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Messaggi del 22/12/2018

BUON NATALE A TUTTI.

Post n°1812 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

BUON NATALE A TUTTI.

BUON FINE ANNO 2018 E MIGLIOR PRINCIPIO 2019.

BUON ANNO 2019.

 

 

 

 
 
 

La lotta per il cibo tra uomini e Neanderthal......

Post n°1811 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

 

Una genesi africana recente.

L'alimentazione dei Neanderthal

variava molto da regione a regione:

alcuni erano vegetariani, altri

prediligevano la carne. L'ha dimostrato

l'analisi del tartaro sui denti fossili,

che ha rivelato anche un probabile

uso delle piante a scopi terapeutici.

La somiglianza della flora batterica

orale con quella degli esseri umani

moderni suggerisce inoltre che lo s

cambio di baci con i nostri antenati

non fosse così raro.

Variava molto da regione a regione

la dieta dei Neanderthal, che non

solo sapevano adattarsi alle risorse

disponibili nei diversi ambienti, ma

sapevano anche usare le piante per curarsi.

A dimostralo sono le indagini condotte da

un gruppo internazionale di ricercatori che

ha analizzato il DNA trovato nella placca

dentale di quattro soggetti rinvenuti nei

siti rupestri di Spy in Belgio e di El Sidrón i

n Spagna. I reperti - che risalgono a un

periodo compreso fra i 42.000 e i 50.000

anni fa - costituiscono i più antichi campioni

di placca dentale che siano mai stati sottoposti

ad analisi genetica.

La placca dentale è stata una trappola per

i microrganismi che vivevano nella bocca,

per gli agenti patogeni presenti nel tratto

respiratorio e gastrointestinale e per piccoli

frammenti di cibo bloccato fra i denti.

In questo modo il DNA di questi elementi

si è potuto conservare per migliaia di anni",

ha detto  Laura S. Weyrich, prima firmataria

dell'articolo pubblicato su "Nature" in cui è

descritto lo studio.

I ricercatori hanno scoperto che i Neanderthal

della grotta di Spy consumavano carne di

rinoceronti lanosi e mufloni, integrando la dieta

con funghi porcini. Gli abitanti di El Sidrón sembra

che seguissero invece una  dieta in gran parte

vegetariana, che comprendeva pinoli, muschi,

funghi e corteccia d'albero.

Uno dei Neandertal di El Sidrón, inoltre, doveva

essere molto malato: soffriva non solo di un

ascesso dentale (i cui segni sono ben visibili

sulla mandibola), ma anche di una parassitosi

intestinale che provoca una diarrea acuta.

Ma la scoperta che più ha sorpreso è che

quel Neanderthal stava cercando di curarsi:

nella sua placca - ma non in quella degli altri -

sono state trovate tracce di corteccia di

pioppo, che contiene acido

salicilico, un antidolorifico e antipiretico,

e di una muffa: Penicillinum rubens, che

produce naturalmente un antibiotico.

"A quanto pare, i Neanderthal avevano

una buona conoscenza delle piante

medicinali e delle loro proprietà antinfiammatorie

e antidolorifiche", ha detto la Weyrich.

Regione che vai, dieta Neanderthal che

troviLa grotta di El Sidron, dove sono stati

rinvenuti reperti neandethaliani.

Neanderthal ed esseri umani, antichi e moderni,

hanno anche condiviso molti patogeni, tra i quali

i batteri che causano la carie e malattie gengivali,

la cui somiglianza suggerisce che l'intimità tra le

due specie, in particolare lo scambio di baci,

non fosse così rara.
Weyrich e colleghi sono riusciti a identificare

uno di questi microrganismi, Methanobrevibacter

oralis, che è a oggi il genoma batterico patogeno

più antico che sia stato sequenziato.

I ricercatori hanno anche notato la rapidità

con cui la comunità microbica orale è cambiata

nella storia recente, la cui composizione è

apparsa strettamente correlata - proprio

come negli esseri umani di oggi - alla

quantità di carne consumata nella dieta.

La flora batterica dei Neandertal spagnoli era

affine a quella degli scimpanzé e dei nostri

più antichi antenati prevalentemente raccoglitori,

mentre i Neandrthal belgi ne avevano una

simile a quella dei primi cacciatori-raccoglitori

e degli esseri umani moderni.

Considerato che  le linee evolutive di Neanderthal

e umani moderni  si sono separate in tempi molto

remoti, questa affinità nella flora batterica orale,

e ancor più dei patogeni che vi si possono

insediare, induce il forte sospetto che essa sia

una conseguenza di contatti molto stretti fra

membri delle due specie; in altri termini che ci

sia stato uno scambio della flora batterica

attraverso i baci. 

 
 
 

DNA MITOCONDRIALE PREISTORICO.....

Post n°1810 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

Una migrazione dall'Africa all'Europa

di ominini stretti parenti della nostra

specie avvenuta quasi 300.000 anni

fa portò a un mescolamento con i

Neanderthal di cui è stata trovata traccia

nel DNA mitocondriale estratto dal

femore di un neanderthaliano.

antropologiagenetica
Circa 270.000 anni fa un gruppo di ominini

strettamente imparentati con l'essere

umano moderno, giunse in Europa dove

si mescolò con i Neanderthal che vi

abitavano. La scoperta è stata possibile

grazie all'analisi del DNA mitocondriale

estratto da un femore neanderthaliano

venuto alla luce nella grotta di Hohlenstein-

Stadel, nella Germania sud-occidentale,

e datato a circa 124.000 anni fa, ben

prima dell'arrivo sul continente - circa

45.000 anni fa - dei primi Homo sapiens.

Un incrocio dei Neanderthal con nostri

antenati africani
Il femore da cui è stato estratto il DNA

mitocondriale. 

La ricerca che ha portato a questa

conclusione è stata effettuata da ricercatori

del Max-Planck-Institut per la storia

dell'umanità a Jena e dell'Università di

Tübingen, che firmano un articolo pubblicato

su "Nature Communications".

Precedenti ricerche basate sull'analisi del

DNA nucleare dei Neanderthal e sul suo

confronto con quello degli esseri umani

moderni hanno stimato che la separazione

dei due gruppi sia avvenuta fra i 765.000

i 550.000 anni fa circa; inoltre le stesse

analisi hanno rilevato uno stretto

apparentamento fra Neanderthal e l'uomo

di Denisova, l'altro nostro "cugino" umano

estinto, per molti versi ancora misterioso,

i cui resti furono scoperti per la prima volta

nel 2008 nella Siberia meridionale.

Il patrimonio genetico non è tuttavia formato

dal solo DNA nucleare, che si trova cioè nel

nucleo delle cellule, ma anche da quello

presente nei mitocondri (gli organelli cellulari

che producono l'energia necessaria alle cellule),

che derivano solo dalle cellule uovo della madre.

Il DNA mitocondriale permette quindi di

ricostruire l'ascendenza materna. Ebbene,

gli studi sul DNA mitocondriale hanno

indicato una data molto più recente per la

separazione fra Neanderthal ed essere

umano moderno: meno di 400.000 anni fa.

Le analisi

di DNA nucleare e mitocondriale indicano

quindi due date notevolmente differenti per

la separazione del lignaggio dell'essere

umano moderno e neanderthaliano,

suggerendo che in qualche momento della

storia dei Neanderthal ci sia stato un parziale

mescolamento dei due lignaggi.

Questa ipotesi è stata ora confermata

dall'analisi del DNA mitocondriale del femore

di Hohlenstein-Stadel: quel DNA è infatti

risultato differente da quello dei neanderthaliani

più antichi e più simile a quelli dell'essere

umano moderno.

Un incrocio dei Neanderthal con nostri

antenati africani

La grotta di Hohlenstein-Stadel, nella Germania

sud-occidentale

Prendendo in esame il cosiddetto orologio

molecolare - ossia il tasso medio di mutazioni

che intervengono nel DNA nel corso del tempo

- Johannes Krause e colleghi sono riusciti a

definire una linea temporale di questi eventi.

La migrazione dall'Africa all'Europa degli

antenati diretti dell'uomo moderno sarebbe

avvenuta fra 470.000 e 220.000 anni fa,

con il picco di probabilità intorno ai

270.000 anni fa.

Il gruppo dei nuovi migranti - osservano

i ricercatori - deve essere stato abbastanza

piccolo da non avere un grande impatto sul

DNA nucleare dei Neanderthal, ma abbastanza

grande da sostituire la linea mitocondriale

dei Neanderthal dell'epoca, più simile a

quella dei denisovani, con un tipo più simile

a quella degli umani moderni.

Questo scenario, concludono i ricercatori,

implica inoltre che la popolazione dei

Neanderthal europei doveva essere

più consistente di quella finora stimata.

 
 
 

LE CAPACITA' SIMBOLICHE DEI NEANDERTHAL....

Post n°1809 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE:INTERNET

Un osso di corvo ritrovato in un sito

neanderthaliano presenta una serie

di tacche incise in modo da creare

un motivo regolare. Le analisi del reperto

- fra cui uno studio di archeologia

sperimentale - indicano che le tacche

sono state realizzate intenzionalmente,

forse per creare un ornamento: un

oggetto privo di un'utilità pratica, ma

indice della capacità di pensiero simbolico

E' un frammento osseo ricavato dal radio

di un corvo il primo reperto archeologico

che mostra direttamente le elevate

capacità simboliche dei Neanderthal.

Il frammento è stato infatti inciso i

ntenzionalmente, creando una serie di

tacche uniformi e regolarmente spaziate,

probabilmente per farne un ornamento.

A sostenerlo è un gruppo internazionale

di ricercatori che in un articolo pubblicato

su "PLoS ONE" descrive come è arrivato a

questa conclusione.

Il livello delle capacità cognitive dei Neanderthal

continua a essere materia di discussione fra

paleoantropologi e archeologi, soprattutto

negli ultimi tempi, in seguito a una serie di

ritrovamenti che suggeriscono una buona

capacità simbolica, legata alla creazione di

ornamenti, cioè oggetti privi di una finalità

pratica immediata.

L'osso decorato e le capacità cognitive dei Neanderthal

Parte del frammento di osso inciso dai Neanderthal. 

Un certo numero di questi oggetti è costituito

da ossa di uccelli con incisioni o fori, che però

secondo una parte degli studiosi potrebbero

essere il frutto casuale di operazioni di

spolpamento. Questa ipotesi è difficile da

smentire, dato che nei siti di ritrovamento

non c'è traccia, per esempio, delle penne

che potevano impreziosire il presunto monile,

trattandosi di materiali facilmente degradabili.

Francesco d'Errico, dell'Università di Bordeaux,

e collaboratori hanno condotto uno studio che

ha sfruttato una varietà di metodologie per

analizzare le tacche presenti su un frammento

osseo di corvo scoperto, insieme a altri reperti,

nel sito neanderthaliano di Zaskalnaya VI,

in Crimea.

In particolare, i ricercatori hanno condotto

anche uno studio di archeologia sperimentale:

hanno invitato un gruppo di volontari a incidere

delle tacche spaziate in modo regolare su alcune

ossa di tacchino domestico (che hanno dimensioni

simili a quelle dell'osso di corvo trovato a Zaskalnaya).

Le incisioni sono state eseguite con schegge di

pietra simili a quelle trovate nel sito preistorico.

L'osso decorato e le capacità cognitive dei Neanderthal

Ricostruzione sperimentale dell'incisione delle tacche. 

L'analisi morfometrica ha mostrato che la

spaziatura degli intagli sperimentali era

paragonabile alla distanza degli intagli nell'osso

di corvo. Anche le imprecisioni nella valutazione

dell'equidistanza fra le tacche erano simili e

corrispondevano a quelle connesse ai limiti

delle capacità percettive umane.

Secondo i ricercatori, il complesso di prove

raccolte suggerisce con forza che le tacche

siano state realizzate intenzionalmente al

preciso scopo di creare un motivo regolare

sull'osso.

 
 
 

Una genesi africana recente

Post n°1808 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

Una genesi africana recente

L'alimentazione dei Neanderthal variava

molto da regione a regione: alcuni erano

vegetariani, altri prediligevano la carne.

L'ha dimostrato l'analisi del tartaro sui

denti fossili, che ha rivelato anche un

probabile uso delle piante a scopi

terapeutici. La somiglianza della flora

batterica orale con quella degli esseri

umani moderni suggerisce inoltre che lo

scambio di baci con i nostri antenati non

fosse così raro.

Variava molto da regione a regione la

dieta dei Neanderthal, che non solo

sapevano adattarsi alle risorse disponibili

nei diversi ambienti, ma sapevano anche

usare le piante per curarsi.

A dimostralo sono le indagini condotte da

un gruppo internazionale di ricercatori che

ha analizzato il DNA trovato nella placca

dentale di quattro soggetti rinvenuti nei

siti rupestri di Spy in Belgio e di El Sidrón

in Spagna. I reperti - che risalgono a un

periodo compreso fra i 42.000 e i 50.000

anni fa - costituiscono i più antichi campioni

di placca dentale che siano mai stati

sottoposti ad analisi genetica.

Regione che vai, dieta Neanderthal che trovi

Mascella superiore di uno dei Neanderthal di El Sidron. 

"La placca dentale è stata una trappola per

i microrganismi che vivevano nella bocca, per

gli agenti patogeni presenti nel tratto

respiratorio e gastrointestinale e per piccoli

frammenti di cibo bloccato fra i denti.

In questo modo il DNA di questi elementi si è

potuto conservare per migliaia di anni", ha

detto Laura S. Weyrich, prima firmataria

dell'articolo pubblicato su "Nature" in cui

è descritto lo studio.

I ricercatori hanno scoperto che i Neanderthal

della grotta di Spy consumavano carne di

rinoceronti lanosi e mufloni, integrando la dieta

con funghi porcini. Gli abitanti di El Sidrón

sembra che seguissero invece una dieta in gran

parte vegetariana, che comprendeva pinoli,

muschi, funghi e corteccia d'albero.

Uno dei Neandertal di El Sidrón, inoltre, doveva

essere molto malato: soffriva non solo di un

ascesso dentale (i cui segni sono ben visibili

sulla mandibola), ma anche di una parassitosi

intestinale che provoca una diarrea acuta.

Ma la scoperta che più ha sorpreso è che quel

Neanderthal stava cercando di curarsi: nella

sua placca - ma non in quella degli altri - sono

state trovate tracce di corteccia di pioppo, che

contiene acido

salicilico, un antidolorifico e antipiretico, e di

una muffa: Penicillinum rubens, che produce

naturalmente un antibiotico. "A quanto pare,

i Neanderthal avevano una buona conoscenza

delle piante medicinali e delle loro proprietà

antinfiammatorie e antidolorifiche", ha detto

la Weyrich.

Regione che vai, dieta Neanderthal che trovi

La grotta di El Sidron, dove sono stati

rinvenuti reperti neandethaliani.

Neanderthal ed esseri umani, antichi e

moderni, hanno anche condiviso molti

patogeni, tra i quali i batteri che causano

la carie e malattie gengivali, la cui somiglianza

suggerisce che l'intimità tra le due specie,

in particolare lo scambio di baci, non fosse

così rara.

Weyrich e colleghi sono riusciti a identificare

uno di questi microrganismi, Methanobrevibacter

oralis, che è a oggi il genoma batterico patogeno

più antico che sia stato sequenziato.

I ricercatori hanno anche notato la rapidità

con cui la comunità microbica orale è cambiata

nella storia recente, la cui composizione è

apparsa strettamente correlata - proprio come

negli esseri umani di oggi - alla quantità di

carne consumata nella dieta.

La flora batterica dei Neandertal spagnoli era

affine a quella degli scimpanzé e dei nostri più

antichi antenati prevalentemente raccoglitori,

mentre i Neandrthal belgi ne avevano una

simile a quella dei primi cacciatori-raccoglitori e

degli esseri umani moderni. Considerato che le

linee evolutive di Neanderthal e umani moderni

si sono separate in tempi molto remoti, questa

affinità nella flora batterica orale, e ancor più

dei patogeni che vi si possono insediare,

induce il forte sospetto che essa sia una

conseguenza di contatti molto stretti fra membri

delle due specie; in altri termini che ci sia stato

uno scambio della flora batterica attraverso i baci.

 
 
 

GLI ANTICHI DNA DEI POPOLI PREISTORICI.....

Post n°1807 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: iNTERNET

Le sequenze di DNA ereditate dai

Neanderthal - che sono presenti,

sia pure in numero ridotto, nella

maggior parte delle persone -

influenzano il livello di attivazione

dei nostri geni contribuendo così

a diversi tratti: dall'altezza all'efficienza

del sistema immunitario, fino alla

suscettibilità a varie malattie.

Le sequenze di DNA che abbiamo

ereditato dai Neanderthal non sono

relitti silenziosi di un lontano passato,

ma influenzano numerosi tratti negli

esseri umani moderni che ne sono

portatori, dal metabolismo dei grassi

all'altezza fino alla suscettibilità a

svariate malattie, come la depressione

o il lupus. A scoprirlo sono stati tre

ricercatori dell'University of Washington

a Seattle, che illustrano in loro studio in

un articolo pubblicato su "Cell".

L'effetto dei geni dei Neanderthal

sulla nostra salute

In tutte le popolazioni non africane

moderne sono conservati frammenti

del genoma neanderthaliano: dall'1 al

4 per cento dei geni di ogni persona

ha questa origine, vale a dire che alcuni

geni sono presenti nella loro versione

neanderthaliana e non in quella tipica

dell'uomo moderno.

Tuttavia, poiché, a differenza di quanto

accade per il DNA, non è possibile estrarre

dai fossili l'RNA, finora non era stato

possibile stabilire se la versione (allele)

moderna e quella neanderthaliana dello

stesso gene sono funzionalmente

equivalenti o se ci sono delle differenze.

Rajiv C. McCoy, Jon Wakefield e Joshua

M. Akey hanno usato il database del

progetto Genotype-Tissue Expression

(GTEx), che ha individuato una platea

di persone che hanno sia una versione

Neanderthal sia una versione umana

moderna di un certo gene, una ereditata

dalla madre e l'altra dal padre.

Per ognuno di questi geni, i ricercatori

hanno poi confrontato l'espressione dei

due alleli in 52 diversi tessuti.

Nel 25 per cento dei casi testati, è stato

possibile rilevare una differenza di

espressione tra l'allele Neanderthal e

quello moderno.

L'espressione degli alleli neanderthaliani

tendeva a essere particolarmente bassa

nel cervello e nei testicoli, suggerendo

che questi tessuti abbiano sperimentato

una più rapida evoluzione da quando, circa

700.000 anni fa, Neanderthal e umani

moderni hanno iniziato a differenziarsi.

Di conseguenza, ha detto Akey, "possiamo

ipotizzare che le differenze di regolazione

genica più marcate tra noi e i Neanderthal

siano nel cervello e nei testicoli".

L'effetto dei geni dei Neanderthal sulla nostra salute

Le varianti neanderthaliane dei geni

presenti nel nostro genoma hanno livelli

di espressione diversi delle varianti umane

moderne dei geni corrispondenti, e

questo si ripercuote nei tratti 

L'espressione dell'allele neandethaliano

a livello cerebrale è comunque apparsa

correlata a un aumento del rischio di alcuni

disturbi psichiatrici, in particolare depressione,

disturbo ossessivo compulsivo, autismo e

dipendenza da nicotina. (A causa del limitato

gruppo di soggetti testati, non è stato invece

possibile controllare a questo livello bio

molecolare la correlazione con un aumento

dell rischio di schizofrenia, suggerita da

precedenti ricerche.)

La ricerca ha inoltre confermato che gli alleli

dei nostri antichi "cugini" aumentano il

rischio di varie altre malattie, dalla fibrosi

cistica alle patologie autoimmuni e in

particolare al lupus. Va però ricordato

che l'eredità neanderthaliana non è

tutta negativa: alcuni suoi alleli permettono

per esempio una migliore sintesi della

vitamina D o lo sviluppo di un sistema

immunitario più efficiente, soprattutto

grazie a una maggior produzione di

interleuchine.

I ricercatori intendono proseguire in questo

tipo di ricerca, approfondendo lo studio

degli effetti degli alleli neanderthaliani e

ampliandolo a quello dei possibili effetti

degli alleli provenienti da un'altra specie

cugina estinta: l'uomo di Denisova.

 
 
 

GLI ANTICHI GENOMI....

Post n°1806 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE:INTERNET

Una nuova analisi su genomi di

popolazioni di diversa provenienza

geografica ha dimostrato che gli

esseri umani moderni possiedono

126 regioni del DNA in cui la frequenza

di geni ereditati da ominidi arcaici come

l'uomo di Neanderthal e l'uomo di

Denisova è particolarmente elevata.

Ciò indica probabilmente che quei geni

conferirono ai nostri antenati un vantaggio

adattativo, che sfruttarono per colonizzare

ambienti molto diversi tra loro dopo

l'emigrazione dall'Africa.

Sono 126 le regioni del genoma umano in cui

sono presenti geni ereditati da umani arcaici

come l'uomo di Neanderthal e l'uomo di

Denisova. Ciò rappresenta una prova

evidente che gli esseri umani moderni, nella

lunga emigrazione che dall'Africa li ha portati

in tutti i continenti, si sono incrociati con

quelle specie arcaiche. Ora un nuovo studio

pubblicato sulla rivista "Current Biology" da

Joshua Akey e colleghi dell'Università di

Washington a Seattle, dimostra che questo

incrocio ci ha favoriti, dotandoci di alcuni

tratti fondamentali per la sopravvivenza.

"Il nostro lavoro mostra che l'incrocio genetico

tra Homo sapiens e altre specie arcaiche non

è una semplice curiosità della nostra storia

evolutiva, ma ha avuto importanti conseguenze,

contribuendo alla capacità di adattamento

ai diversi ambienti dei nostri antenati, che così

hanno potuto colonizzare tutto il mondo

emerso", ha spiegato Joshua Akey of University

of Washington School of Medicine in Seattle.

Le analisi genetiche avevano già mostrano

che gli individui non africani hanno ereditato

circa il 2 per cento dei geni dai neanderthaliani,

e le popolazioni della Melanesia il 2-4 per cento

dai denisovani, ma non era chiaro quale

conseguenza avesse avuto questa mescolanza

per la nostra evoluzione.

Akey e colleghi hanno utilizzato alcune mappe

genomiche di recente acquisizione costruite

a partire da sequenze di DNA di Neanderthal

e Denisova relative a più di 1500 individui di

aree geografiche diverse, e precisamente:

504 provenienti dal Sud Est Asiatico, 503

Europei, 489 dell'Asia meridionale, e 27

dalle isole della Melanesia (Indonesia,

Nuova Guinea, Fiji e Vanuatu).

Il vantaggio adattativo dei geni Neanderthal

e Denisova

Ricostruzione museale dell'aspetto dell'Uomo

di Neanderthal.


Mentre le sequenze neanderthaliane e

denisovane sopravvissute rappresentano,

in media, meno

del 5 per cento del genoma, grazie alle nuove

analisi sono stati scoperti 126 loci in cui la

frequenza di sequenze arcaiche nella

popolazione studiata è decisamente più

elevata, fino al 65 per cento. Sette di questi

loci sono compresi in regioni note per il loro

coinvolgimento nella determinazione delle

caratteristiche della pelle, mentre altre 31

codificano per elementi importanti del

nostro sistema immunitario.

"Il fatto che questi geni arcaici abbiano

raggiunto una frequenza così alta nella

popolazione indica molto probabilmente

che si trattava di geni vantaggiosi", ha

aggiunto Akey. "Inoltre, molte delle

sequenze di elevata frequenza comprendono

geni legati al sistema immunitario, che è

spesso un target dell'adattamento evolutivo".

In termini generali, i geni ereditati da Neanderthaliani

e Denisovani sono importanti per le nostre

interazioni con l'ambiente: le prove indicano

che l'incrocio con gli esseri umani arcaici consentì

ai nostri antenati di adattarsi rapidamente ai

nuovi ambienti che via via incontravano.

Ora i ricercatori vorrebbero sapere di più su

come i geni influenzarono la capacità degli

esseri umani di sopravvivere, e quali

implicazioni ebbero sulle malattie umane.

Per capirlo, il prossimo passo sarà probabilmente

quello di includere popolazioni geograficamente

differenti di altre parti del mondo, inclusa l'Africa.

 
 
 

L'ANALISI DEL GENOMA PREISTORICO.....

Post n°1805 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE:INTERNET

Una nuova analisi su genomi di popolazioni

di diversa provenienza geografica ha

dimostrato che gli esseri umani moderni

possiedono 126 regioni del DNA in cui la

frequenza di geni ereditati da ominidi

arcaici come l'uomo di Neanderthal e 

l'uomo di Denisova è particolarmente

elevata.

Ciò indica probabilmente che quei geni

conferirono ai nostri antenati un vantaggio

adattativo, che sfruttarono per colonizzare

ambienti molto diversi tra loro dopo

l'emigrazione dall'Africa.

Sono 126 le regioni del genoma umano

in cui sono presenti geni ereditati da umani

arcaici come l'uomo di Neanderthal e l'uomo

di Denisova. Ciò rappresenta una prova

evidente che gli esseri umani moderni,

nella lunga emigrazione che dall'Africa li ha

portati in tutti i continenti, si sono incrociati

con quelle specie arcaiche. Ora un nuovo

studio pubblicato sulla rivista "Current Biology"

da Joshua Akey e colleghi dell'Università di

Washington a Seattle, dimostra che questo

incrocio ci ha favoriti, dotandoci di alcuni

tratti fondamentali per la sopravvivenza.

"Il nostro lavoro mostra che l'incrocio

genetico tra Homo sapiens e altre specie

arcaiche non è una semplice curiosità della

nostra storia evolutiva, ma ha avuto

importanti conseguenze, contribuendo alla

capacità di adattamento ai diversi ambienti

dei nostri antenati, che così hanno potuto

colonizzare tutto il mondo emerso", ha

spiegato Joshua Akey of University of

Washington School of Medicine in Seattle.

Le analisi genetiche avevano già mostrano

che gli individui non africani hanno ereditato

circa il 2 per cento dei geni dai neanderthaliani,

e le popolazioni della Melanesia il 2-4 per

cento dai denisovani, ma non era chiaro

quale conseguenza avesse avuto questa

mescolanza per la nostra evoluzione.

Akey e colleghi hanno utilizzato alcune

mappe genomiche di recente acquisizione

costruite a partire da sequenze di DNA di

Neanderthal e Denisova relative a più di

1500 individui di aree geografiche diverse,

e precisamente: 504 provenienti dal Sud

Est Asiatico, 503 Europei, 489 dell'Asia

meridionale, e 27 dalle isole della Melanesia

(Indonesia, Nuova Guinea, Fiji e Vanuatu).

Il vantaggio adattativo dei geni Neanderthal

e Denisova

Ricostruzione museale dell'aspetto dell'Uomo

di Neanderthal.

Mentre le sequenze neanderthaliane e

denisovane sopravvissute rappresentano,

in media, meno

del 5 per cento del genoma, grazie alle

nuove analisi sono stati scoperti 126 loci

in cui la frequenza di sequenze arcaiche

nella popolazione studiata è decisamente

più elevata, fino al 65 per cento.

Sette di questi loci sono compresi in regioni

note per il loro coinvolgimento nella

determinazione delle caratteristiche

della pelle, mentre altre 31 codificano

per elementi importanti del nostro sistema

immunitario.

"Il fatto che questi geni arcaici abbiano

raggiunto una frequenza così alta nella

popolazione indica molto probabilmente

che si trattava di geni vantaggiosi", ha

aggiunto Akey. "Inoltre, molte delle sequenze

di elevata frequenza comprendono geni

legati al sistema immunitario, che è spesso

un target dell'adattamento evolutivo".

In termini generali, i geni ereditati da

Neanderthaliani e Denisovani sono importanti

per le nostre interazioni con l'ambiente:

le prove indicano che l'incrocio con gli

esseri umani arcaici consentì ai nostri

antenati di adattarsi rapidamente ai

nuovi ambienti che via via incontravano.

Ora i ricercatori vorrebbero sapere di più

su come i geni influenzarono la capacità

degli esseri umani di sopravvivere, e quali

implicazioni ebbero sulle malattie umane.

Per capirlo, il prossimo passo sarà

probabilmente quello di includere popolazioni

geograficamente differenti di altre parti del

mondo, inclusa l'Africa.

 
 
 

Il crepuscolo dei Neanderthal ....

Post n°1804 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

Il crepuscolo dei Neanderthal 

Segni inequivocabili della pratica

del cannibalismo sono stati scoperti

sui fossili di Neanderthal vissuti oltre

40.000 anni fa nel sito belga di Goyet.

La scoperta dimostra che questi nostri

antichi "cugini" avevano una grande

variabilità di comportamenti nei

confronti dei defunti, altri gruppi

geograficamente vicini erano soliti seppellirli.

Quando eravamo cannibali

antropologiapaleontologiacomportamento

Alcuni gruppi di Neanderthal praticavano

il cannibalismo. A dimostrarlo sono segni

inequivocabili lasciati su ossa fossili venute

alla luce in una caverna del complesso di

grotte di Goyet, in Belgio,più precisamente

nella "Troisième caverne". La scoperta,

opera di paleoantropologi diretti da Hélène

Rougier della California State University e

descritta in "Scientific Reports", mostra

che il repertorio di comportamenti dei

Neanderthal era vario. In altri siti, come

quelli di Chapelle-aux-Saints, in Francia,

e di Sima de las Palomas in Spagna, sono

state trovate prove dl fatto che i nostri

cugini neanderthaliani seppellivano i defunti.

Il cannibalismo dei Neanderthal

Il complesso di ossa fossili appartenute ad

almeno cinque individui e scoperte nella

grotta di Goyet.

Tornando ai fossili di Goyet, un'analisi

multidisciplinare di 99 resti ossei ha

stabilito che appartenevano ad almeno

cinque individui, quattro adolescenti o

adulti e un bambino, vissuti fra 45.500

e 40.500 anni fa. Diverse di queste ossa

mostrano i caratteristici segni di percussione

che si formano quando le ossa sono

schiacciate per estrarre il midollo.

Questi segni, inoltre, sono uguali a quelli

trovati su fossili di cavalli e renne scoperti

nello stesso sito, suggerendo che siano

stati tutti consumati nello stesso modo.

Il cannibalismo dei Neanderthal

Alcuni dei segni che hanno permesso di

risalire alla pratica del cannibalismo fra i Neanderthal.

Non solo, alcune ossa umane mostrano

anche altri segni che ne indicano un uso

come percussori "delicati" per rifinire

strumenti litici. La pratica di sfruttare le

ossa per affilare i bordi degli strumenti in

pietra era già stata osservata in altri siti.

Di solito erano usate ossa di cervo, ma

nel sito di Krapina, in Croazia, e di Les

Pradelles, in Francia, era stato usato un

femore umano, mentre a La Quina, sempre

in Francia, era stato usato un cranio.

L'ottimo stato di conservazione della ossa

di Goyet ha permesso inoltre di estrarne

e analizarne il DNA mitocondriale.

Il confronto di questo DNA con quello di

altri neanderthaliani, ha rivelato che

l'uomo di Neanderthal di Goyet aveva

una stretta somiglianza genetica con i

suoi simili dei siti di Feldhofer, in Germania,

di Vindija, in Croazia, e di El Sidrón in Spagna.

Questo notevole uniformità genetica fra

gli abitanti di siti così distanti indica che

la popolazione di Neanderthal che all'epoca

viveva in Europa era di piccole dimensioni.

Purtroppo, osservano i ricercatori, l'impossibilità

di associare questi resti ai complessi

neanderthaliani della zona, perché non

coevi, impedisce di capire se la pratica del

cannibalismo fosse da inserire in un contesto

rituale o meno. Tuttavia, il confronto con le

pratiche funerarie di cui si ha testimonianza

da siti relativamente vicini, nel raggio di

250 chilometri, indica che, a dispetto della

stretta parentela genetica, i diversi gruppi

di Neanderthal avevano comportamenti

molto differenziati fra loro.

 
 
 

Nella grotta francese di Bruniquel....

Post n°1803 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

Nella grotta francese di Bruniquel sono state

scoperte strutture artificiali ad anello costruite

con pezzi di stalagmiti tutti uguali.

La loro datazione indica che risalgono

a circa 175.000 anni fa, un'epoca in cui gli

unici abitanti umani dell'Europa erano i

Neanderthal, che avevano dunque

comportamenti e capacità sociali decisamente

evolute. La funzione di queste strutture

è però ancora oscura(red)

Risale a 176.000 anni fa e fu opera dei

Neanderthal la prima costruzione realizzata

da un essere umano tra quelle note finora.

Si tratta di una serie di strutture

complessivamente formate da 400 pezzi di

stalagmite disposti ad anello situate a 336

metri dall'ingresso della grotta di Bruniquel,

nel sud-ovest della Francia.

Queste strutture - che furono scoperte nel

1992, ma che solo ora sono state studiate

e datate - provano che i Neanderthal avevano

comportamenti e abilità sociali ben più complessi

di quanto generalmente ritenuto.

Finora le poche strutture artificiali neanderthaliane

note erano molto più recenti e costituite da

elementi isolati di muretti a secco; per di più

anche la loro attribuzione a questi nostri

cugini era stata contestata da diversi studiosi.

Le enigmatiche costruzioni sotterranee

dei Neanderthal.

La zona della grotta di Bruniquel in cui

sono state trovate le strutture. 

Lo studio che ha portato a questa

conclusione è stato realizzato da ricercatori

dell'Università di Bordeaux, che lo descrivono

in un articolo pubblicato su "Nature".

Il complesso è costituito da sei strutture

- due più grandi (rispettivamente di 6,7

per 4,5 metri di diametro e di 2,2 per 2,1

metri) e quattro di dimensioni minori -

formate da pezzi di stalagmite di

dimensioni simili (circa 30 centimetri),

una circostanza che dimostra come la

loro costruzione sia stata accuratamente

progettata. All'interno di una delle

strutture più piccole i ricercatori hanno

anche recuperato un frammento di osso

di circa sette centimetri che mostrava

segni di contatto con una fonte di calore.

La funzione di queste strutture, al cui

interno sono state trovate tracce dell'accensione

di fuochi, sono ancora oscure, potendo far parte

di un rifugio o avere un significato simbolico.

Le enigmatiche costruzioni sotterranee

dei Neanderthal.

Ricostruzione in 3D delle strutture della grotta. 

La datazione del complesso indica che le

strutture risalgono a circa 176.000 anni fa,

un'epoca

in cui gli uomini di Neanderthal erano già

presenti in quella parte d'Europa, ma non

così gli esseri umani moderni, Homo sapiens,

che arrivarono nel continente europeo solo

fra 35-40.000 anni fa. Per confronto, la più

antica documentazione archeologica di

strutture costruite da esseri umani

anatomicamente moderni risalgono a circa

20.000 anni fa, e sono le costruzioni in

ossa di mammut realizzate dai cacciatori-

raccoglitori delle pianure russe.

La scoperta, che testimonia anche come

i Neanderthal avessero già allora l'idea

di organizzazione dello spazio, di controllo

del fuoco e le capacità di sfruttare ambienti

ipogei, rappresenta un'ulteriore conferma

delle capacità dei neanderthaliani.

Queste capacità, osservano i ricercatori

sono state a lungo sottovalutate proprio

a causa dell'assenza di reperti archeologici,

un'assenza che tuttavia a questo punto

si può attribuire innanzitutto alla loro

distruzione. Le strutture di Bruniquel sono

ben conservate probabilmente perché sono

rimaste sigillate da ostruzioni di calcite

molto presto dopo la loro costruzione.

 
 
 

LE OPERE DEI NEANDERTHAL...

Post n°1802 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

Risale a 176.000 anni fa e fu opera

dei Neanderthal la prima costruzione

realizzata da un essere umano tra

quelle note finora. Si tratta di una

serie di strutture complessivamente

formate da 400 pezzi di stalagmite

disposti ad anello situate a 336 metri

dall'ingresso della grotta di Bruniquel,

nel sud-ovest della Francia.

Queste strutture - che furono scoperte

nel 1992, ma che solo ora sono state

studiate e datate - provano che i

Neanderthal avevano comportamenti

e abilità sociali ben più complessi di

quanto generalmente ritenuto.

Finora le poche strutture artificiali

neanderthaliane note erano molto

più recenti e costituite da elementi

isolati di muretti a secco; per di più

anche la loro attribuzione a questi

nostri cugini era stata contestata

da diversi studiosi.

Le enigmatiche costruzioni sotterranee

dei Neanderthal.

La zona della grotta di Bruniquel in cui

sono state trovate le strutture. 

Lo studio che ha portato a questa

conclusione è stato realizzato da

ricercatori dell'Università di Bordeaux,

che lo descrivono in un articolo pubblicato

su "Nature".

Il complesso è costituito da sei strutture -

due più grandi (rispettivamente di 6,7 per

4,5 metri di diametro e di 2,2 per 2,1 metri)

e quattro di dimensioni minori - formate da

pezzi di stalagmite di dimensioni simili (circa

30 centimetri), una circostanza che dimostra

come la loro costruzione sia stata

accuratamente progettata. All'interno di una

delle strutture più piccole i ricercatori hanno

anche recuperato un frammento di osso di

circa sette centimetri che mostrava segni

di contatto con una fonte di calore.

La funzione di queste strutture, al cui interno

sono state trovate tracce dell'accensione

di fuochi, sono ancora oscure, potendo far

parte di un rifugio o avere un significato

simbolico.

Le enigmatiche costruzioni sotterranee

dei Neanderthal


Ricostruzione in 3D delle strutture della

grotta.


La datazione del complesso indica che le

strutture risalgono a circa 176.000 anni

fa, un'epoca

in cui gli uomini di Neanderthal erano

già presenti in quella parte d'Europa,

ma non così gli esseri umani moderni,

Homo sapiens, che arrivarono nel

continente europeo solo fra 35-40.000

anni fa. Per confronto, la più antica

documentazione archeologica di strutture

costruite da esseri umani anatomicamente

moderni risalgono a circa 20.000 anni fa,

e sono le costruzioni in ossa di mammut

realizzate dai cacciatori-raccoglitori delle

pianure russe.

La scoperta, che testimonia anche come

i Neanderthal avessero già allora l'idea

di organizzazione dello spazio, di controllo

del fuoco e le capacità di sfruttare ambienti

ipogei, rappresenta un'ulteriore conferma

delle capacità dei neanderthaliani.

Queste capacità, osservano i ricercatori

sono state a lungo sottovalutate proprio

a causa dell'assenza di reperti archeologici,

un'assenza che tuttavia a questo punto

si può attribuire innanzitutto alla loro

distruzione. Le strutture di Bruniquel sono

ben conservate probabilmente perché

sono rimaste sigillate da ostruzioni di

calcite molto presto dopo la loro costruzione.

 
 
 

L'analisi del cromosoma Y dei Neanderthal .....

Post n°1801 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

L'analisi del cromosoma Y dei Neanderthal

ha permesso di fissare a 550.000 anni fa

la separazione fra la loro specie e la nostra,

mostrando che nessuno dei geni che si

trovavano su di esso è passato all'uomo

moderno, che pure ha ereditato fino al 4

per cento del patrimonio genetico di questi

nostri antichi cugini(red)

Nel genoma degli esseri umani moderni vi

sono parti di DNA che risalgono all'uomo

di Neanderthal, ma non c'è traccia dei geni

che si trovavano sul suo cromosoma Y, che

quindi è andato perso.

La scoperta - fatta da un gruppo di ricercatori

della Stanford University e del Max Planck

Institut per la biologia evoluzionistica diretti

da Carlos Bustamante e pubblicata sul

"The American Journal of Human Genetics"

- permette inoltre di definire con maggiore

precisione il momento in cui è iniziata la

divergenza genetica fra noi e i Neanderthal:

se finora si poteva solo indicare un arco di

tempo compreso fra gli 800.000 e i

400.000 anni fa, l'analisi del cromosoma

Y neandethaliano permette ora di fissare

la data a circa 550.000 anni fa.

Diverse ricerche hanno dimostrato che il

DNA degli esseri umani moderni non africani

contiene dal 2,5 al 4 per cento di DNA

ereditato dai Neanderthal in seguito

all'incrocio delle due specie avvenuto circa

50.000 anni fa. Gli studi che hanno condotto

a questa conclusione erano stati condotti

sul DNA mitocondriale, che viene passato

alle generazioni successive solo per via

materna, o su materiale genetico ricavato

da ossa fossili di donne.

La scomparsa del cromosoma Y neanderthaliano

Microfotografia di un cromosoma X

(a sinistra) e un cromosoma Y. ( Creative

Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Licence.)

L'analisi del DNA del cromosoma Y di un

neanderthaliano ha invece mostrato che

"ha delle caratteristiche che non sono mai

state rilevate in qualsiasi campione umano

mai testato", ha detto Bustamante.

"Questo non prova che sia totalmente

estinto, ma è probabile che sia così."

Le ragioni di questa scomparsa non sono

certe, ed è possibile che nel corso dei

millenni sia avvenuta per puro caso, ma

i ricercatori propendono per un'altra

spiegazione: i geni dei cromosomi Y

neanderthaliani probabilmente erano

incompatibili con altri geni dell'essere

umano moderno.

A sostegno

di questa ipotesi c'è il fatto che uno dei

geni del cromosoma Y dei Neanderthal

era identico alla mutazione di un gene

è coinvolto in casi di rigetto di un trapianto

in cui l'organo donato a una donna proviene

da un maschio. "Ciò ci suggerisce che le

sequenze di DNA del cromosoma Y dei

Neanderthal possano aver creato una

barriera al flusso genico", ha detto

Bustamante.

Vari geni del cromosoma Y dei Neanderthal

che differiscono dai nostri sono infatti

coinvolti nel funzionamento del sistema

immunitario e tre di essi riguardano i

cosiddetti "antigeni di istocompatibilità

minori", o geni H-Y, affini ai geni del complesso

maggiore di istocompatibilità (HLA) che in

caso di trapianto vengono controllati proprio

per assicurarsi che donatore e ricevente

abbiano profili immunitari sufficientemente

simili.

Un feto di sesso maschile con i geni H-Y

dei Neanderthal potrebbe quindi essere

attaccato dal sistema immunitario della

madre. Il sistematico aborto spontaneo

dei neonati di sesso maschile con cromosomi

Y neanderthaliani spiegherebbe così la sua

assenza negli esseri umani moderni.

 
 
 

STRANIERO DI UNA NUOVA TERRA...

Post n°1800 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

Straniero in una nuova terra

Dall'analisi delle microabrasioni

sui denti fossili di Neanderthal

e dei primi uomini moderni giunti

in Europa si è scoperto che la

strategia alimentare dei primi

era più flessibile di quella dei nostri

antenati diretti. Paradossalmente,

però, questa maggiore flessibilità

si è tradotta in uno svantaggio che

può aver contribuito alla loro 

Le diverse strategie alimentari di

Neanderthal e umani moderni potrebbero

aver contribuito all'estinzione degli uni

e alla sopravvivenza degli altri.

E' questa l'ipotesi avanzata da un gruppo

di ricercatori del Max Planck Institut

per l'antropologia evolutiva a Lipsia,

d ella Stony Brook University e dell'University

of Arkansas a Fayetteville, che in un

articolo pubblicato su "PLoS One" illustrano

i risultati di uno studio sui comportamenti

alimentari delle due specie umane.

Nel corso di centinaia di migliaia di anni,

i Neanderthal sono riusciti a prosperare

sopravvivendo alle forti fluttuazioni

climatiche dell'Eurasia occidentale, con

l'alternarsi di periodi molto freddi e più

miti. La loro estinzione si verificò all'apice

dell'ultimo periodo glaciale, circa 40.000

anni fa, relativamente poco tempo dopo

l'arrivo in Europa degli esseri umani

moderni.

"Ci si aspetterebbe che i Neanderthal fossero

meglio adattati alle condizioni climatiche a

volte molto dure dell'era glaciale in Europa",

afferma Sireen El Zaatari, coautore dello

studio. "Si sono sviluppati lì, mentre gli

esseri umani anatomicamente moderni si

sono evoluti in Africa e sono migrati verso

l'Europa molto più tardi."

Le differenze di dieta tra Neanderthal e

primi umani moderni

Microabrasioni su un dente fossile.

Dall'analisi delle microabrasioni sui molari

fossili di Neanderthal ed esseri umani

moderni del Paleolitico superiore è emerso

che i Neanderthal avevano sempre adattato

la loro dieta alle risorse più facili da trovare

nelle diverse condizioni climatiche.

Quando prevaleva un habitat a steppa,

i Neanderthal mangiavano soprattutto carne.

Nei periodi in cui il continente era

prevalentemente a foresta, la loro dieta

privilegiava semi e noci dure, che lasciano

sui denti segni di microusura più complessi.

Gli esseri umani

moderni hanno invece cercato di attenersi

il più possibile alla loro strategia alimentare

di base, a prescindere dai cambiamenti

ambientali. In particolare hanno mantenuto

una dieta con una percentuale piuttosto

alta di alimenti di origine vegetale anche

in habitat prevalentemente a steppa.

"Per essere in grado di farlo, hanno

sviluppato strumenti, per esempio per

estrarre le radici nel terreno", dice El Zaatari.

La strategia alimentare flessibile che

aveva assicurato la sopravvivenza dei

Neanderthal per centinaia di migliaia di

anni, da vantaggio si è trasformata in

uno svantaggio quando è stata applicata

a un contesto in cui alle difficili condizioni

climatiche si è aggiunta la concorrenza

degli umani moderni. La maggiore

rigidità della dieta di questi ultimi si è

invece rivelata per una volta un fattore

positivo.

 
 
 

IL SIMBOLO DEI NEANDERTHAL...

Post n°1799 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

Il simbolismo dei Neanderthal

I primi gruppi di esseri umani moderni

che arrivarono in Europa erano molto

più esigui di quelli dei Neanderthal,

ma la cultura più evoluta consentì ai

nostri antenati diretti di superare lo

svantaggio numerico, segnando il

destino delle popolazioni autoctone.

Fu la competizione con gli esseri

umani moderni, in particolare quella

culturale, a determinare l'estinzione

dei Neanderthal, mentre altri fattori

ipotizzati, come i cambiamenti climatici

o la diffusione di malattie, avrebbero

avuto un ruolo secondario.

Ad affermarlo è un gruppo di ricercatori

della Stanford University e della Meiji

University a Tokyo in un articolo pubblicato

sui "Proceedings of the National Academy

of Sciences".

L'ipotesi "culturale" dell'estinzione

neanderthaliana finora è stata trascurata

perché al loro arrivo in Europa gli uomini

moderni erano molto meno numerosi dei

Neanderthal che abitavano la regione già

da molto tempo.

Per approfondire la questione, William

Gilpin e colleghi hanno adattato al caso

in esame un classico modello ecologico

che definisce l'andamento demografico

di due specie in competizione sullo stesso

territorio, il modello di Lotka-Volterra

detto anche modello preda-predatore,

nel quale hanno incluso le differenze tra

i livelli di sviluppo culturale delle due specie,

derivate da elementi come la forma degli

strumenti di cui disponevano e la loro

sofisticazione tecnologica.

Lo svantaggio culturale che segnò

il destino dei Neanderthal
Confronto fra il cranio di un Neanderthal 

(a sinistra) e di un uomo moderno.

Il modello Lotka-Volterra, così esteso,

ha indicato che il livello culturale che

caratterizzava gli uomini moderni al 

Loro arrivo sarebbe stato già sufficiente

per far sì che sostituissero i più numerosi

Neanderthal in un tempo medio-lungo.

A rendere ancora più veloce il processo

fu però una sorta di circolo virtuoso a

favore dell'uomo moderno.

Il vantaggio competitivo di avere manufatti

di qualità superiore avrebbe infatti garantito

una maggiore sopravvivenza, e quindi una

crescita della popolazione più elevata rispetto

ai concorrenti. A sua volta, l'incremento

della popolazione avrebbe

facilitato l'introduzione di nuovi perfezionamenti

tecnologici, aumentando quindi il divario

culturale fra i due gruppi, fino a portare

alla scomparsa della popolazione

autoctona.

 

 
 
 

I NEANDERTHAL IN SIBERIA......

Post n°1798 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

Nel genoma dell'uomo di Neanderthal

vissuto 50.000 anni fa sulle montagne

dell'Altai, in Siberia, vi erano geni di

esseri umani moderni: la sco 

Sulle montagne dell'Altai, in Siberia,

l'uomo di Neanderthal viveva già 100.000

anni fa. E nel suo genoma erano presenti

geni di Homo sapiens: ciò significa che uno

degli eventi fondamentali della nostra

evoluzione, l'incontro tra esseri umani

moderni e neanderthaliani, sarebbe avvenuto

molto prima di quanto ritenuto finora.

È questa la tesi di un gruppo di ricercatori

del Max-Planck-Institut per l'Antropologia

evoluzionistica a Lipsia guidati da Sergi

Castellano che firmano un articolo sulla

rivista "Nature".

I rami filogenetici di esseri umani moderni e

neanderthaliani si sono separati molto

anticamente: circa 430.000 anni fa secondo i

reperti fossili del sito di Sima de Los Huesos,

in Spagna, e tra 550.000 e 765.000 anni

fa secondo i resti scoperti sulle montagne

dell'Altai.

Più di recente è invece avvenuta la

divergenza tra l'uomo di Neanderthal e

l'uomo di Denisovan, un'altra specie umana

estinta, e cioè tra 381.000 e 473.000 anni fa,

secondo le stime basate sui reperti siberiani.

Più di 100.000 anni fa l'incrocio tra sapiens

e Neanderthal.

Rappresentazione artistica del DNA: le

analisi geniche hanno permesso di scoprire

antichi flussi genici tra esseri umani moderni

e neandertahaliani (Wikimedia Commons)
Dopo aver vissuto a lungo separati, Homo

sapiens e l'uomo di Neanderthal hanno

però avuto un contatto, datato a 47.000-

65.000 anni fa, che ha avuto come

conseguenza un incrocio che ha lasciato

una traccia evidente fino ai nostri giorni:

l'1-4 per cento del genoma degli europei

moderni è infatti di origine neanderthaliana.

Sergi Castellano e colleghi hanno analizzato

i genomi dell'uomo di Neanderthal e

dell'uomo di Denisovan, vissuti entrambi

sui Monti Altai, confrontandoli con due

genomi di esseri umani attuali. Oltre a ciò,

hanno analizzato le sequenze geniche

del cromosoma 21 di due individui neanderthaliani,

uno originario della Spagna e uno della Croazia.

In questo caso, sono i geni degli esseri

umani moderni

a essere stati inglobati nel genoma

neanderthaliano: una percentuale variabile

tra l'1 e il 7,1 per cento del DNA di un

individuo di sesso femminile appartenente

ai neanderthaliani siberiani, vissuto 50.000

anni fa, contiene infatti geni sapiens.

Ciò indica che in un'epoca precedente,

databile secondo i calcoli a più di 100.000

anni fa, avvenne un incrocio tra le due specie,

in particolare con una popolazione di sapiens

che lasciò l'Africa in un'epoca molto remota.

Invece, non c'è traccia di un contributo

genetico dello stesso tipo nei genomi dei

Denisovani e dei neanderthaliani occidentali.

Secondo gli autori, questa popolazione

umana moderna potrebbe aver incontrato

i neanderthaliani in Medio Oriente, dove si

pensa che sapiens e neanderthaliani fossero

presenti fin da 120.000 anni fa. Un'alternativa

è che il contatto sia avvenuto nel sud della

penisola arabica e nell'area del Golfo Persico,

dove probabilmente gli esseri umani moderni

si erano già stabiliti a quei tempi.

La scoperta costringe anche a rivedere le

tappe della migrazione di Homo sapiens

dall'Africa. "La cronologia degli incroci con

i neanderthaliani è difficile da riconciliare

con il modello dominante dell'evoluzione

umana che prevede una singola, grande

migrazione dall'Africa tra 50.000 e 60.000

anni fa", ha spiegato Adam Siepel, coautore

dello studio. "I dati supportano fortemente

l'idea di una migrazione molto precedente".

 
 
 

L'EREDITA' DEI NEANDERTHAL...

Post n°1797 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

La piccola percentuale di geni che

le popolazioni euroasiatiche hanno

ereditato dai Neanderthal influenza

il rischio di diversi disturbi fisici, come

la cheratosi, e mentali, come la

dipendenza da nicotina o la depressione.

Lo ha scoperto il primo confronto diretto

tra dati genomici e cartelle cliniche di 28.000

adulti europeI.

Il rischio di sviluppare alcuni disturbi fisici,

come la cheratosi, o mentali, come la

dipendenza dalla nicotina e la depressione,

è in parte determinato geneticamente:

responsabili di questo rischio sono in particolare

alcuni geni che abbiamo ereditato dai

Neanderthal. È quanto è emerso dal primo

studio, apparso sulla rivista "Science" a firma

di John Capra, della Vanderbilt University a

Nashville, in Tennessee, che ha confrontato

genomi e cartelle cliniche di adulti europei,

alla ricerca di correlazioni tra le patologie

dei soggetti e la piccola porzione di corredo

ereditario di origine neanderthaliana.

Fin dal 2010 è infatti noto che nel genoma

delle popolazioni euroasiatiche è presente

un "contributo" dell'uomo di Neanderthal

variabile tra l'1 e il 4 per cento, dovuto ai

contatti e gli incroci avvenuti circa 40.000

anni fa con Homo sapiens.

A partire da questo risultato, sono nate

alcune ipotesi su quali tratti degli esseri

umani moderni possano essere ereditati

dai Neanderthal: si è parlato del colore della

pelle, ma anche della suscettibilità alle

allergie o del metabolismo dei grassi.

Capra e colleghi hanno analizzato i dati clinici

di 28.000 pazienti contenuti nel database

Electronic Medical Records and Genomics

Network (eMERGE), alla ricerca di disturbi e

malattie, confrontandoli poi con i profili

genomici degli stessi soggetti. I risultati

confermano studi precedenti e dimostrano

nuove correlazioni.

"Il DNA neanderthaliano influenza i tratti

clinici degli esseri umani moderni: abbiamo

scoperto un'associazione con un'ampia

gamma di tratti, tra cui la suscettibilità

ad alcune malattie immunologiche,

dermatologiche, neurologiche, psichiatriche

e riproduttive", ha spiegato Capra, autore

senior dell'articolo.

Dipendenze e depressione? Colpa dei

geni Neanderthal
Michael Smeltzer, Vanderbilt University
Un

esempio è l'influenza del DNA neanderthaliano

sui cheratinociti, cellule che proteggono

la pelle dal danno della radiazione ultravioletta

e degli agenti patogeni. Dalla nuova analisi

è emerso che le varianti derivate dai Neanderthal

aumentano il rischio di sviluppare cheratosi,

una lesione cutanea caratterizzata dalla

presenza di cheratinociti anomali.

Più sorprendenti sono forse altre influenze

su tratti psicologici. È emerso infatti

che un breve tratto di DNA di origine

neanderthaliana aumenta in modo significativo

il rischio di dipendenza dalla nicotina, mentre

esiste una serie di varianti geniche che

influenza il rischio di depressione: alcune 

in senso positivo e altre in senso negativo.

Secondo i ricercatori, i risultati indicano

che il DNA neanderthaliano rimasto nei

genomi delle popolazioni attuali probabilmente

garantì alcuni vantaggi adattativi decine di

migliaia di anni fa, quando Homo sapiens,

proveniente dall'Africa, migrò in Eurasia, dove

trovo un ambiente molto diverso, per il tipo

di patogeni presenti e per la quantità dell'esposizione

solare. Tuttavia molti di questi tratti non sono

più vantaggiosi nell'ambiente attuale.

Una variante genica neanderthaliana,

per esempio, aumenta l'efficienza della

coagulazione del sangue. In un ambiente

preistorico, il tratto consentiva una rapida

cicatrizzazione delle ferite, impedendo le

infezioni. In un ambiente moderno, invece,

l'ipercoagulazione aumenta il rischio di ictus,

di embolia polmonare e di complicazioni

durante la gravidanza.

 
 
 

IL GENOMA PRIMITIVO...

Post n°1796 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

Tre geni fondamentali per l'immunità

innata, la prima linea di difesa del nostro

organismo contro i patogeni, hanno una

chiara derivazione dal genoma di specie

umane arcaiche come l'uomo di Neanderthal

e l'uomo di Denisova. Gli stessi geni,

scoperti da due studi indipendenti, sono

responsabili della reattività del sistema

immunitario e quindi anche dei fenomeni

d'ipersensibilità che sono alla base delle allergie.

I geni che consentono al nostro organismo

di difendersi da microbi e patogeni con cui

entriamo in contatto sono stati ereditati da

specie umane arcaiche, come l'uomo di

Neanderthal e l'uomo di Denisova.

Questi stessi geni sono però gli stessi

all'origine dei fenomeni di ipersensibilità

immunitaria che sono alla base delle comuni

allergie.

Il risultato, emerso da due studi indipendenti

apparsi sulla rivista '"American Journal of Human

Genetics", sottolinea l'importanza dei contatti

e degli incroci tra le specie nel plasmare 

L'evoluzione umana e in particolare in

quella dell'immunità innata.

L'eredità dei Neanderthal nel nostro

sistema immunitario.

Rappresentazione grafica della

distribuzione mondiale dei geni Toll-like

di derivazione neanderthaliana emersa

dagli studi (Dannemann et al./American

Journal of Human Genetics 2016)

Quest'ultima rappresenta la prima

risposta immunitaria dell'organismo

nei confronti dell'invasione di microbi

potenzialmente patogeni.

A differenza dell'immunità adattativa,

l'immunità innata ha una specificità

limitata, dal momento che è strutturata

per riconoscere solo alcune delle

molecole espresse dagli agenti

patogeni. Elementi fondamentali di

questo meccanismo sono i recettori

che riconoscono profili molecolari

(Pattern Recognition Receptor, PRR)

e tra questi, in particolare, i recettori

di tipo Toll (Toll-like Receptor, TLR).

Quintana-Murci e colleghi, autori del

primo articolo, studiano da anni l'evoluzione

del sistema innato, basandosi sulla grande

quantità di dati genetici resi disponibili dal

1000 Genomes Project e sul confronto con

le sequenze genomiche ricavate dai resti

di ominidi.

Il gruppo si è concentrato in particolare

su un insieme di 1500 geni che rivestono

un ruolo fondamentale nel sistema

immunitario innato, esaminando gli schemi

di variabilità genica di questi geni e la loro

evoluzione nel tempo, in confronto con il

resto del genoma, a partire dagli incroci

di Homo sapiens con l'uomo di Neanderthal.

studio ha rivelato che nel corso del tempo

i cambiamenti a carico dei geni coinvolti

nell'immunità innata sono stati limitati.

Alcuni geni tuttavia hanno subito una

notevole pressione selettiva, probabilmente

per effetto di un cambiamento ambientale

o di una epidemia: la maggior parte delle

modificazioni nei geni codificanti per proteine

è avvenuta negli ultimi 6000-13.000 anni,

cioè nel periodo in cui le popolazioni umane

sono passate dall'economia di caccia e

raccolta all'agricoltura.

Questa pressione selettiva ha favorito

alcune varianti, diventate a un certo

punto molto più frequenti. Con grande

sorpresa, Quintana-Murci e colleghi

hanno scoperto che tre specifici geni

che codificano per i recettori di tipo Toll,

denominati TLR1, TLR6 e TLR10, sono tra

quelli che presentano le maggiori influenze

neanderthaliane, sia nei genomi europei

sia in quelli asiatici.

Nel secondo studio, Kelso e colleghi

sono arrivati alla stessa conclusione

nell'ambito di una ricerca sull'importanza

funzionale dei geni ereditati da specie

umane arcaiche. Sono partiti da uno

screening del genoma umano attuale

cercando estese regioni con un'elevata

somiglianza con i genomi dell'uomo di

Nenaderhal e dell'uomo di Denisova, e

hanno poi esaminato la prevalenza di queste

regioni in soggetti di tutto il mondo, scoprendo

gli stessi geni TLR individuati da Quintana-Murci

e colleghi. Due di queste varianti geniche

sono di chiara derivazione neanderthaliana,

mentre la terza è riconducibile al genoma

di Denisovan.

Dallo studio sono emerse prove del fatto che

questi geni offrono un vantaggio selettivo:

le varianti arcaiche sono associate a un

incremento dell'attività dei geni TLR e a

una maggiore reattività nei confronti dei

patogeni. Questa maggiore sensibilità può

offrire una maggiore protezione dalle infezioni,

ma espone al un maggior rischio di allergie.

 
 
 

ANCORA NEANDERTHAL...

Post n°1795 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

Uno dei più antichi esseri umani

anatomicamente moderni trovati

finora in Europa, vissuto tra 37.000

e 42.000 anni fa, aveva antenati

neanderthaliani appena quattro-sei

generazioni prima. Lo rivela l'analisi

genetica della sua mandibola, scoperta

in Romania nel 2002, dimostrando che

gli incroci tra Homo sapiens e Neanderthal

sarebbero più recenti di quanto si credeva

Il mescolamento tra Homo sapiens e

Neanderthal è più recente di quanto stimato

finora: lo rivela l'analisi genetica di una

mandibola appartenente a uno dei più antichi

esseri umani moderni scoperti in Europa.

L'individuo, vissuto tra 37.000 e 42.000 anni fa,

aveva infatti antenati neanderthaliani non più

remoti di quattro-sei generazioni, secondo

l'articolo pubblicato su "Nature" da Svante

Pääbo del Max-Planck-Institut per l'Antropologia

evoluzionistica a Lipsia e colleghi di un'ampia

collaborazione internazionale.

Tra 45.000 e 35.000 anni fa, gli esseri umani

anatomicamente moderni si diffusero in tutta

Europa, mentre i neanderthaliani, che si

trovavano nel continente già da 250.000 anni,

scomparivano gradualmente. In questo

quadro generale, definito grazie agli studi

degli ultimi decenni sul materiale genetico di

antichi reperti fossili, mancano però i dettagli,

riguardanti soprattutto i contatti e l'ibridazione

tra le due specie.

Trisavoli neanderthaliani per uno dei primi europei

La mandibola, molto ben conservata, di

Oase 1 (Credit: Svante Pääbo, Max Planck

Institute for Evolutionary Anthropology)

Un primo dato certo riguarda la cronologia

di questo mescolamento, che avvenne tra

37.000 e 86.000 anni fa, probabilmente

in varie fasi. Un secondo dato è che i

neanderthaliani hanno contribuito al genoma

dell'essere umano moderno per una

percentuale compresa tra l'1 e il 3 per cento,

ma solo per quel che riguarda le popolazioni

che vivono attualmente al di fuori dell'Africa

sub-sahariana, il che depone a favore dell'ipotesi

il mescolamento con i Neanderthal avvenne

lontano dal continente africano.

Tuttavia, dalle analisi dei genomi di esseri

umani attuali, non finora erano emerse prove

dirette che questo mescolamento fosse

avvenuto in Europa, benché i neanderthaliani

fossero molto diffusi nel continente e le occasioni

di contatto fossero quindi numerose.

Indicazioni

più precise sarebbero invece potute venire dai

genomi di esseri umani antichi, ed è per questo

che Pääbo e colleghi hanno analizzato l'intero

genoma della mandibola di un individuo,

Oase 1, risalente a un'epoca compresa tra 37.000

e 42.000 anni fa, trovato nel 2002 in Romania,

nel sito di Pestera cu Oase. Si tratta di uno dei

più antichi Homo sapiens vissuti in Europa:

la sua morfologia è generalmente moderna,

ma conserva ancora alcuni tratti della sua

ascendenza neanderthaliana.

Le analisi mostrano che una percentuale

variabile tra il 6,0 per cento e il 9,4 per cento

del genoma di Oase 1 deriva dai Neanderthal:

si tratta di una percentuale più alta di quella

trovata da qualunque altro studio su genomi

di esseri umani moderni.

Gli autori hanno anche scoperto che Oase

1 era geneticamente più simile alle popolazioni

del sud-est asiatico e ai nativi americani che

agli europei attuali. Ciò indica che faceva parte

di una popolazione che si incrociò coi Neanderthal

ma non contribuì alle popolazioni europee successive.

 
 
 

ANCORA I NEANDERTHAL...

Post n°1794 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

Il simbolismo dei Neanderthal

La cultura proto-aurignaziana,

diffusa nell'Europa del sud circa

40.000 anni fa, è da attribuire

all'essere umano anatomicamente

moderno, e non all'uomo di Neanderthal.

È quanto emerge dall'analisi di due denti

incisivi fossili ritrovati nelle grotte di

Fumane, in provincia di Verona, e di

Riparo Bombrini, nel sito dei Balzi Rossi,

in provincia di Imperia. Secondo gli

autori, questa cultura potrebbe aver

innescato la scomparsa dei neanderthaliani

circa 39.000 anni fa(red)

paleontologiaantropologia

I denti fossili ritrovati in due importanti

siti italiani della cultura proto-aurignaziana,

apparsa nell'Europa meridionale, centrale

e occidentale circa 42.000 anni fa, in

coincidenza con la scomparsa dei Neanderthal,

appartenevano a esseri umani anatomicamente

moderni. E' questo il risultato di uno studio

pubblicato su "Science" da Stefano Benazzi

dell'Università di Bologna e colleghi di diversi 

Istituti paleontologici italiani e stranieri,

che mette fine, forse in modo definitivo,

a un lungo dibattito su quale fosse la specie

umana responsabile di questa cultura.

La cultura aurignaziana, che prende il

nome dal sito di Aurignac, nel sud della

Francia, è la cultura meglio conosciuta

tra quelle associate alla diffusione degli

esseri umani anatomicamente moderni,

ed è datata tra 45.000 e 35.000 anni fa.

La cultura proto-aurignaziana, non

sempre precedente l'aurignaziana

nonostante il nome, è ben rappresentata

nell'Europa meridionale in siti in cui sono

state ritrovate lame in pietra e semplici

ornamenti personali.

L'alba dell'uomo moderno e il declino

dei Neanderthal

Modelli digitali tridimensionali degli

incisivi analizzati nello studio, ottenuti

con una tecnica di microtomografia

computerizzata (Cortesia Daniele

Panetta, Istituto di fisiologia clinica

del CNR di Pisa)
La distinzione fondamentale tra le due

culture fu definita dal paleontologo Georges

Laplace nel 1966, e si basa sulle tecniche

di produzione di utensili litici.

Nella cultura aurignaziana, esistevano infatti

due tecniche distinte per produrre lame di

grandi dimensioni e lamelle. Gli artefatti

proto-aurignaziani, spesso trovati nell'area

mediterranea, sono invece caratterizzati

da una singola sequenza di scheggiatura

della pietra per produrre sia lame sia lamelle.

Inoltre, la cultura aurignaziana ha prodotto

grandi quantità di ornamenti personali,

rappresentazioni figurative e immagini mitiche,

oltre a strumenti musicali, mentre la proto-

aurignaziana è caratterizzata da una

produzione di utensili molto più limitata.

Tuttavia, malgrado la ricchezza di

reperti fossili attribuiti alla cultura proto-

aurignaziana, finora le prove non avevano

permesso di stabilire se questa cultura fosse

da attribuire all'uomo di Neanderthal oppure

all'Homo sapiens anatomicamente moderno.

Benazzi e colleghi hanno analizzato i resti

fossili di due denti incisivi, risalenti a 41.000

anni fa, ritrovati in due differenti siti archeologici:

la Grotta di Fumane, in provincia di Verona, e

quella di Riparo Bombrini, nel sito dei Balzi

Rossi, in provincia di Imperia. Grazie a una

tecnica di microtomografia computerizzata

che ha permesso di ottenere un modello

digitale tridimensionale dei denti, hanno v

alutato in primo luogo lo spessore dello smalto,

considerato un parametro discriminante tra

neanderthaliani ed esseri umani anatomicamente

moderni. I risultati depongono a favore di

questi ultimi.

Inoltre, uno dei due reperti ha permesso di

recuperare DNA mitocondriale, materiale

genetico che si trasmette per via matrilineare.

Questo DNA è stato confrontato con quello di

esseri umani moderni attuali, di esseri umani

antichi, dell'uomo di Neanderthal, dell'uomo

di Denisova e infine dello scimpanzé.

l confronto ha confermato che gli incisivi

appartenevano a esseri umani moderni, che

quindi sono da considerare i responsabili

della cultura proto-aurignaziana.

Poiché i neanderthaliani scomparvero

dall'Europa occidentale circa 39.000 anni fa,

ipotizzano Benazzi e colleghi, la cultura

proto-aurignaziana potrebbe aver innescato

il loro declino.

 
 
 

ALTRI LIBRI DA LEGGERE....

Post n°1793 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

I 15 romanzi italiani

più belli del secolo

Titolo impegnativo. In realtà è una

selezione molto personale. Una pesca

a setaccio nel cassetto dei ricordi.

Da prendere con un po' di ironia

- 25 maggio 2018

Questo è un articolo-selezione che si

arricchisce di altri cinque titoli. Michele

Lauro li ha aggiunti a quelli che avevamo

marchiato, con un po' di ironia arricchita

però da scelte rigorose, come "i più belli

di questo secolo" (peraltro incominciato

da poco, quindi lo sviluppo e le aggiunte

sono inevitabili). Ora dunque ne abbiamo 15.

I primi che trovate qui sotto sono le

nuove aggiunte, precedute da una piccola

introduzione. Poi ci sono gli altri dieci,

scelti nel 2016.

POST-ILLA 2018

Il gioco prosegue in un mercato

editoriale che sembra confermare

l'evoluzione di una Editoria senza editori,

come intitolò il suo saggio di inizio millennio

André Schiffrin. Oltre 60.000 titoli l'anno

pubblicati in Italia: l'omologazione dell'industria

culturale coincidente con la rarefazione

dei lettori e con un bisogno crescente di

scelte, suggerimenti, selezioni, suggestioni.

Per chi volesse allargare il raggio delle

scintille provenienti dalla rete, segnalo

tre opere critiche brillanti e illuminate che

indagano il panorama della narrativa

contemporanea spingendosi con coraggio

fino alle soglie del presente: La terra della

prosa di Andrea Cortellessa (2014), dedicato

ai narratori italiani degli anni zero (1999-2014),

Il romanzo italiano contemporaneo di Carlo

Tirinanzi De Medici (2018), ricognizione

critica dagli anni Settanta a oggi, e La letteratura

circostante di Gianluigi Simonetti (2018),

che abbraccia in un'unica, ampia visione

narrativa e poesia dell'Italia contemporanea.

La vita in tempo di pace, di Francesco Pecoraro (2013)

Storia, natura, filosofia, scienza e fantascienza

partecipano all'architettura di un romanzo-saggio

poderoso, ambizioso, disturbante, manifesto

del decadentismo europeo di fine Novecento

ed esegesi degli ultimi sessant'anni di storia

italiana: il tempo di pace, appunto.

Attraversa questo tempo un antieroe dai tratti

vagamente sveviani, il settantenne Ivo

Brandani, "vecchio maschio silente" che in

un futuro prossimo si trova imprigionato per

caso nell'aeroporto egiziano di Sharm el Sheik.

La condizione di attesa nel non-luogo per

antonomasia diventa lo spazio ideale per

una riflessione: cosa nell'arco della mia

esistenza ha resistito alla cancellazione

del tempo?

Il tedium vitae di Ivo, ingegnere appassionato

di aerodinamica dei velivoli da guerra, nevrotico,

insicuro, ossessivo, abbandonato alla panacea

chimica del Tavor, si manifesta nell'incontro-

scontro fra l'armonia della matematica e il

caos del mondo reale, e nello scacco

affettivo dovuto alla generale ostilità del

genere umano. I quadri esistenziali scorrono

sullo sfondo di una società - l'Italia del dopo-

guerra - fondata prima sul miracolo economico

e poi sulla finzione del cambiamento, con la

massa dei piccolo-borghesi che avevano

creduto nella rivoluzione soggiogati dal potere

e dall'eros tanto quanto i potenti che aveva

creduto di combattere. È una visione mostruosa,

orwelliana e insieme iperrealistica: lo scannarsi

di tutti contro tutti, schiavi del desiderio,

assuefatti alle leggi del consumo.

Ma nella notte di Roma, antica culla di civiltà

preda del darwinismo sociale, abbagliano

qua e là paesaggi e atmosfere purissime.

Memoria di una bellezza e di una giovinezza

estinte, rimembrate in pagine commosse.

Francesco Pecoraro
La vita in tempo di pace
Ponte alle Grazie
509 pp.

PUBBLICITÀ

Le otto montagne, di Paolo Cognetti (2016)

Raro caso in cui la buona letteratura

diventa quasi subito un successo decretato

anche da tanti giovani lettori, sfatando

perfino il tipo di diffidenza con cui Giorgio

Manganelli era solito accogliere l'imprevisto

bestseller ("mi insospettisce... ci dev'essere

qualcosa che non va"), è un romanzo molto

fisico che poggia su un substrato spirituale

profondo, nel solco delle grandi storie di

formazione, virato sul doppio registro

ambientale ed esistenziale.

Città e montagna - e il viaggio di andata e

ritorno dall'una all'altra - sono come in tutte

le storie di Cognetti la metafora dell'uomo

che fatica a venire a patti col suo stare al

mondo: le crepe nei legami familiari, i figli

che si ritrovano sulle tracce dei padri proprio

mentre pensavano di averla scampata, il

desiderio di fuga dalla civiltà urbana che

è poi fuga da sé stessi, da quell'io che non

ci appartiene più. E come l'intenso diario

che l'ha preceduto, Il ragazzo selvatico,

Le otto montagne si pone agli antipodi

della bucolica lucreziana.

È popolato da stambecchi e volpi, mucche

cani pastori in antica simbiosi. Ci sono tronchi,

scarpate, baite e ruscelli. Si prova la libertà

di andare dove non c'è il sentiero e la

commozione per le "cose fondate sulla

propria forma e basta", come diceva in un

verso Seamus Heaney. Ma è un attimo

scivolare sul ghiaccio come dentro il disagio

e la fatica, cedere alla spossatezza per

l'interminabile inverno, per le relazioni

inevitabilmente spezzate. Nel finale, lo

scrittore apre lo sguardo a Oriente - l

e valli del Nepal - dove la montagna non è

matrigna né madre né un'icona da conquistare

o riconquistare, ma semplicemente la giostra

del tempo in cui un'umanità senz'ansia di futuro

ruota da sempre. Lo spunto perfetto per un

nuovo racconto.

Paolo Cognetti
Le otto montagne
Einaudi
208 pp.

Neve, cane, piede, di Claudio Morandini (2016)

Romanzo breve sospinto a una breve

notorietà dalla brezza del passaparola,

narra una storia di eremitaggio e poi di

convivenza forzata fra uomo e cane, in

una valle aspra di montagna preclusa ai

camminatori della domenica. È il cane

che ha scelto l'uomo, Adelmo Farandola,

un vecchio scontroso che si è ritirato in

baita, insensibile alla dignità alla memoria

e agli odori che fanno di un uomo un uomo.

Il cane invece ricorda tutto e annusa tutto.

Con pazienza la coppia aspetta la fine

dell'inverno raschiando il sudiciume dalle

stoviglie e ingaggiando una sfida quotidiana

contro i nemici dell'alta montagna: Freddo

Fame Sonno. Dialoghi plausibilissimi tra

bestie (tra uomo e bestia) violano il silenzio

delle pietraie, scompigliando i contorni tra

sogno e realtà in una zona franca appena

sfiorata dai borborigmi del ghiaccio.

Finché il rito del disgelo tinge la fiaba prima

del bianco - una slavina arriva ad annunciare

l'ubriacatura del rinnovamento - e poi del

nero, e una misteriosa sagoma pian piano

prende forma là dove sembrava esserci

soltanto neve. Sospesa tra immanenza e

metafisica, claustrofobia e vertigine, inquietudine

e rassegnazione, questa fiaba ha generato

nel 2017 un aguzzo spin off intitolato

Le pietre, sempre ambientato in montagna

e ugualmente chirurgico nello smascherare

l'idealità compromessa della wilderness al tempo

del global warming e del turismo di massa.

Claudio Morandini
Neve, cane, piede
Exòrma
138 pp.

Kobane Calling, di Zerocalcare (2016)

Romanzo grafico dallo straordinario spessore

umano e artistico, racconta i due viaggi nel

Kurdistan siriano-iracheno del fumettista

di Rebibbia (novembre 2014 e luglio 2015):

facce, scarabocchi e parole dedicate a un

popolo che ormai da tempo lotta per la

liberazione dagli oppressori turchi e contro

l'avanzata del Califfato. Un nonreportage,

così l'ha chiamato l'autore, che sarebbe

piaciuto a Tiziano Terzani, maestro di giornalismo

sul campo la cui militanza contro le ingiustizie

si è sposata con la ricerca di sé. Questo

doppio registro, consueto nelle opere di

Zerocalcare, in Kobane Calling raggiunge

forse l'acme della poesia, rimanendo fedele

a un linguaggio punk fatto di dialoghi ficcanti,

immagini nette, similitudini abrasive ("sei mai

stato a Mediaworld la mattina del 24 dicembre?

ecco, la porta di Semelka, al confine

con la Siria, è così. Moltiplicato per mille")

con cui l'autore introduce alla cultura sociale

curda: un confederalismo democratico

radicale basato sul diritto alla vita, sulla

convivenza pacifica di etnie diverse, s

ull'uguaglianza di donne e uomini.

L'attraversamento del Tigri per entrare

in Rojava su una piccola barca a motore

è fra i momenti più emozionanti.

Di là ci sono lo stesso fiume, gli stessi 50

gradi, lo stesso niente intorno. Eppure

qualcosa è diverso. Saranno gli occhi di

Ezel che brillano come quelli di una che sta

tornando a casa, o forse "sarà il fatto che

abbiamo attraversato mezzo mondo,

preso aerei, pullman, barche... contro

i pareri di quasi tutti quelli che conoscevamo...

" In una tavola emblematica Kobane è

ritratta dal tetto di un palazzo, con un cuore-

cattedrale che pulsa in mezzo alle case

scalcinate e alle macerie. Un cuore pieno

di toppe, di cicatrici. Un cuore enorme.

Come se in quella tragedia che non

raccontano più nemmeno i telegiornali,

come se nell'altrove più altrove vedessi

improvvisamente anche te stesso,

rannicchiato insieme agli altri esseri

umani sulla faccia della terra.

Se c'è un messaggio celato in questo

libro d'avventure anche interiori, un

messaggio completamente antiretorico,

è che per trasformare la nostra mentalità,

cioè liberarsi dai clichè, dai condizionamenti,

è meglio non accontentarsi di idealismi

prefabbricati ma uscire dal recinto, andare

a vedere di persona la vergogna dell'umanità

in uno dei tanti musei a cielo aperto.

Per tornare col dubbio che forse, di

quello che è stato lasciato accadere,

siamo un po' tutti responsabili.

Zerocalcare
Kobane Calling
Bao Publishing
261 pp.

Bella mia, di Donatella Di Pietrantonio (2013-2018)

Ripubblicato nel 2018 con una post-

fazione dell'autrice che nel frattempo

ha (meritatamente) vinto il Campiello

2017 con L'arminuta, è ambientato

a L'Aquila, città sfasciata da quella

"epilessia della terra insorta" che nel

2009 lasciò molti sopravvissuti - come

la protagonista di questa storia - in

balia di una vita provvisoria fatta di

acronimi, nevrosi, rimpianti.

Fra le crepe dei palazzi, un ragazzo

riccioluto con la maglietta dei Nirvana

si presenta a Caterina, chiamata dal

destino a elaborare il lutto per la perdita

della gemella e insieme a sostituirla

nel ruolo più insostituibile: la madre di

un adolescente. In un climax ad alta

tensione emotiva, prende forma un

malessere ben più antico della sciagura

sismica, legato all'archetipico scontro tra

femminilità e sorellanza. Un malessere

arcaico che si accompagna alla vergogna,

al senso di colpa per l'ingiustizia della

sopravvivenza, come accade quando il disegno

del caso appare così insensato e crudele.

Ispirato da una canzone popolare abruzzese,

Bella mia riesce nel piccolo miracolo di

tramutare l'angoscia in consapevolezza

("ho amato mia sorella come la parte di me

che non sono riuscita a essere") e la solitudine

in una alleanza di esseri viventi (esseri umani,

animali) dentro lo stesso paesaggio ferito.

Anime rattrappite, traumatizzate, con la

naturale propensione alla socievolezza

ridotta a un lumicino sottile, da tenere

acceso a ogni costo. Così la mitopoiesi

del sisma si trasforma in un grido collettivo

d'amore.

Donatella Di Pietrantonio

 
 
 

ALTRI LIBRI DA LEGGERE....

Post n°1792 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

È un gioco con le pedine di Alta fedeltà

e una pesca a setaccio nel cassetto dei

ricordi: ciascuno di questi romanzi

possiede quella misteriosa scintilla che

è rimasta accesa nella memoria di un

lettore, la mia.

Insieme a molti altri, testimoniando forse

la salute della narrativa italiana

contemporanea.

Prendetelo con l'ironia che Luciano Bianciardi

profuse nelle sue lezioni per diventare un

intellettuale, "dedicate in particolare ai

giovani privi di talento". Pubblicate a puntate

nel 1967 sulla rivista ABC, qualche anno fa

sono state raccolte da Stampa alternativa

in una deliziosa antologia dal titolo che mi

sento di condividere: Non leggete i libri,

fateveli raccontare.

Io non ho paura, di Niccolò Ammaniti (2002)

Non è strano digitare oggi su Google il

nome di questo libro e trovare ai primi

posti i siti di riassunti scolastici? Il secondo

romanzo di Niccolò Ammaniti ebbe un

fulmineo passaggio al rango di classico:

alle medie gli insegnanti lo consigliano

fra i libri per l'estate, accanto ai vari Tom

Sawyer e Barone rampante. E allora

leggiamolo oppure rileggiamolo, da genitori,

che a raccontarlo per immagini ci ha già

pensato il bel film di Gabriele Salvatores 

a cui lo stesso autore ha contribuito per

la sceneggiatura. L'estate infuocata di

un borgo del sud Italia sorprende nel

1978 Michele, nove anni, con un segreto

terribile che segnerà per sempre la  sua

infanzia. Al ritmo serrato di una pedalata

col cuore in gola su un dirupo, l'autore

esplora i meccanismi psicologici della pubertà

e le dinamiche di gruppo, costantemente

in bilico fra voglia di trasgressione e un

disperato bisogno di normalità, fino alla

drammatica scoperta che il mondo degli

adulti non ha proprio le sembianze del 

paradiso.

Un romanzo di contrasti accecanti - le

paure immaginarie dell'infanzia e la crudeltà

reale del mondo, la forza dell'amicizia e la

miseria del tradimento, la luce del giorno

e il buio della notte, il dramma sociale e

quello quotidiano - dove pensiero e

azione si danno il cambio in un serratissimo

 continuum narrativo. Memorabile l'incipit

con la sequenza cinematografica delle

biciclette che sfrecciano fra i campi di

grano, i ragazzi che il protagonista vede

salire sulla cima la collina "lasciandosi

dietro una coda di steli abbattuti".

E il finale che rimanda al misterioso,

inscindibile legame tra padre e figlio.

Niccolò Ammaniti
Io non ho paura
Einaudi
219 pp.

Viaggio nel cratere, di Franco Arminio (2003)

Certi paesi sono letteratura e come tali

non interessano più a nessuno. Nessuno

tranne Franco Arminio da Bisaccia, poeta

e scrittore ribattezzatosi paesologo che

con questo viaggio - incollocabile fra i

generi letterari - introduce a una scienza

nuova che forse è sempre esistita, sul

confine tra geografia e metafisica. Una

scienza difettosa, confessa il suo artefice,

"che consente di perdere tempo senza

sentirsi fuori dalla corsa". I paesi dell'Irpinia

terremotata vi appaiono nelle sembianze

di grumi di case in bilico, frammenti di un

catalogo in estinzione. Nelle vie e nelle

piazze, nei bar e nei circoli, nelle stanze

diroccate dei borghi, nella compostezza

introversa dei volti chi non si aspetta

niente c'è la fotografia di quella stagione

dell'esistenza in cui capiamo che non

saremo più felici.

Ma nella prosa di Arminio i paesi sono

come fiocchi di neve: improvvisamente

prendono vita in un dettaglio qualunque

(il mio preferito: l'uomo di Montaguto che

di mattina fa il postino e di pomeriggio il

barbiere a domicilio) finché l'infinito disfarsi

delle cose e del mondo acquista una

dimensione onirica, rarefatta, universale.

È un romanzo capace di descrivere il sisma

della modernità omologatrice con antenne

di rara percezione. L'impegno civile, ibridato

con la poesia, stempera nella luce e nel

silenzio ogni equivoco di nostalgia, lasciando

il lettore in balia di un vaga urgenza di partire.

Franco Arminio
Viaggio nel cratere
Sironi
185 pp.

Un altro giro di giostra, di Tiziano Terzani (2004)

Il lascito di Tiziano Terzani, morto poco

dopo la sua pubblicazione, è uno dei libri

a cui mi capita di tornare più spesso.

Mi fa l'effetto, aprendolo a caso, di staccarmi

da terra e per un attimo alzarmi in volo,

improvvisamente percepire il mondo da

una prospettiva. E ritrovare serenità.

Gli ultimi sette anni di vita del giornalista-

scrittore fiorentino, palpitanti di passioni,

impegno civile e spirituale, ironia e amore,

rappresentano la summa delle grandi

domande sull'identità del genere umano

e contengono i semi di una rivoluzione

"dal piccolo al grande". "Un libro su quel

che non va nelle nostre vite di uomini e

donne moderni e su quel che è ancora

splendido nell'universo fuori e dentro di noi":

scritto nell'istante che precede il distacco.

Malato di cancro, Terzani si mette in cammino

alla ricerca di una cura per il corpo e per la

mente. In una serie di memorabili incontri

passa in rassegna il campionario sterminato

di rimedi messi a punto nel tempo dalle culture

d'Occidente e d'Oriente.

Poi la svolta, la presa di coscienza che

"la vita e la morte sono due aspetti della

stessa cosa". Terzani si prepara a lasciare

 il corpo vecchio indossando i panni di Anam

il senzanome, in compagnia di un vecchio 

sadhu. Pare ancora di sentirla, la sua risata

contagiosa. La morte? Eccomi qui, senza

paura, senza rancore. Nel libro è contenuto

anche il senso profondo dell'idea di non

violenza alla base delle Lettere contro la guerra,

pubblicate nel 2002 come risposta alla

deriva occidentale dopo l'11 settembre:

un'idea che nel pensiero orientale non

significa soltanto "non uccidere", ma

concepire gli altri come parte di un tutto

di cui noi stessi facciamo parte. L'idea 

di quel cambiamento radicale delle coscienze

che Terzani ha consegnato ai posteri

insieme alla favola della propria vita.

Tiziano Terzani
Un altro giro di giostra
Longanesi
578 pp.

Gomorra, di Roberto Saviano (2006)

Quattro citazioni emblematiche introducono

il romanzo d'inchiesta che ha squassato la

moderna narrativa italiana, best seller 

internazionale, e ne anticipano l'ambizione

etica, storico-politica, sociale e sociologica,

economica e antropologica: Hannah Arendt, 

Macchiavelli, l'Al Pacino di Scarface e una i

ntercettazione telefonica ("La gente sono

vermi e devono rimanere vermi").

Al decadimento morale e umano della città

biblica cui allude il titolo si aggiunge la

spettacolarizzazione mediatica della rete

criminale protagonista del romanzo, la

camorra divenuta impero e sistema alternativo

allo Stato nel quale si è insinuato come un

cancro profittando del liberismo senza

regole che governa l'economia di mercato.

Ma si può leggere Gomorra come un

"semplice" romanzo d'avventure? Sì,

anche se non ci sono dialoghi né una

vera e propria trama, né personaggi-eroi

né tutto sommato quasi mai suspence.

Raccontato per sequenze, come un film

a episodi (seguiranno appunto uno

spettacolo teatrale, il crudo lungometraggio

di Matteo Garrone e una popolare serie

televisiva), Gomorra coinvolge e disturba,

emoziona e inquieta, eccita e sconcerta -

diversamente per esempio da un vecchio

capolavoro di mafia come Il padrino di Mario

Puzo (1969) - soprattutto per il profilo

underground e per l'ossessiva tensione

mimetica, quasi messianica della voce narrante

nella terra del peccato. "Maledetti bastardi,

sono ancora vivo!" Dopo dieci anni di minacce

reali da parte della camorra, l'urlo liberatorio

con cui si chiudeva il romanzo è l'espressione

di un tragico cortocircuito in seno alla nostra

società. Dal reale alla fiction, e ritorno.

Roberto Saviano
Gomorra
Mondadori
333 pp.

Il tempo materiale, di Giorgio Vasta (2008)

Nel paesaggio geroglifico di una Palermo

scostumata e scrostata, fradicia di conformismo

e ataviche assuefazioni, tre ragazzini

undicenni si costruiscono un'iniziazione privata

replicando nel microcosmo di provincia

la deriva violenta dell'utopia nel terribile

1978, l'anno dell'assassinio di Moro

da parte delle Br. La "costruzione

dell'odio geometrico" procede verso

la disfatta in una foresta di allegorie

che usano l'immaginario collettivo di fine

Settanta - televisione, fumetti, politica,

perfino i mondiali di calcio con l'indio

Passarella nei panni di eroe - come

una trappola antinostalgica, un frullato

al veleno.

Quello che cerco, scriverà poi Vasta in

un passo del successivo romanzo 

Spaesamento, è la "metamorfosi della

malinconia in una rabbia adulta che sia

coraggiosa e corra il rischio del dolore":

nel Tempo materiale il lettore la trova a

patto che accetti la pugnalata senza

filtro di un linguaggio abrasivo come

una rasoiata punk. Un linguaggio 

divenuto polimorfo evocatore di sensi

(con alcune vette espressive come la

genia di neologismi, da alfamuto a pornonido)

e metafora di quello "spaventoso esercizio

di controllo sulle cose" che la fissazione

prepuberale del protagonista Nimbo

aveva confuso con l'ingresso nel mondo

adulto. Avevo voglia di essere colpevole,

dice nel punto chiave: colpevole di linguaggio.

Giorgio Vasta
Il tempo materiale
minimum fax
276 pp.

Accabadora, di Michela Murgia (2009)

Le prime sette pagine di questo romanzo,

il capitolo primo, sono la folgorante introduzione

a una storia misteriosa e bella, bella "come

lo sono a volte le cose cattive". Maria e

Tzia Bonaria. Fill'e anima la prima, una

figlia acquisita strappata alla miseria della

famiglia naturale; madre acquisita la

seconda, una madre nuova ma vecchia,

portatrice di un sapere sciamanico che

l'ha eletta ad accabadora dell'immaginario

paese di Soreni: colei che aiuta nel trapasso.

Sullo sfondo polveroso della Sardegna, isola

-archetipo di simbologie, allusioni, patti taciti

e trame millenarie, Murgia ricama "pensieri

che non sopportano la luce piena", mescolando

poesia e coraggio nel frantumare tabù sul

senso della vita, dell'amore e della morte.

Un romanzo di sensazioni fisiche che odora

di gueffus, pietra a secco e terra impastata

col fango, anticipatore di questioni divenute

oggi finalmente cruciali non solo per le

coscienze ma anche per i legislatori: quelle

legate alla supremazia (biologica o culturale?)

dei codici che regolano i rapporti affettivi della

nostra specie, come il diritto di amare ed

essere amati senza essere discriminati.

Michela Murgia
Accabadora
Einaudi
165 pp.

Il signore delle lacrime, di Antonio Franchini (2010)

È un romanzo che si confronta - in realtà

sottraendosi al confronto, l'autore dichiara

fin da subito il suo status di "turista" - con

i reportage dall'India dei grandi narratori-

viaggiatori novecenteschi: Pasolini, Moravia,

Manganelli, Tabucchi. Rimane nel cuore

come una promessa e come una spina:

oh l'India che attrae e repelle, cassaforte

di umanità e fabbrica di mitologie, sterco

di vacca e braci di scheletri, tigre del

progresso e avvoltoio corrotto, potenza

nucleare e baluardo della mitezza universale.

Franchini cede a questa antica mitopoiesi

e parte per Delhi con due amici francesi

appassionati di fotografia, affetti dalla

classica ipercinesi da pillola esotica.

Da Varanasi a Rishikesh lo sguardo

del viaggiatore riluttante a poco a poco

diventa memoria, meditazione, racconto.

Un libro il cui fascino proviene anche dal

substrato teoretico insieme aperto e

apodittico, con il controcanto affidato,

come fosse un sitar, a brevi citazioni

delle Upanishad e altre sacre scritture

dell'induismo, "musica di fondo" a spezzare

splendori e miserie del passaggio in India

di un occidentale qualunque. Priva di una

morale e di un senso definitivo, la narrazione

segue un ritmo ipnotico e circolare, come

inscritta nell'incessante scorrere della

vita nella quale frullano altrettanto

incessantemente i ricordi e i pensieri

sulla vita e la morte, la paternità, l'eros,

il destino, il tempo. Che è poi l'eredità

forse più autentica e sincera dell'India,

per chi l'ha saputa viaggiare: lasciar fluire

il dolore cioè accettare la sfida di Siva,

l'asceta erotico, "colui che fa piangere

ma anche colui che piange". Assistere

per un istante alla corazza dell'io che 

si sfalda, e stare a vedere cosa succede.

Antonio Franchini
Signore delle lacrime
Marsilio
128 pp.

Mandami tanta vita, di Paolo Di Paolo (2013)

Una carica d'innocenza, un intimo

idealismo, un indomito sussulto

vitale pervadono questo romanzo

ispirato dalla figura storica di Piero

Gobetti, icona antifascista della cui

dimensione privata è in atto una

riscoperta culminata nell'antologia 

Avanti nella lotta, amore mio!, curata

dallo stesso Di Paolo. Nella Torino

degli anni Venti le esistenze di

Piero e Moraldo, due ragazzi

dall'approccio alla vita diametralmente

opposto, sembrano legate da un filo

invisibile e misterioso. Ne seguiamo

gli andirivieni da Torino a Parigi,

mentre i fascisti al potere imbrigliano

le coscienze dando il la alla grande

allucinazione collettiva.

Storia e finzione si compenetrano

con leggiadria a disegnare l'arco della

 giovinezza come l'età magica -

dolorosamente magica - della vita,

quella in cui il potere della creazione

è puro come la luce del primo mattino

ma anche quella che getta le basi per

il male di vivere. Quand'è che, senza

farci caso, diventiamo la maschera di

noi stessi? si domanda Moraldo e

intanto proietta l'immagine di sé in

quella di Piero, l'uomo prigioniero

della sua giovinezza, l'inscalfibile

combattente che stipò "dentro

ventiquattro anni ciò che altri non

riescono a compiere in una vita lunga il triplo".

Paolo Di Paolo
Mandami tanta vita
Feltrinelli
158 pp.

La gemella H, di Giorgio Falco (2014)

È un romanzo generazionale pieno di

malinconia euforica, simile al pensiero

del mare nell'estate che deve ancora

venire. Un giovane giornalista bavarese

mette su famiglia in una cittadina di

provincia poco prima dello schianto

del Reich, cui aveva aderito per

conformismo borghese o forse solo

per ambizione economica.

L'azione si sposta poi vorticosamente

nella Milano livida del dopoguerra e

infine sulla riviera romagnola, dove il

capostipite Hans dopo la morte della

moglie ricostruisce una vita per sé e

per le figlie Helga e Hilde. Un nuovo

mondo sotto la cappa oscura della

dimenticanza, accordato al ritmo

della ricostruzione che addomestica 

la natura col cemento, la televisione,

i rituali del consumo.

La storia è ricostruita in un lungo 

stream of consciousness dalla più

fragile e sensibile delle gemelle,

Hilde, per il cui destino inquieto

si parteggia con passione. Replicare

nella sfera economica e finanziaria

le dinamiche totalitarie applicate ai

rapporti lavorativi e familiari:

ricominciare a vivere significa, purtroppo,

anche questo. Mentre la sua morale non

lascia scampo, La gemella H è in realtà un

romanzo eccezionalmente denso di rimandi,

luoghi, immagini, visioni, digressioni e

trasgressioni: da togliere il fiato.

Giorgio Falco
La gemella H
Einaudi
354 pp.

La ferocia, di Nicola Lagioia (2014)

Capitolo finale di una trilogia iniziata

con i precedenti Occidente per principianti

(2004) e Riportando tutto a casa (2009),

trasfigura in termini narrativi gli ultimi

trent'anni di storia italiana, applicando

a tutto campo il concetto di ferocia:

dal particolare all'universale e viceversa,

squadernandoci così davanti agli occhi,

con un pizzico di ferocia, com'è che va il

nostro mondo. La dinastia dei Salvemini,

potenti costruttori baresi, viene sconvolta

dalla morte della trentenne primogenita,

Clara. Sul canovaccio noir lo scavo nella

psicologia delle persone - su tutti quella

della sfuggente protagonista ricostruita 

in flashback ("un imprendibile composto

di pensieri altrui") - si estende agli oscuri

meandri di una famiglia potente avviata

verso la rovina, poi alla residualità

corrotta della borghesia imprenditoriale

italiana di questo scorcio di millennio,

per arrivare a sfiorare le radici più

profonde dell'angoscia e del male.

La prosa di Nicola Lagioia è prensile,

coinvolgente, tensiva. Possiede il dono

o meglio la tecnica straniante, come è

stato detto, di "far vedere tutto come

per la prima (o l'ultima) volta". Privo dei

guizzi virtuosistici dei precedenti romanzi,

più strutturato senza perdere in empatia

e immediatezza, La ferocia ha una densità

e un respiro da romanzo internazionale,

pur raccontando una storia molto italiana.

Nicola Lagioia
La ferocia
Einaudi
415 pp.

[La lista è stata pubblicata la prima volta

nel marzo del 2016; è stata aggiornata

nel maggio del 2018 con altri cinque titoli]

© Riproduzione Riservata

 
 
 

CINQUE LIBRI DA LEGGERE...

Post n°1791 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

  • Fonte: Internet
  • Cinque libri per le prossime quattro

    settimane: anche il mese diottobre

    2018 ha la sua lista di consigli di lettura

    da noi selezionati fra le più recenti e 

    interessanti proposte. Partiamo da 

    Stefano Corbetta, con il suo toccante

    romanzo che parla di fatalità e speranze,

    e dall'autrice norvegese Maja Lunde,

    con la sua seconda opera dedicata ai 

    cambiamenti climatici. L'Italia degli anni

    Settanta è la protagonista di un bel giallo

    di Mirco Giulietti, mentre Michele Vaccari 

    è qui con un romanzo sulla paura di

    cambiare. Infine, Alfredo Carosella ci dona

    una curiosa storia di un uomo il cui padre

    assente diventa motivo di trasformazione.

    Sonno bianco, di Stefano Corbetta

    In questo libro sono i silenzi a parlare,

    più di tante parole, per quanto ben scelte

    e intrecciate con grazia. Stefano Corbetta

    ci racconta di Emma e Bianca, due sorelle

    identiche. Una vulcanica ed espansiva, l'altra

    invece più timida e introversa, ma comunque

    inseparabili. Un incidente però le divide

    irreparabilmente: Bianca è in un letto di

    ospedale, spenta, in silenzio. Emma cresce

    così da sola, messa all'angolo dal destino

    della sorella, per il quale prova un senso di

    colpa che taglia le ali ai sogni e alle speranze.

    I genitori non aiutano: la madre, distrutta

    dal dolore, si isola, mentre il padre è troppo

    preso dal mantenere fermi gli equilibri della

    vita. Ogni personaggio di questa storia

    affronta lo stordente silenzio dellafatalità,

    guardandosi dentro, cercando di capire,

    provando a sperare.

    Sonno bianco 
    di Stefano Corbetta
    (Hacca)
    282 pagine


    La storia dell'acqua, di Maja Lunde

    la-storia-dell-acqua-lunde-marsilio-copertina

    'La storia dell'acqua', di Maja Lunde - Credits: Marsilio


    La storia dell'acqua è il secondo romanzo

    di una tetralogia dedicata ai cambiamenti

    climatici e alla sensibilizzazione nei confronti

    dell'ambiente, iniziata dalla scrittrice

    norvegese Maja Lunde conLa storia delle api.

    Lo scopo di questo libro è farci riflettere

    sulle possibili conseguenze di una mala

    gestione delle riserve d'acqua. La Lunde

    ci prova raccontando due storie lontane

    fra loro nel tempo, ma che si incrociano

    in un pregevole gioco narrativo. Da una

    parte c'è l'anziana norvegese Signe,

    l'anno è il 2017, che fa ritorno ai luoghi

    d'infanzia a bordo della sua barca a vela.

    I fiordi che vede sono sempre lì, ma il

    paesaggio sta cambiando. I fiumi e i ghiacci

    si stanno ritirando: colpa dell'uomo e del

    progresso a tutti i costi. Nel 2041 seguiamo

    invece le vicende di David e di sua figlia

    Lou, i quali, in fuga verso nord in una

    Francia flagellata dalla siccità, trovano un

    giorno una vecchia barca abbandonata,

    che custodisce un prezioso tesoro.


    La storia dell'acqua
    di Maja Lunde
    (Marsilio)
    346 pagine


    Si moriva dal caldo, di Mirco Giulietti

    si-moriva-dal-caldo-Giulietti-intrecci

    'Si moriva dal caldo', di Mirco Giulietti - Credits: Intrecci


    Un piccolo e delizioso giallo ambientato

    nella torrida estate italiana del 1974.

    Il protagonista è un bambino di 10 anni,

    fan sfegatato dell'Olanda di Cruijff (

    finalista ai Mondiali di quell'anno) e grande

    appassionato di Tex Willer. La sua

    quotidianità è scossa dall'omicidio della

    signorina Marella, una ricca vicina di casa.

    Il bambino inizia così, un po' per gioco, una

    sua personale indagine dai risvolti inaspettati.

    In questo libro di Giulietti non si legge solo

    la storia di un bambino come tanti, che vive

    nel suo mondo di passioni e che si scontra

    con la realtà dei grandi, ma si può anche

    rivivere uno spaccato dell'Italia degli anni

    Settanta, con la sua musica, la sua politica,

    la brezza di cambiamento, lo sport, i fumetti

    e molto altro.

    Si moriva dal caldo
    di Mirco Giulietti
    (Intrecci)
    292 pagine


    Un marito, di Michele Vaccari

    un-marito-vaccari-rizzoli-copertina

    'Un marito', di Michele Vaccari - Credits: Rizzoli


    A Genova vivono Patrizia e Ferdinando.

    Marito e moglie da oltre vent'anni, gestiscono

    assieme una rosticceria, in una accogliente

    routine che sembra immutabile. Ferdinando

    un giorno decide di provare qualcosa di nuovo.

    Per i suoi 50 anni vuole fare un viaggio, un

    breve soggiorno di tre giorni a Milano.

    Ferdinando e Patrizia partono, ma arrivati

    alla facciata del Duomo ecco che la loro vita

    viene sconvolta irrimediabilmente: un attentato 

    semina paura e caos nella piazza milanese,

    lasciando un segno indelebile nei destini dei

    due protagonisti. Vaccari prova a esplorare

    quel luogo oscuro nel quale, in ognuno di noi,

    si annidano le angosce più limitanti: la paura

    di cambiare quando si ha invece il bisogno

    di andare avanti.

    Un marito
    di Michele Vaccari
    (Rizzoli)
    235 pagine


    Sulla schiena del cielo, di Alfredo Carosella

    sulla-schiena-del-cielo-carosella-edizioni-della-sera

    'Sulla schiena del cielo', di Alfredo Carosella 

    - Credits: Edizioni della Sera


    Maurizio, detto Mizio, ha divorziato dalla

    moglie e ha perso il lavoro. La sua vita

    procede alla giornata, con lavori temporanei,

    musica alternativa e bevute. Durante un

    matrimonio, alla cui cerimonia sembra succedere

    di tutto, Mizio incontra Dorothy, la compagna

    di suo padre e scopre così che il proprio

    genitore non è morto come invece pensava

    in un incidente, ma che anzi è ora in Florida

    a rifarsi una vita con grande fortuna.

    Dorothy confida al nostro protagonista che

    suo padre vorrebbe rivederlo, per

    riabbracciarlo un'ultima volta prima di morire.

    Mizio accetta, non senza subire un turbine

    di sentimenti contrastanti: l'assenza del

    padre è stata comunque una grande ferita.

    Un romanzo sulle difficoltà di essere individui,

    ma anche figli e genitori.

    Sulla schiena del cielo
    di Alfredo Carosella
    (Edizioni della Sera)
    185 pagine

    © Riproduzione Ris

     
     
     

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