Creato da fbellbra il 24/02/2007

CAFFE' AMARO

una piccola pausa, tra sogno e disincanto

 

 

Live from Portugal 3: un tappo in sughero di distanza dal Sahara

Portogallo. A pochi km da Lisbona verso il cuore del paese si stende una vasta area di sughereti. Foreste spontanee cresciute in modo disordinato su un terreno sabbioso, arido. La quercia da sughero è una pianta esclusiva dell’area mediterranea che non ha bisogno di un suolo fertile per crescere. E’ l’unica pianta in grado di resistere all’avanzata del deserto nel nord Africa. E chi lo sapeva?

“Tra noi e il Sahara c’è solo la foresta di querce da sughero” ha più volte ripetuto Carlos Santos, Ad Amorim Cork Italia, azienda italiana del gruppo portoghese leader mondiale del mercato del sughero, ottimo cicerone in questo press tour in Portogallo. "La sua conservazione è fondamentale per frenare la desertificazione che è un processo ambientale ma anche sociale"
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Il processo di decortica, che avviene solo durante i mesi di maggio, giugno e luglio, infatti impiega personale stagionale residente nell’area della foresta e quindi contribuisce allo sviluppo umano ed economico del territorio in cui cresce.

Ma c’è di più. La foresta da sughero è un ecosistema delicato di cui fanno parte molte specie animali e vegetali e inoltre il sughero ha altissime proprietà di assorbimento di Co2.
La produzione di sughero, insomma, non ha alcun impatto negativo sull’ambiente, anzi contribuisce a valorizzare e tutelare un patrimonio naturale di incommensurabile valore per il Mediterraneo.

Credo proprio che d'ora in poi ogni volta che stapperò una bottiglia di vino e troverò un tappo in sughero non potrò far a meno di pensare che grazie al suo utilizzo continua a vivere una foresta.

 
 
 

Live from Portugal 2: Porto, sapore di storia

Porto nei capelli ancora l’odore di salsedine atlantica. Si deve essere impregnato durante la passeggiatina in riva al mare che abbiamo fatto per digerire la straordinaria cena di crostacei al ristorante “Mauritania” di Porto, vista oceano. Il Porto tawny invecchiato 30 anni è andato giù che era un piacere, soprattutto dopo la degustazione fatta oggi pomeriggio nella cantina storica di Graham’s. 10, 20, 30, 40 anni e poi quattro diversi Porto ruby. A me piaceva il 20, ma non saprei dire perché.

La degustazione del vino è una cosa che sto scoprendo piano piano, insieme al mondo del sughero. E’ affascinante rendersi conto ogni volta di più di essere in grado di riconoscere aromi e profumi, di avere una qualche opinione su un vino piuttosto che su di un altro. Sono ben lontana dalla sufficienza, ma a questa scuola pratica mi sto applicando con dedizione e impegno ogni qualvolta mi capiti l’occasione. Al mio fianco trovo sempre qualche giornalista, enologo o sommelier esperto per insegnarmi qualche trucco del mestiere. Visitare la cantina e il caveau, con tutte le bottiglie di annata dai primi anni del 900 in poi, di una delle più antiche case di produzione del Porto è una cosa che non capita molto spesso.

E pensare che questo vino è nato per il mercato inglese. Gli inglesi, che compravano il vino francese, quando si trovavano in guerra con la Francia finivano col trovarsi senza vino. Così lo cercavano altrove. In Portogallo ad esempio, dove nella valle del Douro si produceva del vino di alta qualità. Solo che trasportarlo via mare dal Portogallo all'Inghilterra era un problema. Una volta arrivato a destinazione il vino era da buttare. Così è nata l'idea di aggiungere durante la fase di fermentazione una componente di distillato di vino, in grado di conservare le caratteristiche organolettiche dolcissime del Porto. Agli inglesi piacque così e da allora si continuò a fare vino con l'aggiunta di distillato, cossa che gli dona un sapore più dolce, liquoroso.

Confuso tra l'aroma di frutta secca e vaniglia del Porto ho sentito chiaramente il sapore della tradizione e della storia. Buono.

 
 
 

Live from Portugal 1: Rumore di decortica

Post n°292 pubblicato il 23 Luglio 2010 da fbellbra
 

Crock. E’ un rumore gradevole, rotondo, quello che fa la corteccia di una quercia da sughero quando viene staccata dal suo fusto, o la “madre” come la chiamano gli esperti. Crock. Un colpo di accetta sicuro, veloce fatto da mani esperte, una leggera inclinazione e poi ancora crock: un’intera fetta di corteccia si stacca e cade a terra.

L’abbiamo visto stamattina il processo di decortica in pieno svolgimento. Foresta da sughero a pochi km da Lisbona. Portogallo. 25 gradi ventilati.

La decortica delle querce da sughero è un lavoro da operai specializzati ed è anche il lavoro agricolo più ben pagato al mondo (al giorno si guadagnano circa  100-120 euro). Solo con grande competenza si può decorticare la pianta senza ferirne il fusto e quindi senza compromettere la decortica futura che avverrà almeno tra 9 anni.

Nessuna fretta per chi produce il sughero. A comandare è la natura. Dal seme alla prima decortica trascorrono 25 anni. Il primo sughero è quindi “sughero vergine” e può essere utilizzato solo per la realizzazione di articoli decorativi e prodotti granulati. Dovranno trascorrere altri 9 anni prima della seconda decortica e ancora altri 9 prima che dalla corteccia si possano realizzare tappi in sughero: 43 anni minimo in tutto. E’ solo allora che il sughero raggiunge una stabilità strutturale tale da garantire le proprietà necessarie all’imbottigliamento. Con un ritmo di una decortica ogni 9 anni la stessa pianta può subire questo processo per oltre 200 anni.

Un’eternità se pensiamo alla frenesia del ritmo del mercato. Ma l’industria del sughero per poter svilupparsi e crescere a servizio di quella del vino (ma non solo) ha dovuto scendere a patti con la natura e rispettare le sue leggi e i suoi tempi. Solo così la natura può ripagare l’uomo con una materia prima straordinaria come il sughero.

Ora sono in un hotel vista oceano nella città di Porto, ma stamattina ero in una foresta di querce da sughero. Intorno a me c'erano decine, centinaia di piante nude, dal tronco ancora umido e dal colore marroncino, quasi arancio, vivo, bello. La decortica assomiglia alla tosatura di una pecora, non arreca alcun danno alla pianta, anzi, la rigenera. Più che un processo agricolo un rituale. La quercia nuda è leggera, snella, liberata dal peso di 9 anni di corteccia finalmente respira, come una mucca appena munta. Gli operai vi salgono a mani nude servendosi di una scala.

Alcuni di essi fanno questo lavoro da 40 anni. Crock. Crock. Stamattina si sono svegliati alle 6 e continueranno a decorticare fino alle 13, poi la natura detterà ancora una volta i tempi. Sarà troppo caldo e torneranno a casa per ritornare puntuali domattina all’alba, con il sole ancora basso all’orizzonte e il panorama colorato di rosa.

 Per saperne di più: www.amorim.com

 
 
 

Francesca in wonderCORKland

Pronta per un nuovo viaggio.
Questa volta mi sa che sarà un po' più comfortevole del mio standard "terzo mondo".
Un viaggio meno avventuroso, forse, rispetto al mio solito, ma certo non meno avvincente.
Press tour in Portogallo in visita alle foreste di querce da sughero. Wow.
Stavolta vado in veste di addetta stampa. Che dire. E' la prima volta che faccio un viaggio di questo tipo con questo ruolo addosso. E ne sono elettrizzata. La cosa più entusiasmante del giornalismo è la stessa del fare ufficio stampa per diverse azienze: cioè l'opportunità di venire a conoscenza di un sacco di cose nuove ogni giorno, aprire i propri orizzonti, farsi una cultura vasta e generalizzata su un po' di tutto, dall'informatica all'enogastronomia, dal sociale alla politica. Non avrei mai potuto fare nella mia vita un lavoro più idoneo alla mia personalità e alla mia inestinguibile sete di conoscenza.
 
E così da domani avrò l'opportunità di immergermi nelle foreste di querce da sughero, assistere al processo di decortica e a tutto il processo produttivo che porta alla realizzazione dei tappi in sughero, chiusura ideale per il vino.
Io fino a pochi mesi fa non sapevo nulla di vino, di tappi nè di enogastronomia, ma mi sto lasciando inebriare da questo mondo straordinario che porta con se' valori, cultura, socialità e tanta umanità. Ho scritto per anni di povertà e sociale. Oggi scrivo pezzi sul diverso metodo di produzione del prosecco rispetto ad altri spumanti e sul fatto che sia meglio un tappo in sughero rispetto a quello in plastica o in alluminio.
E pensare che sull'argomento tra gli esperti esiste un acceso dibattito: in molti riconoscono nel sughero il prodotto ideale per conservare le caratteristiche organolettiche del vino, ma ci sono anche voci discordanti. Quello che però è un importante valore aggiunto del tappo in sughero è la sua ecosostenibilità, il fatto che il suo impatto ambientale sia più basso tra tutte le soluzioni alternative, che il suo utilizzo e la sua produzione influiscono notevolmente sulla conservazione dell'habitat naturale della foresta, importante presenza per arginare la desertificazione ambientale e sociale di alcune aree del mediterraneo e per assorbire Co2.
E non è affascinante e avvincente tutto questo? Per me si, eccome!
Insomma, un piccolo tappo in sughero sembra essere capace di grandi prodigi. Non vedo l'ora di vedere con i miei occhi di che si tratta!

 
 
 

Se fuma la fabbrica di vernici

14.15: Riceviamo in ufficio una telefonata di un amico che stava passando in zona Mestre lungo la tangenziale e che ci diceva di aver visto fiamme alte e fumo nero. Chiamo subito mio papà, che essendo dirigente scolastico dovrebbe essere uno dei primi ad essere informati in caso di incidenti pericolosi per la popolazione. Non sa nulla. Ma per sicurezza meglio chiudere lo stesso le finestre.
A casa nostra, a Mestre, siamo tutti cresciuti convivendo con il rischio di incidente chimico data la vicinanza del Petrolchimico di Portomarghera. A scuola, ai nostri tempi no, ma da diversi anni si fanno le prove di evacuazione antincendio e quelle di rischio nube tossica. Gli insegnanti sanno che in caso di segnalazione di incidente chimico hanno l'obbligo di sigillare finestre e porte di tutta la scuola con lo scotch e di non fare uscire nessuno dall'edificio, nemmeno se fuori dalla porta ci sono i genitori che chiedono di portare via il proprio figlio.
In realtà non sappiamo bene quanto rischio c'è. Almeno io che vivo lì non lo so, forse informandomi un po' trovo anche i dettagli. Ma comunque la maggior parte della gente non sa i dettagli. Si sa solo che è capitato già parecchie volte che girasse l'allarme per qualche incendio, qualche dispersione di gas o qualche altro pericolo. Ho ricevuto più volte nella mia vita la telefonata dei miei genitori che mi dicevano di chiudere tutte le finestre perchè a scuola era arrivata la segnalazione dei vigili del fuoco. Ma puntualmente ho poi scoperto che ero una delle poche persone a saperlo quasi in tempo reale. La notizia si leggeva uno o anche due giorni dopo sui giornali, ne parlava il tg regionale. Ovviamente sempre e solo a incendio domato, a emergenza cessata, a rischio estinto.
 
Oggi intorno alle 14 l'incendio era in corso, se questo tizio che ci è passato vicino ha visto le fiamme innalzarsi e ci ha telefonato poco dopo. Noi abbiamo fatto qualche telefonata a giornalisti amici per informarli della cosa e qualcuno ancora non sapeva niente. Qualcuno invece sapeva che si trattava di una fabbrica di vernici. E la cosa allora mi ha un po' preoccupato, dato che i fumi di vernice non mi pare che siano da inalare con tanta leggerezza. Ho mandato qualche messaggio su Skype e su FB, ho telefonato a qualche parente, giusto per precauzione. Ma tutti mi dicevano che tanto avevano tutto chiuso e l'aria condizionata a palla, con la giornata di caldo assurdo che c'era oggi. La notizia viene divulgata dall'Ansa poco prima delle 15. Ma il lancio di agenzia lo leggono solo i giornalisti, mica la gente comune? Cominciano allora a entrare in gioco i social network. Gente che fa girare il lancio di agenzia pubblicato  su FB da qualche giornalista, gente che commenta di essere lì in zona e aver visto il fumo, gente che poco dopo pubblica un video su You Reporter http://www.youreporter.it/video_Incendio_a_Marcon_2.
 
Tutto si svolge in rete.
La sera poi trapela qualche notizia in più, si tratta di una fabbrica di Marcon, un paese vicino a Mestre, una fabbrica di vernici per aerei, l'incendio è ingente ma per fortuna non ci sono feriti. Menomale che non è particolarmente grave.
 
Ma non è questo il punto.
Il punto è: se fosse stato molto più grave, come avrebbero avvisato per tempo tutta la popolazione di chiudersi in casa? Di che sistemi di emergenza siamo dotati in una città come Mestre che è a pochi passi da una bomba chimica ad orologeria come il Petrolchimico? Io che vivo qui non lo so.

 
 
 

Bavaglio bielorusso

Un’amica ha letto il mio reportage dalla Bielorussia. Essendo lei bielorussa ero particolarmente curiosa di avere il suo feedback.

“ Era lungo, ma bello, l’ho letto tutto, mi piace come scrivi – mi ha detto – solo una cosa non mi è piaciuta”. “Dimmi pure liberamente – ho incalzato io – mi interessa molto sapere cosa ne pensi, anzi,  non avere timore di dirmi se ho scritto qualcosa di sbagliato”.

“No, niente di sbagliato – risponde lei-  solo che mi sembra che tu abbia dato troppa importanza a questa cosa di Chernobyl, delle radiazioni. A noi quel discorso non interessa, non  ci diamo così tanto peso. Viviamo li, non possiamo pensarci in continuazione. Io quelle cose non voglio neanche leggerle”.

Tipica reazione bielorussa.

In questa risposta è racchiuso tutto l’atteggiamento e la cultura di un popolo sottomesso al regime  che non ha mai conosciuto un’alternativa democratica al comunismo, a cui tutto sembra normale e che si stupisce del nostro stupore.

Devo stare attenta, quando scrivo di paesi che non sono il mio, a non farmi tentare da facili giudizi superficiali ed egocentrici. E’ ovvio che il mio punto di vista è quello di una giornalista italiana che ha una formazione cattolica e democratica, e che in più è particolarmente sensibile nei confronti della violazione della libertà di opinione e dei diritti umani.

Di fronte c’è un popolo che subisce una descrizione di se’ da parte di una straniera che certe situazioni le mette in evidenza, anche se loro non vogliono vederle.

Ieri era la giornata dello sciopero contro la legge bavaglio. Inutile dire quanto trovo aberrante quella legge. Penso che non siamo molto distanti dalla Bielorussia, con tutto il rispetto per la Bielorussia. Per questo devo fare attenzione a non ergermi a giudice nel criticare il bavaglio bielorusso che la popolazione si auto impone insieme ai tappi per le orecchie e alle bende per gli occhi. Noi rischiamo di fare la stessa fine.

Ma sono ottimista, un po’. Vedere la grande adesione e solidarietà allo sciopero da tutte le parti politiche e da giornali di tutti gli orientamenti (si ok, a parte i regime-organ) mi rincuora.

C’è ancora speranza per gli italiani finchè vogliono essere informati e lottano per tutelare questo diritto. Un po’ meno ce n’è per la Bielorussia che è già arrivata al punto in cui è la gente stessa che non vuole sapere, non vuole pensare.

La curiosità è tutto per l’essere umano, senza la sete di conoscenza e di informazione possiamo essere solo schiavi.

 
 
 

Bhopal? Basta non respirare molto

Mai sentito dell’incidente di BHOPAL, in India? Si lo so, tiro sempre fuori notiziole catastrofiche ultimamente, ma credo che sia sempre più importante parlarne in un momento in cui sul nostro paese si sta cercando di far calare una coperta di lana pesantissima sull’informazione e sulla verità.

Chissà se un disastro come quello accaduto in India accadesse da noi, con una legge bavaglio come quella che vogliono imporre a tutti costi, cosa veramente si verrebbe a sapere e cosa invece resterebbe nascosto per anni…

Il nome Bhopal l’avevo già sentito ma non avevo mai approfondito i dettagli. Ne ho letto proprio in questi giorni qualcosa di più nel libro “Le mele di Chernobyl sono buone. Mezzo secolo di rischio tecnologico” di Giancarlo Sturloni (ed. Sirioni).

Bhopal era la Baghdad dell’India per la bellezza dei suoi palazzi, minareti e giardini. Oggi è tristemente famosa per il disastro chimico che nel 1984 ha provocato nel giro di pochi minuti decine di migliaia di morti per l'inalazione di gas tossici.

A Bhopal la società statunitense Union Carbide aveva avuto autorizzazione dal governo indiano di costruire una fabbrica per la produzione di un composto chimico efficace come il DDT nello sterminare gli insetti nocivi ma tollerabile per l’organismo umano e l’ambiente. La multinazionale aveva cominciato a studiarlo fin dagli anni ’50  e i suoi scienziati erano riusciti a sintetizzarlo: si tratta del SEVIN, il frutto di una relazione chimica tra due gas: fosgene (altamente tossico se inalato) e isocianato di metile (MIC) combinato con alfa-naftolo(parassitiche).

Il MIC è una delle sostanze più letali che l’industria chimica abbia prodotto. Inalarlo uccide in pochi istanti e a contatto con poche gocce d’acqua o pochi granelli di impurità metalliche innesca una reazione esplosiva incontrollabile capace di liberare nell’aria una nube tossica molto pericolosa.

Ma gli ingegneri rassicurano sulla gestione della sicurezza della centrale e ne costruiscono dapprima una in West Virginia, a Institute, e infine anche a Bhopal in India. Quest’ultimo stabilimento entra in produzione nel 1980. Ai lavoratori non viene certo spiegato della pericolosità di uno dei composti presenti all’interno dei serbatoi. I lavoratori non sanno cosa stanno producendo. “Medicine per le piante malate” dicono. E tutto sommato è la verità.

Nel 1982 in quella zona dell’India avviene una grande siccità, e quindi si riduce drasticamente la vendita del SEVIN. La fabbrica inizia il suo declino, la produzione viene inizialmente limitata a dei periodi e infine fermata del tutto.

Trascorrono un paio d’anni, la gente a Bhopal ha quasi dimenticato quella fabbrica "innocua", ai loro occhi. Ma nei serbatoi ci sono alte quantità di MIC, che nessuno controlla più.

Così accade quello stupido, banale imprevisto che causa la catastrofe.

Aveva ragione Anna Harendt a parlare di “banalità del male”. Il male sembra sempre insinuarsi lì dove la stupidità umana lascia degli spiragli…

Per un’operazione di manutenzione viene erroneamente versato un getto d’acqua nella vasca piena di MIC: l’acqua innesca la reazione a catena. Esplode il serbatoio, si sprigiona nube tossica che si dirige verso il centro abitato. Muoiono soffocati, in preda a vomito, cecità e convulsioni, ustioni dell’apparato respiratorio e atroci sofferenze in 15 mila. I medici che allestiscono l’ospedale da campo osservano sintomatologie sconosciute.

La compagnia Carbide si rifiuta di rivelare alle autorità sanitarie indiane la composizione della nube. I dirigenti della multinazionale dichiarano candidamente “i gas non sono tossici, basta respirare il meno possibile”.

A distanza di tempo la Carbide ammette di aver provocato 3.800 morti, ma sulle strade di Bhopal gli addetti hanno raccolto oltre 15.000 cadaveri. Si continua a morire anche a distanza di anni. Il governo indiano solo nel 2003 dichiarerà un bilancio di oltre 20 mila morti.

Nel 1999 Greenpeace denuncia la presenza sul suolo di Bhopal di inquinanti organici persistenti caoaci di contaminare l’ambiente per decine di migliaia di anni.  

“Bhopal continua a uccidere – dice Sturloni – una persona ogni due giorni”.

 L’americano Warren Anderson, all’epoca presidente della Union Carbide, è tutt'oggi latitante.

Ultime notizie su Bhopal sul Fatto quotidiano: http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/06/08/otto-persone-tutte-indiane-sono-state/25119/ 

 
 
 

Baby disco a Jesolo

Post n°287 pubblicato il 27 Giugno 2010 da fbellbra
 

Jesolo Lido. Sabato sera, ore 22 circa. Lungomare.

Un chioschetto sulla spiaggia spara musica disco a tutto volume. Una folla di ragazzi si  accalca intorno. C'è chi beve, chi fuma, chi chiacchiera.
Le ragazze agghindatissime ricevono apprezzamenti, talvolta pesanti da chi è già ubriaco. Unz unz.
Tutto regolare. E' estate, siamo a Jesolo, in spiaggia, è sabato sera e questi sono ragazzi che hanno voglia di divertirsi.

A separare la spiaggia dagli hotel che vi si affacciano c'è un muretto di cemento che segue tutto il lungomare interrompendosi quà e là per gli accessi al mare e agli hotel. Sul muretto vicino al chiosco affollato si possono distinguere chiaramente cinque-sei bambine. Non hanno più di 6 anni e stanno ballando al ritmo di unz unz con una dimestichezza e una disinvoltura da diciottenni. Lì vicino, sedute sul muretto, un gruppetto di donne (35-40) agghindate come adolescenti, interagiscono con le bambine e ballano anch'esse allo stesso modo ammiccante di quelle che devono essere le loro figlie.

Di fronte a questa scena mi sento rabbrividire. Non mi piace la discoteca, anche se mi piace molto ballare, e non ho mai frequentato l'ambiente mondano di Jesolo ma non ci vedo niente di strano che lo frequentino i giovani. Per carità.

Forse sono io che sono una bacchettona retrograda a scandalizzarmi di fronte a questa immagine di bambinette che frequentano luoghi da adulti e che si atteggiano, probabilmente senza capire molto, a donne adulte.

La cosa mi ha lasciato un senso di tristezza, di amarezza per la loro infanzia rubata.

 
 
 

Pacific trash vortex, un continente di spazzatura nell'oceano

Un continente di plastica. E' quello che si sta formando piano piano nel bel mezzo del Pacifico.

Non è una notizia nuova ma non se ne sente parlare parecchio.  Forse perchè intorno alla plastica ruotano molti interessi? Un motivo in più per andarsele a cercare le notizie...

 


Dunque, a fare la scoperta sono stati dei marinari che stavano attraversando l'Oceano. Nemmeno i satelliti se ne erano accorti. Il Pacific Trash Vortex è un vortice di correnti che ha prodotto nel bel mezzo del Pacifico una enorme isola di plastica, la cui superficie stimata va dai 700.000 km² fino a più di 15 milioni di km².
La plastica sarebbe per il 20% risultato di container dispersi in mare e per l'80% di rifiuti provenienti dalla terraferma, principalmente dal Nord America.

Ovviamente l'incertezza sulle dimensioni dell'isola ha fatto scatenare gli scettici che si chiedono come mai non sia stata misurata esattamente e  come mai non sia stata filmata e fotografata in modo da presentare evidenze non equivoche della sua esistenza.

Ma per tutti i dubbi esistono diverse spiegazioni: l'enorme isola di plastica non è facilmente misurabile e fotografabile perchè è traslucida e quindi non localizzabile dai satelliti. E' composta infatti principalmente da pezzi di plastica che si sono fotodegradati in pezzi sempre più piccoli, fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono (la cui ulteriore biodegradazione è molto difficile), mentre i pezzi più grossi non ancora degradatisi stanno normalmente sotto il livello dell'acqua. Questo fa sì che l'unico modo per studiarla è direttamente da un'imbarcazione.

Una gigantesca discarica nell'Oceano che si è formata a partire dagli anni Cinquanta, in seguito all'esistenza della North Pacific Subtropical Gyre, una lenta corrente oceanica che si muove in senso orario a spirale, prodotta da un sistema di correnti ad alta pressione. L'area è una specie di deserto oceanico, dove la vita è ridotta solo a pochi grandi mammiferi o pesci. Proprio a causa della mancanza di vita questa superficie oceanica è pochissimo frequentata da pescherecci e assai raramente è attraversata anche da altre imbarcazioni. Ed è per questo che è poco conosciuta ai più.

Ma proprio a causa di quel vortice l'area si è riempita di plastica al punto da essere considerata una vera e propria isola galleggiante. Il materiale poi, talvolta, finisce al di fuori di tale vortice per terminare la propria vita su alcune spiagge delle Isole Hawaii o addirittura su quelle della California.

In alcuni casi la quantità di plastica che si arena su tali spiagge è tale che si rende necessario un intervento per ripulirle, in quanto si formano veri e propri strati spessi anche 3 metri.

La maggior parte della plastica giunge dai continenti, circa l'80%, solo il resto proviene da navi private o commerciali e da navi pescherecce.

Nel mondo vengono prodotti circa 100 miliardi di chilogrammi all'anno di plastica, dei quali, grosso modo, il 10% finisce in mare. Il 70% di questa plastica poi, finirà sul fondo degli oceani danneggiando la vita dei fondali. Il resto continua a galleggiare.

In teoria il venire a conoscenza dell'esistenza di questo continente di spazzatura dovrebbe indurre ciascun individuo ad adoperarsi per il massimo utilizzo di prodotti riciclabili. Quindi... passare parola, grazie...

Chi volesse maggiori informazioni le può trovare ai seguenti link:


http://it.wikipedia.org/wiki/Pacific_Trash_Vortex


http://news.nationalgeographic.com/news/2009/09/photogalleries/pacific-garbage-patch-pictures/

 

 

 
 
 

Il colpo di vento di Pomigliano

Post n°285 pubblicato il 24 Giugno 2010 da fbellbra
 

Esistono momenti storici nei quali le persone sono disposte a sacrificare la loro vita per un ideale. E non è detto che sia sempre giusto.
Poi però ci sono i momenti storici in cui ci si abbassa ad accettare ogni sopruso e ogni violazione dei diritti. E questo non è certo giusto, ma a volte è comprensibile.
Io non me la sento di giudicare i lavoriatori di Pomigliano che hanno firmato a favore di un accordo che riduce gran parte dei loro diritti in cambio del mantenimento del posto di lavoro. In fondo quando è stata approvata la legge 30 del 2003 (la famosa legge Biagi) ma che comprendeva solo una metà della proposta del povero Biagi e cioè dimenticava completamente il capitolo dei diritti e degli ammortizzatori sociali, nessuno di noi giovani si è smazzato tanto per difendere i propri diritti.
Si forse è stato fatto un mezzo sciopero in qualche scuola e in qualche università, un paio di striscioni e poi tutto è proceduto come doveva essere. E tutti noi abbiamo accettato contratti a progetto, stage gratuiti, contratti di collaborazione occasionale, senza alcun tipo di diritti e garanzie.
Io personalmente ne ho firmati parecchi, obtorto collo. Ho accettato per necessità e per mancanza di alternative. Perchè altrimenti mi dicevano che sulla scrivania avevano un pacco di curriculum alto così, se io non ero interessata.
Scusate, ma i giovani precari lavorano ogni giorno in condizioni ben peggiori dei lavoratori di Pomigliano.
Lo accettano e basta, sperando che col tempo le cose si sistemino. E su questo sbagliano, ma non hanno alternative oltre alla rivoluzione di piazza. E non è tempo di rivoluzioni, anche se la base in qualche modo si muove, si mobilita. Non tira un filo di vento, per ora.
Purtroppo quello che si osserva è che le cose ad aspettare che cambino da sole non si sistemano affatto, anzi, peggiorano. E quello di Pomigliano è solo un precedente gravissimo. Un po' alla volta lo faranno anche gli altri e di minaccia in minaccia rischiamo di trovarci tutti a smantellare un po' per volta l'intero statuto dei lavoratori.
 
Dovevamo esportare i diritti umani in Cina e finiremo a fare concorrenza alla Cina con le loro stesse regole al ribasso dei diritti.
 
E' cambiato tutto rispetto ai momenti storici in cui per i diritti si lottava a mani nude,e non è cambiato fondalmentamente niente. Certi diritti bisogna conquistarseli, coccolarli, proteggerli come una piantina sul davanzale. Perchè se arriva un colpo di vento sbagliato fanno una brutta fine...
E tu neanche te ne accorgi...

 
 
 

sete di conoscenza

Il week end piovoso è stato stimolante. Ho ufficialmente cominciato a scrivere il libro.

Domenica mattina la mia sveglia biologica mi ha svegliato, come al solito, precisamente alle 06.40.

Non c'è verso. Quando mi sveglio mi sveglio.

E così mentre fuori brontolava il temporale io mi sono accoccolata in divano e ho cominciato a ripercorrere con la mente i primi fotogrammi del viaggio.

 

L'attesa estenuante alla frontiera bielorussa, il controllo dei camper, la notte a dondolare in cuccetta...

Non sono ancora convinta di cominciare da lì, comunque da qualche parte dovevo pur iniziare a scrivere. Tanto il finale l'ho già scritto. Viene fuori un po' a puzzle, poi con calma si ricomporranno i pezzi.

Le parole vengono giù da sole, sono gli aggettivi a volte il problema. Voglio cercare le sfumature giuste, ma allo stesso tempo usare le parole più semplici che conosco.

Sempre amato gli ermetici del '900, io.

 

Cominciano a emergere dal calderone di informazioni che sto facendo bollire nel cervello da un mese, circa, anche le citazioni dei libri che ho letto finora. Cacchio, stavolta ho decisamente superato il limite: 6 libri bevuti in poco meno di un mese, con tanto di appunti e di copiatura su pc per poterli citare. Me ne rendo conto solo ora. E altri mi aspettano sopra la scrivania...

Eppure mi sembra sempre di non sapere abbastanza. Lo so che devo scrivere un libro-reportage, non un saggio storico, però nella mia testa rimbombano un sacco di "perchè" e io mi sento così ignorante. So a malapena che è esistita una cosa chiamata Unione Sovietica, so qualcosa di più (ora) su perchè il sistema è crollato, so così poco su cosa è successo nel '900 in questo paese gigantesco e così diversificato al suo interno, so a malapena perchè c'è stata la guerra in Cecenia, e che dire del Kirghizistan di cui non sapevo nemmeno l'esistenza? E Lenin alla fine chi era, cosa ha fatto? Ci sono un sacco di persone, di nomi, di fatti che conosco così in superficie, pur avendo studiato al liceo e avendo sostenuto esami di storia all'università...

Questo è davvero tutto quello che sappiamo della Russia e dei suoi drammi?

La cosa mi mette a disagio perchè non so nulla della Russia, come non so nulla della Cina, dell'India, del Sud America e dell'estremo Oriente... insomma mi sento e mi voglio sentire fino in fondo cittadina del mondo, ma mi accorgo ogni giorno di più di quanto questo mondo sia così grande e inafferabile.

Posso anche leggere mille libri al mese, ma devo accettare l'idea che non capirò mai tutto ciò che c'è da capire. Tanto per citare uno a caso, aveva ragione Socrate quando disse "l'unica cosa che so è di non sapere".

pfui...

 
 
 

Nucleare sicuro, lo dicevano anche a Chernobyl nell'85...ma...

Post n°282 pubblicato il 09 Giugno 2010 da fbellbra
 

Soviet Life, rivista ufficiale lingua inglese distribuita negli Stati Uniti, intervista nel 1985 il personale della centrale nucleare di Chernobyl. Dopo l'incidente di Three Mile Island (Pennsyilvania 1979) dove il reattore si era quasi fuso, cominciavano a crescere in tutto il mondo le opinioni contrarie al nucleare e a svilupparsi paure e timori per la sicurezza della popolazione.

E per sfatare questi dubbi dove si può mai andare? A Chernobyl, ma certo.

Si, sembra davvero una tragica ironia della sorte, ma nel 1985 le centrali nucleari erano ritenute estremamente sicure e Chernobyl nel 1988 doveva diventare la più grande del mondo una volta ultimata la costruzione del quinto reattore. Appena un anno dopo da quell'intervista sarebbe invece successo il disastro nucleare più grande della storia.

"E' tutto assolutamente sicuro - disse Nicolai Fomin, capo ingegnere della centrale di Pripjat (così la chiamavano i dipendenti di Chernobyl, che vivevano nell'omonima cittadina a 4 km dall'impianto) - è sicuro sia per le persone che per l'ambiente. Il reattore è rinchiuso in un silo di cemento e ha numerosi dispositivi di protezione ambientale. Anche se dovesse accadere un incidente i sistemi automatici di controllo e di sicurezza arresterebbero il funzionamento del reattore nel giro di pochi secondi. L’impianto è dotato di sistemi di emergenza di raffreddamento del nocciolo e di molti altri efficaci dispositivi di sicurezza".

"Le probabilità di fusione sono una ogni 10mila anni - viene intervistato anche il ministro ucraino per l'energia Vitali Skiyerov - Gli impianti sono dotati di dispositivi di controllo sicuri e affidabili. Tali dispositivi sono a prova di guasto, grazie a tre circuiti di sicurezza. I circuiti operano indipendentemente senza sovrapposizione. Inoltre stiamo sviluppando nuove apparecchiature di superiore affidabilità. I modelli pilota sono sottoposti a test in condizioni simili a quelle operative. Anche l’ambiente viene protetto in modo molto sicuro. Edifici ermeticamente chiusi, cicli chiusi in quei processi che coinvolgono sostanze radiattive e sistemi di purificazione che rendono innocui gli scarichi impediscono ogni dispersione radioattiva nell’ambiente esterno. Le centrali nucleari sono inoltre ecologicamente molto più pulite delle centrali termiche tradizionali che bruciano grandi quantità di carburanti fossili".

Queste parole sono riportate nel libro "Chernobyl. La fine del sogno nucleare" pubblicato da Mondadori nello stesso anno del disastro di Chernobyl (1986) a cura della redazione scientifica dell'Observer, celebre giornale inglese.

Mentre leggevo pensavo a quegli articoli che ho letto ultimamente su chi è favore del nucleare in Italia. Dicono esattamente le stesse cose di allora: il nucleare è sicuro, è pulito, ci sono controlli di sicurezza infallibili... Io non sono ideologicamente contraria o favorevole al nucleare. Mi sto informando per cercare di capire meglio. La faccenda è decisamente complessa. C'è chi dice che il nucleare, oggi che la tecnologia è cambiata da allora, è sicurissimo. Ma lo dicevano anche di Chernobyl!  E' questo il punto su cui sto riflettendo. Lo dicevano tutti all'epoca. La maggioranza delle persone era convinta della sicurezza del nucleare, del fatto che funzionasse tutto in modo perfetto.

E infatti la centrale di Chernobyl funzionava benissimo, era sicura, era perfettamente funzionante. Quello di Chernobyl infatti non è stato un incidente, non si è rotto qualcosa, ma è stato un disastro causato dalla follia di alcuni uomini che hanno obbligato i tecnici a fare dei test contro ogni ragionevolezza.

Chi mi può garantire oggi che non succederà mai più che un qualche pazzo obbligherà i tecnici ad attivare operazioni rischiose? Chi mi può garantire che nei prossimi 10mila anni non ci sarà mai nessun pazzo che penserà di usare le centrali nucleari come obiettivo di qualche atto di terrorismo? Come potremo essere sicuri che qualche cataclisma ambientale non si abbatta su di esse?

Per ora sono giunta a una sola conclusione riguardo al nucleare: è uno strumento potentissimo e delicatissimo che è innocuo finchè sta in mani sicure, finchè si fanno controlli, finchè si fa manutenzione, finchè siamo in pace, finchè si rispettano le regole sulla sicurezza.

Ma se così non fosse?

 
 
 

Un po' più a fondo dentro la Bielorussia

Post n°281 pubblicato il 05 Giugno 2010 da fbellbra
 

Ho inviato pochi minuti fa i testi definitivi del reportage sulla Bielorussia. Una gran bella sensazione. Andrà in stampa nel numero di GV in uscita per sabato 12 giugno.
E' il primo reportage che scrivo interamente in treno e devo dire che la cosa mi piace.

Sempre con me, da quando sono tornata, ho un piccolo netbook, il block notes ricco di appunti e radiazioni, tre o quattro libri sulla Bielorussia, Chernobyl e la fine dell'Urss. Approfitto dei tre quarti d'ora del viaggio di andata da Mestre a Conegliano per buttare giù un testo. Ci ritorno sopra  nei tre quarti d'ora del viaggio di ritorno da Conegliano a Mestre. Nel frattempo la mia giornata scorre veloce e densa. A scrivere, sempre a scrivere. E poi ancora a leggere, prima del viaggio in treno, mentre faccio colazione, o la sera sullo step in palestra.

Divoro voracemente tutte le informazioni sul tema di Chernobyl, sulla storia dell'Unione Sovietica, sulla Bielorussia. Voglio sapere tutto, capire, approfondire, trovare spiegazioni alle cose che ho visto con i miei occhi.

E' una storia che mi sta appassionando quella del crollo dell'Urss, che conoscevo poco ma che avevo già osservato guardando le sue conseguenze dirette nella società bielorussa. Ora capisco anche tanti perchè: la mentalità assistenzialistica, il disinteresse per la situazione politica.

Africa e Est Europa presentano molte similitudini da questo punto di vista. Sono entrambe realtà di sottomissione antica, che portano il peso della loro storia ancora oggi sulle spalle incarnandola in totale assenza di spirito di iniziativa.

Ma Africa e Est Europa sono profondamente diverse nello spirito. In Africa, nonostante la povertà e le sofferenze, è rimasta una luce. Dentro, nell'anima delle persone c'è un bagliore di luce, c'è una serenità inspiegabile secondo i canoni del nostro materialismo. In Bielorussia questa luce non l'ho mai trovata, a parte negli occhi delle sorelle di Madre Teresa di Calcutta e del coraggioso don Slavomir.

 

 
 
 

ufficio statale ideologia, si hai capito bene

Post n°280 pubblicato il 21 Maggio 2010 da fbellbra
 

Un donnone alto, con acconciatura sovietica tardo anni 70 e una agghiacciante giacca fiorata beije e fuxia. E' lei il Capo dell'Ufficio Statale per l'Ideologia della città di Gomel, seconda città della Bielorussia. Sorridente accoglie i suoi ospiti nel suo ufficio ben arredato e illuminato dal sole di maggio.
L'interprete la presenta, ma a me la sua carica suona strana.
"Capo dell'Ufficio Statale per l'Ideologia"?
Scusa????? L'interprete per sicurezza richiede alla signora di presentarsi e poi conferma: "Si, lei è proprio il Capo dell'Ufficio Statale per l'Ideologia". L'interprete, bielorussa, sembra non capire il mio stupore.
Dentro di me penso (lo ammetto) "ho la notizia!!!!!!!!!!!!!!!!!!!". Poi cerco di sfruttare al meglio il poco tempo a disposizione e chiedo di cosa si occupa, di grazia, nel 2010, l'Ufficio Statale per l'Ideologia, in una città moderna e colorata a tinte pastello, sede di una delle più prestigiose università dello Stato e purtroppo capoluogo di una delle regioni tuttora più contaminate dalle radiazioni di Chernobyl?

Controllo dei giornalisti
è la risposta dell'interprete, che però si corregge velocemente spiegando che non si tratta di controllare i giornalisti ma di divulgare le notizie.
"Aaaaah, è l'Ufficio Stampa" dico io, un po' dispiaciuta, perchè nel frattempo mi ero già fatta il film sulla storia che intervistavo una donna di regime che controllava i giornalisti.
In Italia si chiama Ufficio Stampa, spiego all'interprete, alla quale sembrava assolutamente normale un nome del genere. E' che qui in Bielorussia sono molto nostalgici e hanno conservato gli antichi nomi istituzionali del regime sovietico, che fa più "vintage".
"Lei  - prosegue l'interprete - è la persona che sa quali sono gli eventi che accadono in città, sa quali sono le notizie da divulgare e i giornalisti chiamano il suo ufficio per farsi dare le notizie da pubblicare".
"Non pensare mica che qui si dica ai giornalisti cosa devono scrivere - dice il donnone ridendo e indicando la porta - la porta del mio ufficio è sempre aperta".
Mm... mi sorge un dubbio....e se qualche giornalista volesse scrivere di qualche altra notizia che accade in città? Può farlo anche senza passare da lei, no? Ma non glielo chiedo. Non faccio in tempo e poi capisco che non tira più aria. Comincio a intuire quando i bielorussi non possono parlare oltre. Cambiano discorso, parlano più velocemente, si innervosiscono sulla sedia.
Lei è già passata ai saluti calorosi. Dobbiamo uscire.
Ma sulla portone di uscita dell'edificio l'interprete mi prende da parte e mi dice che sì, lei in effetti un po' di controllo sulle notizie lo fa. Perchè certo non divulga notizie che le autorità non gradiscono. Ma fin qui anche i nostri uffici stampa istituzionali funzionano così. "E' che a Gomel ci sono due giornali - spiega la traduttrice - e pochi giornalisti. Quindi per scrivere le notizie sul giornale finisce che chiamano tutti lei". Così sono sicuri di non scrivere nulla di scomodo...
Anche perchè per chi scrive qualcosa di scomodo le cose non sono proprio rose e fiori. 4 anni fa, alla mia prima visita a Gomel, avevo intervistato una studentessa della facoltà di giornalismo, la facoltà con meno iscritti in assoluto della città: appena 30. Si chiamava Tatiana, collaborava con un giornale, e mi spiegava che libertà di stampa in Bielorussia non ce n'era proprio. "Volevo scrivere un articolo che dicesse la verità riguardo alla nostra repubblica, ma non me l'hanno pubblicato e sono stata arrestata dalla polizia, senza alcun mandato. Mi hanno tenuto 3 ore in carcere, mi hanno interrogato, poi hanno telefonato a casa ai miei genitori, hanno minacciato la mia famiglia. Poi hanno chiamato il KGB per interrogarmi nuovamente".
Si giusto, perchè in Bielorussia c'è ancora ufficialmente il KGb, per chi non lo sapesse.

 
 
 

Il muro di gomma bielorusso

Post n°279 pubblicato il 19 Maggio 2010 da fbellbra
 

Penso in word, oramai. E ho già scritto mezzo libro nella mia testa. Nel frattempo divoro libri e articoli e documentari sulla storia di Chernobyl.
Ho appena finito il bellissimo libro di Silvia Pochettino "Chernobyl, una storia nascosta" e sono riuscita così a conoscere meglio la storia di Yuri Banazhevsky, il docente e ricercatore di Gomel arrestato dal regime di Lukashenko per i suoi studi sugli effetti delle radiazioni. Una storia pazzesca.
E si che gliel'avevo chiesto io al Resposabile Sanità di Gomel, se c'erano stati casi di studiosi dissidenti rispetto alle posizioni ufficiali.
Ma lui la prima volta ha fatto finta di non capire la domanda e ha deviato la risposta su un argomento completamente diverso, poi, quando ho insistito perchè l'interprete ripetesse la mia domanda (e che cacchio, mi prendi per scema?) mi ha guardato negli occhi e mi ha semplicemente detto che non ci sono mai stati episodi.
Sapendo di mentire e sapendo che io lo sapevo.
 
Non mi era mai capitata un'intervista simile. Mi ha fatto arrabbiare.

 

 
 
 

live from Belarus: 12 maggio

Post n°278 pubblicato il 12 Maggio 2010 da fbellbra
 

Le suore di Madre Teresa di Calcutta illuminano. Stare con loro 10 minuti è come venir contaminati da potentissime radiazioni positive e palpabili. Siamo stati in visita della casa di carità di Gomel, l’unica struttura della città, vicino all'Hotel Turist, che offre ospitalità a senzatetto, distribuisce pasti, vestiti, mette a disposizione le docce, ma soprattutto offre un amore profondo agli ultimi, come ha sempre fatto Madre Teresa.

Le suore sono presenti a Gomel da 17 anni. Madre Teresa ha inviato le sue sorelle nei luoghi del mondo dove ci sono i più poveri tra i poveri. Ed è significativo trovarle qui, in questa grande metropoli apparentemente così moderna e pulita.

Suor Caternina, dalla Croazia, ci ha accolto nella casa e portato in visita alle stanze dove alcuni ospiti stavano già cenando. Incredibile odore di pulito. Le diciamo che siamo cattolici e allora ci porta nel piano superiore, nella cappella dove pregano. Un padre nostro, un ave maria. Poi ci mostra una reliquia con il sangue di Madre Teresa. E ci chiede di baciarla. Male certo non fa.

Le sorelle sorridono come nessuno qui a Gomel. Hanno il sorriso e lo sguardo gioioso che ritrovo ovunque nel mondo tra i missionari che sono a fianco degli ultimi degli ultimi. Sempre lo stesso sorriso e sguardo gioioso.

Sono qui proprio in seguito all'incidente di Chernobyl. Le chiedo: "Non hai paura delle radiazioni?" lei mi guarda e mi chiede: "e tu?".

 

 
 
 

Live from Belarus: 10 maggio

Post n°277 pubblicato il 10 Maggio 2010 da fbellbra
 

Basta non pensarci...

Intensa giornata di visite oggi. Siamo stati tutto il giorno nei dintorni di Khoiniki, una cittadina a più di 50 km a sud di Gomel, sul limitare della zona rossa (che è l’area dove si sono concentrate maggiori quantità di radiazioni). Lungo il fitto bosco che abbiamo attraversato in completa solitudine per oltre un’ora e mezza abbiamo visto qua e là dei cartelli che indicavano “zona radioattiva” e che specificavano (come se ce ne fosse bisogno) che in quella zona la raccolta di funghi e bacche è regolamentata (e non vietata!!!).

Oltre Khoiniki c’è il villaggio di Vich, poche casette in legno dagli infissi colorati in tinta con gli steccati. Lì abbiamo fatto visita ad alcuni bambini ospitati negli scorsi anni in Italia e alle loro famiglie che ci hanno accolto con grande calore. Per noi hanno tirato fuori il servizio buono e svuotato ogni dispensa, servendo a tavola patate, carne, biscotti, insalate di pollo con maionese, dolci e formaggio, condendo il tutto con succo di fragola, succo di betulla e ovviamente vodka.

Il clima di festa faceva dimenticare la presenza delle radiazioni. Dopo pochi giorni che siamo qui già ho come l’impressione di darci meno peso anche io. Questa gente vive qui tutto l’anno per tutta la vita, mangia cibo contaminato, beve acqua contaminata. Io resto qui appena una settimana, bevo acqua di bottiglia comprata in Italia, mangio cibo italiano portato via col camper, venerdi riparto per tornare in Italia.

La prima volta che sono stata qui, 4 anni fa, ero molto più preoccupata per le radiazioni, non ho mangiato quasi nulla del posto, unica del gruppo a farmi tanti scrupoli. Quest’anno sono un po’ più informata su come funzionano le radiazioni e la cosa mi spaventa meno, per quel poco che possiamo esserne esposti in pochi giorni e nelle nostre condizioni privilegiate.

Forse dall’Italia si ha un’impressione ingigantita e comunque non precisa dei rischi effettivi. Le radiazioni sono difficili da comprendere e da spiegare, è molto più facile capire l’inquinamento di una macchia di petrolio nell’oceano. Il problema è piuttosto che questa gente qui vive la situazione opposta: sottostimano la gravità della situazione, si preoccupano troppo poco, fanno spallucce quando chiedi loro se hanno paura delle radiazioni. Dicono tutti “qui nel mio paese hanno detto che è tutto a posto. E’ nel villaggio più in là che ci sono le radiazioni”. Non possono che cercare di non pensarci, d’altra parte, dato che fuori dalla Bielorussia non possono uscire se non in casi molto particolari. Ci convivono. Come noi con l’inquinamento della Tangenziale. E dato che è passato tanto tempo quasi se ne dimenticano.

Però se chiedi a qualcuno di ricordare il 1986 i loro volti si incupiscono. Ricordano la paura, il panico, la gente che scappava, i bambini portati lontano dall’esercito sul Mar Nero in vacanza.

<Quando siamo tornati a casa dalla colonia – ha raccontato oggi un’insegnante, allora bambina – ricordo di aver visto sull’albero mele grosse come meloni e fiori alti due metri>.

Basta non pensarci...

 
 
 

Live from Belarus: 9 maggio

Post n°276 pubblicato il 09 Maggio 2010 da fbellbra
 

Il "25 Aprile" dei Bielorussi...

Festa grande oggi in Bielorussia: tutta la nazione festeggia il 65esimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale. Gomel era colorata di bandiere rosse e verdi, le strade stracolme di gente, soprattutto famiglie con bambini, tutti vestiti a festa (leggi: minigonne vertiginose e tacchi a spillo per le donne, fiocchi nei capelli per le bambine, giacche da completo per gli uomini).

Qua e là tra la folla si incrociavano vecchi in uniforme con il petto ricoperto di medaglie. I bambini regalavano loro i fiori. In filodiffusione canti popolari russi dell’epoca della guerra . Nella piazza del carroarmato un megaschermo trasmetteva la parata militare di Minsk, la capitale, con gli esercizi ginnici dei bambini. In mano a numerosi passanti un vecchio giornale, probabilmente una ristampa, con in copertina una immagine di Stalin.

Passano quasi inosservati i manifesti giganti dallo sfondo rosso acceso che ricordano la festa nazionale con tanto di falce e martello: la gente sembra più interessata alle bancarelle di pop corn e di zucchero filato, ai palloncini colorati e gonfiati di elio, ai negozi aperti, alla bella giornata di sole.

 

 
 
 

LIVE FROM BELARUS: 8 maggio

Post n°275 pubblicato il 08 Maggio 2010 da fbellbra
 

Il visto per entrare in Bielorussia vale anche per l’ingresso in Russia. E la Russia ha inasprito le misure di sicurezza e di controllo all’ingresso. Quest’anno – dicono i membri dell’associazione Help for Children che hanno partecipato più volte ai convogli umanitari – i poliziotti bielorussi sono stati particolarmente meticolosi nell’analizzare i camper alla frontiera.  Sono entrati a bordo di ciascuno, verificando l’identità dei passeggeri, chiedendo di aprire i bagagliai e in molti casi anche i singoli pacchi.

Con il convoglio l’associazione porta materiale per le famiglie e le scuole con cui ha in piedi dei progetti ma deve attenersi scrupolosamente alle quantità di prodotti consentiti. Molti sono espressamente vietati, come i medicinali, la carne in scatola e i liquori.

Ore e ore di incartamenti, controlli e verifiche e controverifiche. I responsabili di ciascun camper hanno dovuto seguire una trafila burocratica assurda.

Ho avuto l’impressione che tanta rigidità serva solo a costruire un’immagine di terrore: i poliziotti severamente proibivano alla gente di scendere dal camper durante l’attesa estenuante alla frontiera (5 ore) infestata da zanzare e da una puzza di fogna indescrivibile, proibivano di scattare fotografie, controllavano e ricontrollavano i camper come fossimo dei potenziali terroristi, tenendo lo sguardo serio nonostante sui camper gli italiani stessero allegramente cenando a suon di soppressa, formaggi e vino.

Un clima di terrore finto, anacronistico, di cui proprio non c'è bisogno e al quale in Europa non siamo più abituati, che si avverte anche quando poi si parla con i singoli bielorussi, così restii a usare una parola di troppo per raccontare del loro paese.

Un clima pesante che si cerca di mascherare colorando le staccionate delle case e le facciate dei palazzoni di tinte pastello. A spese del governo.

 

 
 
 

live from BELARUS: 7 maggio

Post n°274 pubblicato il 07 Maggio 2010 da fbellbra

2200 km di Europa viaggiando in direzione nord est. Partenza da Mestre mercoledi  5 maggio ore 15. Via Tarvisio, Austria, Rep. Ceca, Polonia. 5 ore di attesa alla frontiera Bielorussa (con ispezione…). Arrivo  a Gomel (Belarus) venerdi  7 maggio ore 13, con il sole e 26 gradi…

Appunti al volo:  in camper, sui posti sopra il guidatore, si dorme divinamente, soprattutto se sotto le ruote scorrono le strade polacche e bielorusse. Bello anche guidarlo il camper e anche fare i sorpassi dei catorci bielorussi. Ha piovuto tutto ieri, ma oggi faceva un caldo... io ho messo in valigia tanti bei maglioni di lana.

La Repubblica Ceca è piena di splendide colline colorate di gialla colza. Tre giorni senza lavarsi è il mio limite umano massimo. All’Hotel Turist hanno messo il wifi. Gomel con il sole, i palazzoni soviet colorati di tinte pastello e gli alberi da frutto in fiore è bellissima. A distanza di quasi 25 anni dall’incidente di Chernobyl il pericolo delle radiazioni si è semplicemente aggravato…

 
 
 

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