Creato da dolcesettembre.1 il 19/10/2010
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Alda Merini
E' necessario
che una donna
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Messaggi di Maggio 2019
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Non occorre essere laureati in Statistica per capire, dai casi di cronaca che ormai da mesi compaiono sui giornali, che i “nuovi” infanticidi – nuovi perché hanno caratteristiche tristemente inedite – sono ormai un’emergenza. Sono morti ben quattro bambini da gennaio. Giuseppe, sette anni di Cardito, Gabriel, due anni, Daniele, due anni. E infine Leonardo, sempre due anni, ucciso dalla madre e dal suo nuovo compagno. Ci sono somiglianze incredibili in queste storie: genitori generalmente giovanissimi, storie mai nate che finiscono subito, nuovi compagni spesso sbandati, senza lavoro, quasi sempre drogati, violenti a livelli inimmaginabili e, peggio, senza alcuna consapevolezza della propria violenza.
Ad ogni modo, è assolutamente arrivato il momento di andare oltre la cronaca, il cui racconto purtroppo non cambia le cose. Se sono morti quattro bambini in pochi mesi, vuol dire che ci saranno altri casi magari con caratteristiche simili: padri e patrigni violenti, madri violente, bambini molto piccoli, degrado, genitori giovani, senza lavoro, che fanno uso di droghe (la droga, un’emergenza assoluta). Vuol dire anche che è in atto una mutazione drammatica e pericolosissima della famiglia che mette a rischio i più piccoli, più deboli. Vuol dire che non esiste più un vicinato, non esiste più neanche uno straccio di società intorno che protegga la famiglia stessa; anche, semplicemente, controllandola. Un tempo l’occhio che circondava la famiglia poteva essere soffocante, ma almeno svolgeva una funzione di controllo. Nel caso di Leonardo nessuno ha visto e chi ha visto, come alcuni parenti che intervistati successivamente hanno ammesso di aver saputo della violenza dell’uomo, non hanno fatto nulla. Esiste un’omertà diffusa, un’indifferenza generale sconvolgente.
Ma il problema qui è anche lo Stato, sono le istituzioni. Quelle che sono pronte, giustamente, ad attivare la macchina di punizione una volta che un corpo martoriato arriva in ospedale ma che non fanno nulla prima, quando invece avrebbero anche e soprattutto il compito di proteggere i minori. La cosa davvero sconvolgente è che alcuni degli uomini violenti imputati in questi casi erano già noti alle forze dell’ordine per precedenti, spesso di maltrattamento. Perché abitavano in casa con un bambino piccolo, magari non loro?Non solo: alcune di queste famiglie erano conosciute dai servizi sociali, in un caso già due figli erano stati tolti alla madre. Perché se due figli erano stati tolti, altri continuavano a vivere in pericolo? Esiste un’omertà dei servizi sociali stessi? E se non è omertà ma solo carenza, mancanza di fondi, paura stessa della violenza di quegli uomini – le assistenti sociali sono spesso donne – come si fa a proteggere bambini in famiglie apertamente incapaci di proteggere i bambini? Perché nei Pronto soccorso, dove in precedenza erano stati portati, qualche volta i medici non rilevavano la violenza sui bambini (Leonardo era andato per un morso, era stato detto di cane, come è possibile non riconoscere la differenza?). Se le madri, anche, assumevano droga, è probabile che lo facessero anche in gravidanza: i medici sapevano?
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Come la protagonista di una tragedia antica (e dunque eterna). «Non mi lasciare, ti voglio bene», ha pianto disperata Debora, raccogliendo l'ultimo respiro del padre morente.
L'agonizzare di quel disgraziato genitore che lei stessa aveva ucciso. Per porre fine ad anni di violenze, dicono già i magistrati. A lei, ma questo sembra essere stata la cosa che le importava di meno, alla nonna e soprattutto alla mamma, per la cui difesa Debora aveva appena sferrato quel colpo mortale. A nulla era servito l'ultimo disperato tentativo di salvarlo, quel «papà fermati, non fare più niente». Poi le lacrime e addirittura l'implorazione della sua benevolenza, in uno straziante «papà perdonami, ti voglio bene». La dimostrazione che non c'è nulla di più insondabile dell'animo umano, lì nel profondo dove il cuore lotta e alla fine ha così spesso la meglio anche sulla ragione più cartesiana. Perfino di fronte all'evidenza più innegabile. E allora diventa meraviglioso, nel senso che suscita infinita meraviglia, quel mistero della vita per cui un padre o una madre restano papà e mamma. Sempre e comunque, anche al di là di ogni buon senso e magari anche dopo avere indossato per lunghissimi, interminabili anni la maschera del peggiore dei mostri. Quello che nega le cose più sacre, l'infanzia a una bambina e l'adolescenza a una ragazzina costretta a vedere il proprio punto di riferimento distrutto dall'abuso di droghe e alcol invece che dedito al lavoro e alla famiglia. Come fanno quelli di tante amiche e compagne di scuola. Ad aspettarlo comunque con ansia la sera, pensando che qualcosa sia finalmente cambiato e a ritrovarselo invece come sempre ubriaco e pronto a menare le mani. Eppure proprio nel momento in cui quell'incubo finisce, invece della gioia a sopraffare Debora è il grido straziato per averlo perso quel padre. Proprio quel padre. Perché a ferirla ancor più delle legnate, ora è un nuovo dolore. Un dolore lancinante e mai provato, quello di un genitore che se ne va per sempre. E questa è la ferita che non sarà più sanabile. L'ha capito, anzi sentito subito dentro le viscere Debora quel vuoto di amore che nessuno potrà mai più riempire, anche se alle botte qualcuno dovesse sostituire le carezze. Non servirà a niente, perché a mancarle da morire saranno quelle mani ruvide e violente da pugile. Perché quelle erano comunque le mani di papà, del suo papà che non c'è più. Non suoni questo come una giustificazione della violenza che va sempre condannata e possibilmente prevenuta con le denunce, soprattutto quando esplode tra le mura di casa, ma ci pensino bene quelli che in questi difficili tempi di famiglie troppo spesso andate in frantumi, aizzano per vendetta (o mediocrità) i figli contro i coniugi, rei magari di qualche colpa. Grande o più spesso piccola. O anche per nulla. E ricordino, quando arriva diabolica la tentazione, che la legge di natura è sempre per fortuna più forte di quella dei codici. E che anche il peggiore dei genitori, resterà comunque la cosa più importante che ognuno di noi ha ricevuto venendo al mondo.
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In via Santa Croce in Gerusalemme, a Roma, dal 2013 c'è un palazzo occupato illegalmente da centinaia di abusivi: dopo aver accumulato centinaia di migliaia di euro di debiti con il fornitore dell'elettricità, la società ha staccato la corrente, mettendo i sigilli ai contatori. È qui che, come sappiamo, è intervenuto il cardinale Konrad Krajewski: l'elemosiniere di Papa Francesco, infatti, ha sbloccato la situazione togliendo quei sigilli e riportando la luce agli occupanti. Il caso dell"ex sede Inpdap (il fu Istituto nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica) sta facendo molto discutere per l'intervento a gamba tesa del porporato e della Chiesa. Chiesa però che, in passato, ha avuto un comportamento ben diverso quando c"erano in ballo le proprie proprietà.Infatti, come ricordato da La Verità, in molti casi le parrocchie non si sono fatte troppi problemi a sgomberare i propri locali da chi non pagava (più) l'affitto o le utenze: un sacrestano indigente, per esempio, si impiccò per la disperazione, e in altre situazioni furono cacciati senza indugi e remore anche famiglie con bambini, stranieri, associazioni benefiche e anche una scuola media.Era il 2011 quando a Grosseto una 23enne incinta e all'ottavo mese, venne sfrattata da un albergo di proprietà della curia, insieme ad altre famiglie in difficoltà economica. La giovane, tra l'altro, perse drammaticamente il figlio che portava in grembo Sempre in Toscana, ma a Prato, a fine 2015, la curia allontanò un pensionato 65enne che viveva da quattro anni nel complesso parrocchiale, svolgendo i compiti del sacrestano. Lui, senza soldi in tasca, si vide recapitare una lettera che lo invitava ad andarsene entro una settimana: disperato, si tolse la vita.Nel 2013 a Napoli l'Arciconfraternita dei pellegrini decise per lo sfratto per morosità un nucleo familiare di sette persone, finito poi in mezzo alla strada. Ad Amalfi, nel 2015, la curia arcivescovile cacciò dai suoi muri un centro anti-diabete che assisteva 400 pazienti, per poi dare in affitto la proprietà a uno studio legale.E la lista solo parziale fatta dalla Verità è lunga e comprende anche il caso in provincia di Bologna, dove una decina di anni fa le scuole medie del paesino di Lagaro vennero sfrattate dagli immobili della parrocchia che occupavano, quando l"istituto si rifiutò di pagare l'affitto annuo raddoppiato, passato da 11mila a 22euro.Infine, clamorosa la vicenda della "Banca degli abiti" di Salerno, struttura che assiste poveri e senza tetto dando loro vestiti con i quali coprirsi e scaldarsi, sfrattata dalla sede che occupava della parrocchia Maria Santissima della Medaglia Miracolosa.Insomma, viene da chiedersi dov'era il Vaticano e il cardinale Krajewski in tutti questi casi, che non sono stati fatti transitare nel megafono dell'informazione nazionale...
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Ma c’è sempre più richiesta di nocciole nel mondo, e soprattutto c’è sempre più richiesta da parte di quel colosso mondiale – ma italiano – che è la Ferrero. La quale deve anche pensare a difendere il proprio approvvigionamento dalle crisi internazionali. Ed ecco perciò che il colosso dell’alimentazione dolciaria ha avviato un progetto per ottenere entro il 2025 20mila tonnellate in più di nocciole italiane. È il Progetto Nocciola Italia, promosso dalla Ferrero Hazelnut Company, divisione interna della Ferrero nata nel 2014 con il compito di promuovere in agricoltura il settore corilicolo (corylus era il nocciolo dei latini). Ma, come dice il giornalista Raffaele Lupoli, “l’Italia produrrà più nocciole per la Nutella. Ma non è una buona notizia”.La monocoltura della nocciola, infatti, come tutte le monocolture, non è poi così positiva. Innanzitutto, partiamo dalla considerazione che la coltura della nocciola non va a sostituire un’altra coltura in atto, ma spesso – come capita per le bollicine – comporta l’eradicazione di un angolo selvaggio di natura per piegarlo alle nuove esigenze umane (e per favore non chiamiamolo con locuzione antropocentrica “terreno vocato alla nocciola”).
In secondo luogo, la nocciola viene spesso coltivata con abbondati dosi di fertilizzanti e diserbanti per evitare il crescere dei polloni alla base, garantire nocciole più grandi e maggiore produzione: un ettaro di noccioleto coltivato tradizionalmente infatti rende fino a 50 quintali di nocciole, a fronte dei 15/20 quintali che si ottengono dalla coltivazione biologica. In più, sette o otto trattamenti di fitofarmaci all’anno per combattere i parassiti. Quindi, ad onta della pubblicità, non si può certo dire che la coltivazione della nocciola sia oggi ecosostenibile. Come tutte le monocolture.Ma l’avanzata delle monocolture per fortuna non sta procedendo indisturbata. Persone e gruppi sensibili all’ambiente, preoccupati per le trasformazioni in atto, ci sono. Tale è la regista Alice Rohrwacher, che ha indirizzato a fine gennaio una preoccupatissima lettera a Repubblica denunciando i cambiamenti drastici al territorio che la nocciola sta apportando sull’altopiano dove lei è nata, fra Orvieto e il lago di Bolsena: “un paesaggio nuovo, del tutto trasfigurato, dove campi, siepi, alberi scompaiono per lasciar posto a impianti di nocciole a perdita d’occhio”.
Stessa preoccupazione viene espressa questo mese da Carlìn Petrini, che denuncia tra l’altro come “a poche settimane dal voto amministrativo ed europeo pare proprio che il tema della difesa del suolo non faccia parte dei programmi elettorali dei partiti”.
Sempre a inizio aprile, un’iniziativa concreta per fermare il degrado: il sindaco di Bolsena ha emesso un’ordinanza per impedire l’impianto di nuovi noccioleti. “Ordino il divieto sul territorio comunale che cade all’interno del bacino imbrifero del lago di Bolsena di realizzare impianti di noccioleti intensivi, per evitare un elevato consumo di acqua, di fitofarmaci, di antiparassitari, di insetticidi, di diserbanti e di concimi necessari alla coltivazione degli stessi”. Anche se c’è da scommettere che verrà impugnata al Tar.
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Ai microfoni della Zanzara su Radio 24 Oliviero Toscani attacca a testa bassa e finisce per gettare fango su tutti. "Lasciar entrare gli immigrati sarà la nostra fortuna - dice - invece di quei quattro coglioni di italiani che non capiscono niente". Parole al vetriolo che lasciano sbigottiti perché fano seguito a un'intimidazione (tutt'altro che velata) ai figli di Matteo Salvini. "Gli auguro che succeda a suo figlio di essere su una barca e non gli permettono di sbarcare- tuona il fotografo - può darsi che gli succeda".
L'intervista a Toscani, riportata dal sito Dagospia, è un profluvio di odio contro Salvini, contro la Lega, contro la destra e, più in generale, contro gli italiani. Parole violentissime infarcite di insulti che sono state pronunciate alla Zanzara e che sono destinate a scatenare una polemica senza fine. Ovviamente al centro della sua invettiva c'è l'emergenza immigrazione e la direttiva del Viminale che ha portato alla chiusura dei porti italiani ai barconi partiti dalle coste del Nord Africa. "Salvini è un incivile", tuona il fotografo schierandosi totalmente al fianco dei clandestini. "Ma che clandestino del cazzo - sbotta in radio - cosa vuol dire clandestino? Non sono clandestini sui barconi, c’è della gente. Clandestino è il Padre Eterno, che non l’ho mai visto". A suo dire l'invasione non esiste. E, infischiandosene dei numeri dei disperati che negli ultimi anni si sono riversati sulle nostre coste, auspica che ne arrivino altri. Li considera migliori "di quei quattro coglioni di italiani che non capiscono niente”.
Toscani non porta argomenti. Solo insulti. E, anche quando si trova d'accordo con Salvini (per esempio sul fatto che non bisogna farsi le canne), si inventa un distinguo dopo l'altro e finisce nel solito sproloquio. "Non gli tira più l’uccello", dice riferendosi al leader del Carroccio. Quindi passa a inveire contro i sovranisti in generale ("Abbiamo una destra ignorante") e a lodare i francesi. "La Gioconda è italiana perché l'ha fatta Leonardo da Vinci. Ma è meglio resti in Francia perché è curata meglio che se ce l’avessimo noi". Uno sproloquio, appunto. Senza capo né coda. "Smettiamola con questo campanilismo che ci rincretinisce - incalza - io mi sento più vicino a Parigi che a Canicattì”.
A sentirlo parlare alla Zanzara si capisce proprio che a Toscani no va proprio giù il concetto di patria. Proprio non gli piace. "Mi fa schifo", mette pure in chiaro. "È una roba ottocentesca". Poi, dulcis in fundo, eccolo fiondarsi contro Benito Mussolini, il cui fantasma ormai la sinistra nostrana vede ovunque. "Si dice che Mussolini dovesse scopare una donna al giorno - argomenta - quelli che devono dimostrare di scopare una donna al giorno secondo me sono degli impotenti che devono dimostrare di non esserlo".
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Nell'ottobre del 2013 Andrea Spinelli,(foto) 46enne siciliano di nascita ma pordenonese d'adozione, riceve la notizia che mai vorresti sentirti dire: tumore inoperabile. Il suo corpo era stato attaccato da un adenocarcinoma alla testa del pancreas. I medici sono certi, l'aspettiva di vita nel migliore dei casi è 5 anni. Invece Andrea è ancora qui, debilitato certo, ma vivo. E resta un mistero clinico. Lui invece è certo della sua cura: il camminare. Dalla nefasta diagnosi lui ha cominciato a camminare e anche tanto. Da allora ha percorso oltre 13mila chilometri, tutti documentati in un blog.
Parlare di casi come quello di Andrea Spinelli non è mai facile. Non si vogliono dare false speranze a chi come lui sta affrontando un ostacolo della vita che non sempre si riesce a superare. Ma è giusto parlarne. Lo dice lui stesso nel libro che ha da poco pubblicato in cui racconta la propria storia "Se cammino vivo".
"Racconterò la mia storia finché avrò la forza", scrive Andrea sul suo blog. Lui che è stato anche ufficiale di aviazione descrive il momento della diagnosi: "Mi sono sentito come ai comandi di un aereo in fase di stallo e ho reagito non lasciandomi cadere nella disperazione 'come non si può fare più niente? io voglio vivere e anche tanto' ho pensato. Ho trovato la maniera per reagire nel modo più semplice: camminando".
Andrea Spinelli ha cominciato andando in ospedale a piedi, circa 15 chilometri. Poi sono cominciate le piccole escursioni in montagna per arriva a veri e propri cammini: l'arrivo al confine Italo-Austriaco di Tarvisio, le camminate sull'Appenino Emiliano dal passo di Croce Arcana fino a Fucecchio in Toscana. In sei anni 13mila chilometri pari a 19 milioni di passi. "Se di cancro si muore pur si vive" - L'importante, dice ancora Spinelli, non è come andrà a finire ma il modo in cui ci si arriva. Ed è il silenzio quello da cui bisogna uscire. Per Spinelli è giusto avere paura di morire ma non è giusto temere di parlare di cancro: "Se non ne parlo aiuto queste cellule impazzite a uccidermi". Da qui l'idea prima del blog e poi del libro. "Ho un tumore e voglio dirlo a tutti. In tutta onestà, ho pensato molte volte che è importante non rimanere soli, se non mi isolo, se non mi tengo tutto dentro, posso tutto, posso anche perdere, perderò, ma se questo raccontare il cammino con il cancro può essere di sollievo e speranza anche a una sola persona, allora alla fine non avrò perso, ma vinto".
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Mancano i medici. Ma soprattutto mancano i pazienti di una volta. Che fine hanno fatto i pazienti se non hanno più la pazienza di aspettare; se vogliono tutto subito, se pretendono le diagnosi su Whatsapp e vogliono le medicine come se servissero a condire l'insalata? Se la Regione poi promuove le ricette su Whatsapp e i medici fanno i robot, abbiamo fatto centro.
Colpa della tecnologia che ha snaturato i rapporti, che li ha resi freddi nevrotici nervosi; che ha reso tutto subito così facilmente fruibile; ma colpa anche del logoramento delle relazioni, della fretta, della mancanza di fiducia, della convinzione che per essere medici basti leggere su internet. A tutto questo sta cercando di porre rimedio un comitato nato a Treviso dopo che un medico ha battuto i pugni e ha alzato la voce. Lui è Gianfranco Aretini, noto medico di famiglia della Marca che si è visto arrivare la richiesta di una diagnosi dermatologica via Whatsapp. Non solo. Ci sono altri medici che si vedono arrivare le foto su Whatsapp e vengono oberati dalle richieste di chi tra una faccina e un cuoricino pretende di avere un responso su quella macchia comparsa sotto la gamba. O altri medici che vedono arrivare le foto delle analisi con la fatidica domanda: «È tutto a posto vero?». O quelli che in ambulatorio cominciano a scaldarsi, che per un'ora di coda iniziano a vociare e che se per caso il medico non ha la risposta pronta iniziano a maledirlo.
Un'atmosfera sempre più tesa e irrispettosa, come ha spiegato Aretini alla stampa locale. Tanto che lui e, per ora una decina di altri colleghi, ha deciso di riunirsi in un comitato che in primo luogo tuteli i professionisti «vessati e maltrattati» e che si faccia promotore di iniziative per ricostruire e ricucire il rapporto medico paziente. «Pazienti sempre più arroganti, maleducati e pretenziosi - ha spiegato Aretini - Pretendono di sapere già tutto perché lo hanno letto su internet e vogliono una diagnosi su due piedi». O le ricette così in un attimo.
Un'app, Sanità km zero della Regione Veneto, permette di ricevere le ricette nel proprio smartphone e anche di rinnovarle. Bastano il codice fiscale, una password, un click e via. «La Regione Veneto pubblicizza le ricette su Whatsapp spiega al Giornale Riccardo Szumski, medico e sindaco di Santa Lucia di Piave nel Trevigiano così i pazienti ordinano e tu fai il robot. Qualche paziente poi vorrebbe diagnosi, esami e terapie senza farsi vedere». E infatti, non sono pochi quei pazienti che chiamano durante gli orari di ambulatorio e chiedono al medico una diagnosi completa e puntale mentre dall'altro capo della cornetta descrivono i sintomi.
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Donna
Mentre urli alla tua donna
sappi che c'è un uomo
che dedidera parlarle all'orecchio.
Mentre la umili,
insulti,sminuisci,
sappi che c'è un uomo
che la corteggia
e le ricorda
che è una gran donna.
Mentre la violenti,
sappi che c'è un uomo
che desidera
fare l'amore con lei.
Mentre la fai piangere,
sappi che c'è un uomo
che le ruba sorrisi.
VIVA LE DONNE
MERAVIGLIE DELL'UNIVERSO!!