostante questi goda dei favori della mai dimenticata dama russa e ne sia dunque rivale in amore, Castorp rimane conturbato dalla forte personalità del ricco edonista olandese. Poco dopo però questi, quasi inspiegabilmente, si uccide. Nella parte finale del romanzo inizia a serpeggiare nel sanatorio una forte insofferenza e inquietudine; simbolo probabilmente della fine della Belle époque, ma anche delle future contraddizioni della Repubblica di Weimar. Persino le discussioni tra Naphta e Settembrini si fanno più veementi e il primo sfida l'altro a duello. Al rifiuto di Settembrini di sparare all'amico però Naphta si spara in testa uccidendosi. Verso la conclusione, la prima guerra mondiale ha inizio e Castorp scende al "piano" per arruolarsi nell'esercito. Un giovane uomo poco più che ventenne. Secondo lo stesso autore il protagonista del romanzo è un cavaliere indagatore, come il "puro folle" alla ricerca del Santo Graal nella tradizione mitico-letteraria del Parzival; tuttavia, egli rimane come ad uno stato embrionale ed abortito, pallido e mediocre in quanto perfetta rappresentazione della borghesia tedesca. Fortemente diviso tra influenze contrastanti, capace dei più alti ideali umanistici, ma allo stesso tempo soggetto anche a pesante filisteismo ed apparente radicalismo ideologico.
suo protagonista con accurata attenzione: Hans è un nome tedesco assai generico, quasi anonimo, ma che si riferisce anche alla figura presente nella fiaba "La fortuna di Hans" (Hans im Glück) deiFratelli Grimm e all'apostolo Giovanni evangelista, il discepolo prediletto di Gesù che ha avuto la visione dell'Apocalisse. Castorp è invece il cognome di un eminente personalità storica medioevale della città natale di Thomas Mann, Lubecca, ilsindaco e ricco mercante del XV secolo Hinrich Castorp. In un certo senso Hans Castorp può esser inteso come la personificazione della giovane repubblica di Weimar: da una parte 'umanesimo, dall'altra il radicalismo più estremo - rappresentati rispettivamente da Settembrini e Naphta - cercano di attrarlo a sé ottenendo il suo favore, ma Castorp non pare in grado di poter fare una scelta compiuta e decisa. Il leggero ma costante stato febbrile che lo accompagna è sottile metafora della propria mancanza di chiarezza interiore: l'alterazione di temperatura corporea (37,6°) è un punto intermedio tra l'esser sano e l'esser malato. Infine la temperatura esterna dell'ambiente in cui si ritrova improvvisamente a vivere è spesso fuori equilibrio; o è troppo caldo o troppo freddo e tende quindi agli estremi (ad esempio l'episodio della nevicata in pieno agosto), non avendo mai una sua stabilità. SettembriniIl massone Settembrini viene ben a rappresentare l'ideale attivo e positivo dell'illuminismo, dell'umanesimo, dellademocrazia, della tolleranza e dei diritti umani. Spesso egli trova Castorp letteralmente immerso nel buio, tanto che prima di iniziare le loro quasi quotidiane conversazioni vi è la necessità di accendere la luce. Egli si paragona volentieri alla figura della mitologia greca Prometeo, colui che ha portato nel mondo umano il dono del fuoco e quindi di conseguenza anche dell'illuminazione. Il suo mentore è Giosuè Carducci, il poeta italiano che ha anche scritto tra l'altro un inno dedicato aLucifero, "la forza vindice della ragione." I suoi principi etici sono quelli dei valori borghesi e del lavoro; cerca di contrastare il fascino morboso che Castorp pare intrattenere con la morte e la malattia, mettendolo in guardia contro la "compagna di malattia" Madame Chauchat, cercando di dare prova di una visione positiva della vita: il suo antagonista Naphta lo descrive come "Zivilisationsliterat". Mann originariamente ha costruito Settembrini come una caricatura del romanziere liberal-democratico, rappresentato per esempio dal fratello Heinrich Mann. Tuttavia, mentre il romanzo era in corso d'opera, Mann stesso è diventato un sostenitore dichiarato della repubblica di Weimar, il che può spiegare come mai accada che Settembrini, soprattutto nei capitoli successivi a quelli immediatamente iniziali, diventi la voce dell'autore. Nelle caratteristiche fisiche Settembrini ricorda il compositore italiano Ruggero Leoncavallo, mentre il nome è preso da quello del patriota italiano del XIX secolo Luigi Settembrini. Naphta L'antagonista principale di Settembrini, Leo Naphta, è un membro della compagnia di Gesù, divenuto hegeliano-marxista ma nato Ebreo; una parodia del filosofo ungherese György Lukács, come informa Mann in una lettera del 1949. Madame Chauchat data dall'erotismo, la lussuria e l'amore, il tutto in una forma degenerata ed ampiamente morbosa, dominata da "passività asiatica". Lei si trova ad essere proprio uno dei motivi principali per il soggiorno prolungato di Castorp sulla montagna magica. La promessa femminile del piacere sessuale come ostacolo alla gioia maschile per l'azione nel mondo imita i temi del mito riguardante Circe ma presente anche nelle ninfe delle "montagne di Venere" nell'opera lirica Tannhäuser (opera) di Richard Wagner. Caratteristiche feline che contraddistinguono la donna sono fatte notare abbastanza spesso; il suo cognome poi deriva dal francese "chaud chat" (gatto caldo), mentre il suo primo nome include anche un accenno all'inglese claw-artiglio. (Il suo nome può anche essere un riferimento alla mitragliatrice Chauchat in dotazione all'esercito francese durante la prima guerra mondiale. Claudia Chauchat lascia il Berghof per qualche tempo, ma per ritornare in seguito con un altro compagno impressionante, Mynheer Peeperkorn, che soffre di una malattia tropicale. Peeperkorn di Claudia Chauchat, entra nel paesaggio del Berghof piuttosto tardi; ma è certamente una delle persone maggiormente predominanti del romanzo: rappresenta il principio e lo spirito dionisiaco. Il suo forte comportamento e l'accentuata personalità, con la sua aura di importanza che lo attraversa, in combinazione con un imbarazzo evidente e la strana incapacità di completare nemmeno una volta una qualche dichiarazione od affermazione, ricorda alcune figure delle precedenti novelle dell'autore (per esempio, Herr Klöterjahn in Tristano (racconto)); personaggi che sono da un lato fonte di ammirazione per la loro prorompente energia vitale ma anche, dall'altro, condannati a causa della loro estrema ingenuità. In conclusione, questa persona rappresenta la forma più grottesca di un carattere dionisiaco; il dio greco Dioniso è importante anche nella filosofia di Friedrich Nietzsche e La nascita della tragedia è la fonte del titolo "La montagna incantata". Estremismo di Peepercorn si ripercuote anche nell'atto finale del suicidio da lui compiuto, eseguito anche in modo alquanto strano. Con Mynheer Peeperkorn l'autore del romanzo personalizza contemporaneamente il suo rivale, l'influente poeta tedesco Gerhart Hauptmann, ma anche alcune proprietà di Goethe (con il quale spesso è stato confrontato Hauptmann). Interpretazioni La montagna incantata è caratterizzata da una narrativa densa di erudizione e spesso ambigua che ha determinato una certa varietà di giudizi critici. A fianco di uno scrupoloso realismo nella descrizione di personaggi e situazioni, si ritrova un marcato simbolismo, nei toni con cui viene descritto, ad esempio, il fluire del tempo o le impressioni e meditazioni del protagonista. I personaggi stessi, rappresentano, più o meno apertamente, le diverse tendenze filosofiche del tempo con cui Castorp viene, in questo modo, successivamente in contatto. Il rapporto tra l'ordine e l'equilibrio della morale borghese e il vitalismo estetico, già analizzato in un contesto di malattia e morte in La morte a Venezia, è qui interpretato con sottile ironia e presentato in relazione al più ampio panorama del pensiero europeo del primo Novecento. europea, e in particolare tedesca, del romanzo di formazione o Bildungsroman, benché, come dichiarato dallo stesso autore, ne sia anche la parodia. Nei capitoli iniziali, il protagonista mostra una spiccata curiosità sia nei confronti delle scienze naturali che delle discipline umanistiche, spesso in contrasto con l'atteggiamento chiuso e riservato del cugino Joachim. Col passare del tempo impara però a mantenere una certa distanza dalle posizioni pur affascinanti ma estreme del gesuita Naphta, così come sviluppa anche un certo scetticismo rispetto agli slanci retorici dell'umanista Settembrini. A differenza del tipico impianto del romanzo di formazione, è stato sottolineato come la maturità acquisita da Castorp non sembra avere come scopo un futuro vissuto nella pienezza dello spirito finalmente raggiunta. Pare invece, a causa della prospettata e probabile morte nel conflitto mondiale, quasi fine a sé stessa o comunque inutile e inconsistente di fronte all'irrazionalità della guerra. |
Post n°1787 pubblicato il 17 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
di Dino Buzzati. Pubblicato nel 1940, segnò la consacrazione di Buzzati tra i grandi scrittori del Novecento italiano. Lo scrittore bellunese in un'intervista affermò che lo spunto per il romanzo, era nato: «dalla monotona routine redazionale notturna che facevo a quei tempi. Molto spesso avevo l'idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nell'esistenza ad orario delle città. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva.» Il tema centrale del romanzo è dunque quello della "fuga del tempo". Trama
paese. La trama segue la vita del sottotenente Giovanni Drogo dal momento in cui, divenuto ufficiale, viene assegnato come prima nomina alla Fortezza Bastiani, molto distante dalla città. La Fortezza, ultimo avamposto ai confini settentrionali del Regno, domina la desolata pianura chiamata "deserto dei Tartari", un tempo teatro di rovinose incursioni da parte dei nemici. Tuttavia, da innumerevoli anni nessuna minaccia è più apparsa su quel fronte; la Fortezza, svuotata ormai della sua importanza strategica, è rimasta solo una costruzione arroccata su una solitaria montagna, di cui molti ignorano persino l'esistenza. Dopo un viaggio a cavallo di più giorni, Drogo ha una cattiva impressione della fortezza. Confida all'aiutante maggiore Matti di voler chiedere l'avvicinamento alla città e questi gli consiglia di attendere quattro mesi fino alla visita medica periodica, dopo la quale potrà farlo trasferire per motivi sanitari. Drogo si pente subito di avere acconsentito, ma in questo periodo subisce inconsciamente il fascino degli immensi spazi desertici che si aprono a settentrione. La vita alla Fortezza Bastiani si svolge secondo le norme ferree che regolano la disciplina militare ed esercita sui soldati una sorta di malia che impedisce loro di lasciarla. I militari sono sorretti da un'unica speranza: vedere apparire all'orizzonte, contro le aspettative di tutti, il Nemico. Fronteggiare i Tartari, combatterli, diventare eroi: sarebbe l'unica via per restituire alla Fortezza la sua importanza, per dimostrare il proprio valore e, in ultima analisi, per dare un senso agli anni buttati via in quel luogo di confine. Il giorno della visita medica che dovrebbe sancire la sua inabilità per il servizio alla Fortezza, Drogo la vede improvvisamente trasformata; davanti ai suoi occhi si espande a dismisura con camminamenti, spalti e mura che mai ha visto. Il selvaggio paesaggio del nord gli appare bellissimo. Rinuncia al trasferimento e si lascia affascinare dalle rassicuranti e ripetitive abitudini che scandiscono il tempo alla Fortezza, dalla speranza, condivisa da altri compagni, di una futura gloria. Un giorno un soldato uscito per recuperare un cavallo sbandato rientra senza conoscere la parola d'ordine e viene abbattuto dalla sentinella che pure lo ha riconosciuto: le regole del servizio lo impongono. Qualche tempo dopo sembra che ciò che tutti attendono stia per accadere: lunghe colonne di uomini armati si avvicinano da settentrione attraverso la pianura deserta. La Fortezza è in fermento, i soldati sognano battaglia e gloria, ma si scopre che non sono tartari, bensì soldati del Regno confinante che vengono a definire la linea di frontiera. Dopo quattro anni Drogo torna a casa in licenza, ma non si ritrova più nei ritmi della città: prova un senso di estraneità e smarrimento nel ritornare al suo vecchio mondo, a una casa che non può più dire sua, ad affetti a cui scopre di non saper più parlare. Maria, sorella del suo amico, gli sembra indifferente, eppure basterebbe una sola parola di Drogo perché lei rinunci a un viaggio in Olanda e rimanga con lui. Si reca da un generale per ottenere il trasferimento, come sarebbe prassi dopo quattro anni in Fortezza, ma il superiore gli dice che l'organico della piazzaforte sarà drasticamente ridotto e molti suoi colleghi hanno presentato domanda prima di lui, senza dirgli nulla. Drogo ritorna alla Fortezza e ai suoi ritmi immutabili. Ora la guarnigione è appena sufficiente. Il collega tenente Simeoni crede di avvistare del movimento in fondo alla pianura settentrionale, il comandante è il primo a disilluderlo. In realtà con il tempo si scopre che il Regno del Nord sta probabilmente costruendo una strada diretta verso le montagne di confine, ma occorreranno quindici anni di lavori attraverso il vasto deserto per arrivare nei paraggi della Fortezza. Nel frattempo tutti si sono abituati a considerarlo un lavoro di ingegneria civile. Nell'attesa della "grande occasione" si consuma la vita dei soldati di guarnigione; su di loro trascorrono, inavvertiti, i mesi, poi gli anni. Drogo vedrà alcuni dei suoi compagni morire, altri lasciare la fortezza ancora giovani o ormai vecchi. Dopo trent'anni di servizio è diventato maggiore e vicecomandante della Fortezza. Una malattia al fegato lo corrode fino a costringerlo a letto, quando improvvisamente accade ciò che giustificherebbe tutta la vita trascorsa in questo avamposto: la guerra contro il regno del Nord, che fa affluire truppe e artiglierie lungo la strada. Ma mentre arrivano due reggimenti di rinforzo alla Fortezza Bastiani, il comandante e suo ex collega Simeoni fa evacuare Drogo malato per far alloggiare nella sua stanza i nuovi ufficiali. La morte lo coglierà solo, in un'anonima stanza di una sperduta locanda, ma senza più sentimenti di rabbia e delusione. Drogo, infatti, riflettendo su tutta la sua vita, capisce nei suoi ultimi istanti quale fosse in realtà la sua personale missione, l'occasione per provare il suo valore che aveva atteso per tutta la vita: affrontare la Morte con dignità, "mangiato dal male, esiliato tra ignota gente". Drogo non ha quindi centrato l'obiettivo della sua esistenza ma ha sconfitto il nemico più grande: non la morte ma la paura di morire. Con la consapevolezza di aver combattuto questa battaglia decisiva, Drogo muore da vero soldato, rappacificato con la sua storia, della quale ha finalmente trovato un senso che supera la sua individualità. I Tartari I Tartari erano una popolazione nomade dell'Asia centrale, federata nel Medioevo con i Mongoli; il loro nome veniva storpiato in Tartari per l'assonanza con uno dei nomi dell'inferno, il Tartaro appunto. Essi, tuttavia, in realtà non hanno nulla a che vedere con il romanzo. Lo scrittore sfrutta il nome dei Tartari per evocare l'idea di una minaccia militare, di un'invasione da parte di un popolo crudele, guerriero e sconosciuto, sulla scia di un immaginario medievale che ha la sua origine ne Il Milione, il primo grande libro di viaggi, in cui lo stupore per il favoloso e il meraviglioso è sempre confuso alla tendenza catalogatrice di Marco Polo. Riferimenti nella cultura di massa Cinema Nel 1976 si traspose il romanzo in un film omonimo diretto da Valerio Zurlini (nel cast Vittorio Gassman, Jacques Perrin, Philippe Noiret, Max Von Sydow e Giuliano Gemma). Il film italiano Fortezza Bastiani del 2002, diretto da Michele Mellara, fa riferimento all'ambientazione del romanzo. Nella pellicola, viene chiamato Fortezza Bastiani l'appartamento in cui vivono i cinque studenti protagonisti. La serie animata giapponese Sora no Woto, trasmessa a partire dal 2010, presenta una trama per certi aspetti molto simile al romanzo di Buzzati. Protagoniste sono cinque soldatesse le quali occupano una fortezza sul confine. Esse trascorrono i giorni simulando missioni di guerra e addestrandosi alle armi, nonostante non vi sia alcun nemico da affrontare. Letteratura Lo scrittore sudafricano J.M. Coetzee, premio Nobel per la letteratura nel 2003, s'ispirò alla trama de Il deserto dei Tartari per scrivere il romanzo Waiting for the Barbarians, pubblicato nel 1980. In omaggio all'opera di Dino Buzzati, l o scrittore Dario Pontuale nel romanzo L'irreversibilità dell'uovo sodo anagramma il cognome di Giovanni Drogo per adattarlo al proprio protagonista, l'impacciato investigatore privato Gabriele Grodo. Musica Il cantante Franco Battiato, nel brano omonimo tratto dall'album Dieci stratagemmi del 2004, paragona la sua esistenza alla Fortezza Bastiani sentendosi come il Tenente Drogo in cerca della sua personale missione tra le mura della Fortezza. Il brano Prima guardia, contenuto nell'album Terremoto della rock band italiana Litfiba del 1993, è stato ispirato dalle vicende del romanzo. |
Post n°1786 pubblicato il 17 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
diretto da Valerio Zurlini, tratto dal romanzo omonimo di Dino Buzzati. È stato l'ultimo film diretto da Zurlini. Trama L'ufficiale Giovanni Battista Drogo, appena nominato sottotenente dell'esercito imperiale di una nazione imprecisata (potrebbe però essere l'Impero Austro-ungarico riconoscibile dalle uniformi e dalle bandiere), viene comandato alla Fortezza Bastiano (mentre nel romanzo di Buzzati il nome è Bastiani), un inaccessibile e remoto avamposto militare, dove una nutrita guarnigione di soldati e ufficiali ha il compito di sorvegliare la frontiera desertica che separa l'impero da una misteriosa ma minacciosa popolazione: i Tartari. L'ufficiale si lascerà presto assimilare a quei rigidi rituali militari che animano quotidianamente la fortezza e i suoi occupanti e ne determinano comportamenti e relazioni, nell'attesa di un evento eroico e glorioso, di un'invasione, di una battaglia finale dalla quale ognuno potrà ricavare gloria e prestigio. Il tenente Drogo trascorrerà alla fortezza tutta la sua vita nella attesa vana di una minaccia che si concretizzerà proprio nel momento in cui, anziano, stanco e malato, dovrà abbandonare per sempre la guarnigione mentre ingenti rinforzi e nuove truppe, inviate dalla capitale, risaliranno le mulattiere che conducono alla Fortezza Bastiano per combattere i Tartari, che finalmente avranno attraversato il deserto e attaccato l'impero. Produzione Alcuni registi (Antonioni, Jancsó) avevano progettato un'opera cinematografica basata sul romanzo di Buzzati, ma non avevano dato corso alla realizzazione per le inevitabili difficoltà sia di tipo narrativo, sia di tipo economico. La situazione si sbloccò grazie a Jacques Perrin, che si impegnò personalmente nella ricerca di finanziamenti, e soprattutto grazie alla fortunosa scoperta, nell'Iran sud- orientale, dell'antica fortezza di Arg-e Bam, che sarebbe diventata l'ambientazione del film.
fu poi quasi completamente distrutta dal terremoto che colpì l'Iran nel dicembre del 2003, causando più di 40.000 vittime. Alcune scene aggiuntive furono tuttavia girate a Bressanone, in Alto Adige, e nella zona di Campo Imperatore, in Abruzzo, mentre gli interni furono creati a Cinecittà. Differenze fra romanzo e film Questa voce non è neutrale! La neutralità di questa voce o sezione sull'argomento film è stata messa in dubbio. Motivo: Ricerca originale priva di fonti. Si esprimono inoltre pareri personali. Per contribuire, correggi i toni enfatici o di parte e partecipa alla discussione. Non rimuovere questo avviso finché la disputa non è risolta. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. La vicenda narrativa segue quella del Tenente Drogo buzzatiano; fanno eccezione alcune rifiniture della sceneggiatura, come ad esempio i tratti di alcuni personaggi che risultano leggermente accentuati rispetto alla vaghezza esistenziale del romanzo (personaggi i cui nomi vengono talvolta modificati). L'inaccessibilità della fortezza, il suo isolamento fisico ed esistenziale rimangono centrali per tutto lo svolgimento del film, così come l'idea della frontiera morta, del deserto, della presenza di un nemico assente e dell'inutilità del tempo. La vastità degli ambienti e la coreografia delle immagini, che si alternano tra gli esterni assolati o crepuscolari e gli interni tenebrosi e ciechi della Fortezza Bastiano (così viene indicata nel film quella che nel romanzo è la Fortezza Bastiani), esprimono l'immobilità corale esattamente come nel romanzo in cui le povere vicende umane, annullate dalla contemplazione della vastità, hanno luogo. Tuttavia, pur abbastanza fedele al romanzo nello spirito e nei fatti narrati, il film se ne discosta moltissimo da tutti e due i punti di vista nel finale. Infatti, nel film Drogo muore (o forse semplicemente si addormenta in preda alla febbre) disperato e pieno di rimpianti sulla carrozza che lo sta portando lontano dalla fortezza verso la quale stanno già galoppando i "Tartari". Il romanzo ha un finale molto diverso: lasciata la fortezza sulla carrozza Drogo osserva durante l a prima parte del viaggio, altrettanto sconvolto e amareggiato, il passaggio sulla strada in senso contrario dei rinforzi diretti alla fortezza. Tuttavia, giunta la notte, deve pernottare in una locanda; qui trascorre le ultime ore di vita sdraiato nel letto nella notte acquistando pian piano la consapevolezza che la battaglia, che aveva aspettato tutta la vita alla fortezza Bastiani ma che aveva perso all'ultimo momento, si presentava ora in modo molto diverso ma molto più importante sotto forma dell'affrontare senza paura la morte. Con la raggiunta consapevolezza di questa battaglia decisiva e più importante da combattere, Drogo muore riappacificato con la sua storia, della quale ha finalmente trovato un senso anche ultraterreno. In nome di una maggiore concretezza cinematografica, il regista colloca il deserto dei Tartari ai margini (presumibilmente settentrionali o orientali) dell'Impero austro- ungarico, e fornisce ai protagonisti una spiccata personalità ottocentesca. Questi realismi sono assenti nel romanzo dello scrittore bellunese, come in quasi tutta la sua poetica; anzi, nel romanzo essi sono volutamente resi ambigui e inefficaci. Tuttavia c'è da dire che tale caratterizzazione era praticamente obbligata nella trasposizione da un'opera letteraria a forte contenuto evocativo e simbolico, ad un'opera cinematografica in cui i personaggi e gli eventi devono necessariamente trovare una collocazione visiva nei costumi e nella cultura di una epoca storica. Il periodo storico a cavallo tra Ottocento e Novecento era l'unico che si prestava a rendere molti particolari presenti nel racconto letterario (eserciti con cavalli, armi da fuoco e cannoni, mitragliatrici vecchio tipo e cannocchiali per l'osservazione). Analogamente l'Impero austro-ungarico di fine Ottocento-inizio Novecento era l'unica entità storica che poteva giustificare molti particolari del racconto, come l'ambientazione di un regno europeo ma al contempo confinante con zone insieme desertiche e montagnose (in questo senso il cosiddetto e misterioso 'Stato del Nord' proveniente da un luogo vasto e desolato potrebbe così essere identificato con l'Impero Russo che costituiva tutta la frontiera orientale dell'Impero Asburgico dalla Polonia al Mar Nero). Comunque l'opera cinematografica inizia con un evidente errore storico, quando l'inizio dell'azione viene collocata nel mattino di lunedì 2 agosto 1907. Innanzitutto il 2 agosto 1907 non era lunedì ma venerdì.. Inoltre, poiché lo svolgimento del racconto copre quasi 25 anni, la data sarebbe anacronistica perché la Prima Guerra Mondiale (che avrebbe coinvolto l'Austria contro tutti i suoi vicini) avrebbe dovuto scoppiare a soli 7 anni dall'arrivo di Drogo alla fortezza, e terminare con la sconfitta 11 anni dopo l'arrivo. Così, volendo cimentarsi nell'esercizio di trovare date coerenti con un lunedì 2 agosto, l'inizio del racconto dovrebbe essere collocato nel 1869, 1875 o 1880. D'altra parte solo il 1º anno sarebbe coerente con la tecnologia presentata nel film che, alla fine del racconto come all'inizio, prevede solo l'uso di cavalli, carrozze e messaggeri a cavallo; ciò sarebbe impossibile con le date d'inizio del 1875 o 1880 perché l'automobile data alla fine dell'Ottocento e le comunicazioni via radio all'inizio del Novecento. Il film trascende la finzione e diventa metafora kafkiana della vita, trascorsa senza altra aspettativa che l'attesa della morte e quando questa arriva, l'impossibilità a opporvisi. |
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