Un blog creato da luc.conifru.nic il 29/12/2011

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IN RICORDO DI AUGUSTO DAOLIO

 
 
 
 
 
 
 

PARIS MON AMOUR

 
 
 
 
 
 
 
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WEST LIFE

..hai preso le mie mani
hai toccato il mio cuore
mi hei sempre presente
vicino a me notte e giorno
attraverso tutte le difficoltà
ma vada come vada
spazzata via da un'onda di emozioni
sopraffatta dall'occhio della tempesta
e ogni volta che mi sorridi
faccio fatica a credere che
tu appartenga a me
questo amore è indistruttibile
è inequivocabile
e ogni volta che ti guardo negli occhi,
so perchè questo amore è intoccabile
sento che il mio cuore non può proprio negarlo
abbiamo riso insieme abbiamo pianto insieme
entrambi sappiamo che da qui ce la faremo
perche insieme siamo forti
le mie braccia sono il luogo a cui appartieni....ai abbracciato forte

...sono stato sfiorato dalle mani di un angelo
sono stato benedetto dal potere dell'amore
e ogni volta che sorridi
faccio fatica a credere che tu appartenga a me
questo amore è indistruttibile
tra fuoco e fiamme
quando arriverà la fine di tutto
il nostro amore continuerà ad esistere...

 

 

 
 
 
 
 
 
 

 

 
« Mattarella al distretto ...Intervista al maestro Al... »

Intervista al maestro Aletti 1° parte

Nel 2011 dopo aver pubblicato in questo blog alcune mie poesie ho conosciuto la casa editrice "Aletti" tramite la partecipazione a vari concorsi e all'adesione alla pubblicazione di diverse antologie ed iniziative poetiche promosse dal maestro Giusepppe Aletti  che gentilmente mi ha concesso questa intervista (inviata via mail) che ho suddiviso in due parti per esigenza di spazio. Ho aggiunto alcuni link che vi aiuteranno a conoscere meglio le attività del poeta, editore, formatore Giuseppe Aletti e dei suoi collaboratori.

 

1) Quando è nata la sua passione per la poesia?


Ho dei ricordi molto nitidi. Facevo la terza elementare, ci diedero dei compiti in cui dovevamo
riscrivere o elaborare un nostro testo poetico. Incominciai a vedere le parole in maniera un po'
diversa da come si possono vedere a livello scolastico, scoprii che attraverso la parola avevo la
possibilità di poter comunicare in maniera completamente diversa ciò che ero. Essendo molto
piccolo, era più una fascinazione poter comunicare con gli altri senza dover parlare, senza dover
essere obbligato a parlare, poiché ero un bambino abbastanza introverso e timido con le nuove
conoscenze, avevo sempre difficoltà nel primo approccio, quando conoscevo nuove persone
rimanevo sempre un po' sulle mie, poi nel momento in cui la conoscenza si normalizzava, diciamo
così , diventavo un ragazzo, un bambino come tutti gli altri, allegro, spensierato, giocoso sempre
voglioso di creare nuovi giochi, di stare in compagnia. Della poesia ricordo benissimo che mi
intrigava la possibilità di solleticare una parte di me che era meno frequentata, che poi ho scoperto,
in età adulta, essere la parte più intima di me stesso.


2) Come è stata la sua infanzia? 


Questa è una domanda un po' ambivalente nel senso che fino a qualche anno fa, nella mia gioventù
fino ai trent'anni ero convinto di aver avuto un'infanzia bellissima, libera nei vicoli del centro
storico di Rocca Imperiale, la mia unica preoccupazione era stare con gli amici giocando a calcio,
per le viuzze tentacolari del borgo medioevale nella massima libertà visto comunque che nel centro
storico c'era un limitato accesso alle automobili o a situazioni rischiose; insomma pericoli veri e
propri dello stare per strada non ce n'erano. Con il passare del tempo, uscendo fuori dalla favola,
dal mito dove ognuno racconta di sé stesso, posso dire che è stata un'infanzia abbastanza
complicata perché avevo delle aspirazioni totalmente diverse da quelle degli altri amici con cui
passavo le giornate, da subito ho percepito una mia modalità di vedere la realtà totalmente diversa.
Mi sentivo differente dagli altri, integrato ma diverso dagli altri ragazzi, per cui nella mia infanzia la
domanda principale che mi ponevo era "come sarei stato a trent'anni", ero incredibilmente curioso
di sapere cosa avrei fatto, in cosa mi sarei distinto, quale strada inconsueta avrei preso, essendo del 1970
 i trent'anni avrebbero coinciso con l'arrivo degli emblematici anni duemila, che a quell'epoca
percepivamo come punto di svolta importante per l'umanità; lo è stato ma in senso negativo, senza
entrare nello specifico, per tutto ciò che è avvenuto:i conflitti, le guerre, le crisi. La voglia di
diventare grande, la curiosità di sapere ciò che avrei fatto a trent'anni in quel periodo era forte
perché sapevo che non avrei fatto nulla di quello che facevano le persone che conoscevo, ma
contemporaneamente anche la voglia di trovare nel futuro una mia stabilità. Quando sei piccolo
ognuno dice la professione che vorrebbe fare da grande, io a questa domanda non sapevo
rispondere, non perché non volevo fare nulla ma perché sapevo semplicemente quello che non
volevo fare, cioè tutto quello che vedevo intorno a me, prima ancora di sapere cosa avrei realizzato.

 

3) In quale contesto? (familiare, scolastico, ambientale ecc)


Il mio contesto familiare è molto semplice, papà era geometra, mamma era maestra di scuola
elementare, successivamente è diventata di ruolo nella scuola materna, all'epoca si chiamava così. ​
Un contesto familiare molto normale: tre figli, io ero quello di mezzo, niente di diverso da tante
famiglie italiane degli anni '70.
Nel ristretto nucleo familiare composto da padre, madre, figli ho avuto sempre molta libertà nel fare
le mie scelte. Indirettamente ho percepito una forma di fiducia da parte dei miei genitori perché mi
lasciavano libero quando facevo o sceglievo cose completamente diverse da quelle a cui erano
abituati per esperienza, per condizione sociale, per quello che era probabilmente il vissuto
all'interno di un piccolo borgo di tremila abitanti. Loro, finché la mia libertà non andava a ledere i
diritti degli altri, mi lasciavano fare, sperimentare. Non sentivo dei paletti dentro quali dovevo stare,
portavo i capelli lunghi, mi vestivo in maniera totalmente personale, non seguivo le mode, cercavo
di soddisfare quello che ero.
A parte queste cose di carattere prettamente estetico, delle scelte anche diseguali che facevo io non
ho mai ricevuto critiche o attacchi da parte della mia famiglia. Questo mi ha dato fiducia nel
provare a fare cose che non erano previste nella vita di paese. Altra cosa è stata la famiglia allargata,
dove la situazione era di scherno, provocazione, nel migliore dei casi.

 

4) Che cosa lo ha portato a lasciare la sua terra e perché?

Gli studi, una volta che avevo finito di fare il liceo scientifico " Enrico Fermi" a Policoro, abitavo in
una terra di mezzo, Rocca Imperiale è l'ultimo paese ai confini con la Basilicata, che per un secolo
e mezzo si è spostato più volte fra la Calabria e la Basilicata; c'erano delle diaspore fra le diocesi di
Cassano, quella di Anglona a nord di Tursi; chi si aggiudicava la diaspora si accaparrava anche
Rocca Imperiale, ci spostavano frequentemente, un po' in Calabria e un po' in Basilicata. Il primo
paese lucano in Calabria. Mi sono sentito sempre più lucano che calabrese. Ho sempre vissuto quasi
sempre in Basilicata. Ho fatto le scuole superiori, le ho fatte a Policoro nel cuore della Lucania che
ha anche lo sbocco verso il mare. Poi mi sono iscritto all'università per cui è stato un approdo
perché altrimenti non avrei potuto continuare gli studi. Visto che avevo deciso di prendere
psicologia, non perché volessi fare lo psicologo, ma perché cercavo nuove informazioni che
sarebbero state importanti per la mia crescita personale e per la mia consapevolezza. C'erano solo
due facoltà di psicologia a quell'epoca: Padova e Roma, e Padova mi sembrava veramente
lontanissima e troppo distante, in tutti i sensi. Per quella che era la mia esperienza, città che già
frequentavo da tanti anni, Roma è stata un bene, tutto quello che ho fatto sarebbe stato impossibile
realizzarlo restando a Rocca Imperiale.

 

5) Chi o che cosa ha o hanno ispirato le sue poesie?


Sono un onnivoro a livello culturale per cui non ho una predilezione, anche se
essendo un esistenzialista da sempre provo una sorta di empatia, una fratellanza, una vicinanza con
tutti quelli che hanno provato a dare un senso profondo al nostroessere finiti e a scadenza. Le mie
poesie vertono verso quello slancio: cercare un senso al nostro passaggio terrestre. Ho scoperto da
molto piccolo che il nostro tempo era finito, che era la morte a nascondersi dietro la vita; è stata una
consapevolezza drammatica, non è stata una cosa gioiosa percepire che prima o poi lo spettacolo
colorato finirà, per cui anche la mia scrittura si sofferma molto su due ambiti: quello della ricerca
del senso di quello che facciamo all'auto realizzazione, in ogni artista che si rispetti c'è
autodeterminazione, nel senso individuale di dire: "Io sono". Questa autodeterminazione c'è l'ho da
sempre, da quando ho la consapevolezza della mia esistenza. Mi sono sempre mosso nel cercare di
migliorare la realtà circostante e di conoscenza di me stesso.


6)Quali sono stati i suoi o sono i suoi autori preferiti?


I miei autori sono veramente tantissimi, è difficile fare un elenco, di alcuni autori mi piacciono
anche soltanto due poesie che ritengo fondamentali, di altri opere intere, l'esistenzialismo è il mio
punto di riferimento anche nella scelta degli autori o artisti da frequentare. All'interno di questa
lente d'ingrandimento si può trattare qualunque tipo di argomento, mentre da un punto di vista
linguistico preferisco maggiormente, invece, quegli autori che utilizzano un linguaggio di tipo
evocativo, che non si accontentano della prima cosa che gli passa per la testa, che spesso è una cosa
scontata, banale, prediligono la comunicazione per immagini. Utilizzando una comunicazione per
immagini, dicevo, tendono a suggerire al lettore un percorso, una selezione, non dichiarano subito
tutto, non è una poesia totalmente immediata, che non vuol dire fare un testo complicato o
ermetico. L'ermetismo poi non esiste: l'ermetismo non è altro che una mancanza d'informazione
del lettore nel capire come il poeta ha incasellato le parole all'interno della poesia. L'ermetismo non
esiste altrimenti sarebbeuna sorta di incomunicabilità, è semplicemente diciamo una modalità
diversa d'inserire delle parole all'interno del testo poetico, ma in generale non è quello che mi
interessa, mi interessa invece la capacità del poeta di utilizzare anche parole comuni, che inserite
nel contesto poetico, perdono il loro significato originale per acquisirne di nuovi, di più originali,
questi sono i poeti che mi piacciono, dire quali sono è assolutamente riduttivo. Come regola
generale, ogni qualvolta che c'è l'urgenza io di solito sono all'ascolto.


7)Quando e come è iniziata la sua professione di editore?


La mia professione di editore nasce in maniera abbastanza casuale. Scrivevo, avevo poco più di
vent'anni, facevo parte di gruppi poetici spontanei. Ricordo che andavamo al quartiere Ottaviano, il
sabato notte, in uno di questi sotterranei, un po' esoterici della Roma bene. Io non facevo parte di
quell'ambito lì essendo uno studente universitario squattrinatissimo che faceva grande difficoltà ad
arrivare a fine mese; però ogni tanto venivo invitato da questi gruppi poetici borghesi. Mi ricordo
che c'erano tutte le persone in cerchio, in mezzo ci stava un fiasco di cinque litri di vino, questo
fiasco girava con bicchieri piccolini come quelli dei contadini: dodici bicchieri un litro; quando
finiva il vino di solito finiva anche la riunione; ma nessun gruppo mi dava quello che cercavo. Mi
ricordo che risposi a un annuncio su Porta Portese: un giornale che all'epoca andava fortissimo;
c'era una sezione che parlava degli annunci artistici per cui andammo in un centro anziani a Piazza
Colonna, un posto bellissimo dove andammo a fare questa riunione fra tutti quelli che potevano
essere i nuovi collaboratori, perché volevano aprire di nuovo un giornale sociale, con una grande
attenzione alla cultura. Quando siamo arrivati ci siamo accorti che eravamo quasi tutti ragazzi che
già si conoscevamo. I due organizzatori dell'incontro cominciarono da lì a pochi minuti a
litigare, scoprimmo che questa dinamica di astio e conflitto andava avanti da sempre, ed era anche il
motivo per cui la prima esperienza del giornale che avevano già fatto si era arenata. Allora uscendo
fuori ho detto: "Viviamo quasi tutti nella stessa casa, su otto persone sei già ci conosciamo da
tempo, perché dobbiamo lavorare per questi qua che litigano, che non hanno una prospettiva, o un
poco di attenzione per noi che abbiamo dato la nostra disponibilità, perché non apriamo noi una
nostra rivista?"
Per cui aprimmo la rivista da lì a qualche settimana, una fascicolazione di
fotocopie, ma eravamo senza soldi.
Di tanto in tanto andavamo in copisteria per stampare delle copie, facemmo il numero 0 di cui io
ero l'editore e il direttore, con il numero 0 non c'era bisogno di essere registrati al tribunale civile di
Roma; dopo qualche mese avevamo già fatto seicento copie, per cui c'è stata subito una grande
attenzione e una grande curiosità verso la nostra proposta comunicativa. Da lì a qualche tempo
facemmo il primo numero stampato in tipografia, le nostre prime mille copie e in quell'occasione
confermai che avrei fatto l'editore assumendomi tutti i rischi del caso, da lì è partito tutto. Dopo
pochi anni la rivista Orizzonti ha iniziato a stampare libri, poi di volta in volta a inaugurare collane ​
di settore, fino ad arrivare ad oggi dove spaziamo un po' ovunque, dalla pubblicazione cartacea,
all'ebook, alle video poesie, concorsi, formazione, festival letterari.

 

8) Ha incontrato difficoltà in questa attività e se si come le ha superate? 


Le difficoltà di fare l'editore: a quell'epoca tantissime!
La mia professione di editore nasce con difficoltà enormi. Ricordo quando uscì il primo numero
della rivista Orizzonti, quando arrivò questo numero e non avevamo neanche un punto vendita dove
mettere la rivista in esposizione perché siamo partiti veramente da zero. Ricordo che quando arrivò il
primo numero della rivista orizzonti, nello stesso giorno mi chiamò mia madre per dirmi che era
arrivata la cartolina per andare a fare il militare, avrei dovuto andare a fare dodici mesi di VAM che
è la vigilanza armata militare, se non ricordo male che si chiami così, era comunque un corpo
speciale dell'aereonautica. Per cui difficoltà tantissime, siamo partiti da subito trovando prima le
prime edicole dove mettere la rivista, poi le prime tre librerie Feltrinelli a Roma. Da lì a 
qualche anno ci diedero cinque librerie Feltrinelli per testare l'accoglienza dei lettori che fu
entusiasta con numeri di vendita sorprendenti per una rivista letteraria, poi dopo qualche mese
ancora, tutte le librerie Feltrinelli d'Italia. Questo è stato un percorso molto, molto accidentato, per
tanti anni la redazione era il luogo in cui vivevo e lavoravo, insomma non è stato semplice. Sono
quei percorsi particolari che tu porti avanti sapendo che hai novantanove possibilità su cento di
fallire e il fallimento in quel caso coinvolge non soltanto l'aspetto professionale ma anche quello
personale: bisogna imparare a buttarsi senza paracadute, hai due possibilità, ti schianti o impari a
farti il paracadute mentre sei in volo, oppure, ancora meglio, impari a volare.
Difficoltà ne abbiamo avuto tantissime, per tanti, tanti anni; a volte mi pronosticavano che a
quaranta anni sarei stato un grande fallito, mi dicevano, mi consigliavano di lasciare perdere e di
dedicarmi ad altro perché c'erano ritmi di lavoro impressionanti e solo costi, mai benefici. Tutto è
difficile prima di diventare facile, nonostante le difficoltà ogni giorno inserivamo un tassello, poi un
altro tassello, e poi un altro ancora, con determinazione.
Inevitabilmente da lì a poco tempo diventammo la rivista letteraria di poesie più seguita del
circuito Feltrinelli, questo ci diede un grande seguito di lettori, poi incominciammo ad aprire la
nostra casa editrice, a pubblicare i nostri primi testi, abbiamo avuto la possibilità di superare questi
momenti di crisi grazie alle persone che ci seguivano, ce ne siamo accorti da lì a pochi anni che
avevamo uno zoccolo duro di lettori, avevamo più di tremila lettori per una rivista letteraria che sono
numeri altissimi: avevamo più di mille abbonati. Intorno a questo consenso popolare, nel senso più
bello e alto del termine, abbiamo cominciato a costruire piano la nostra attività, però eravamo
sempre molto soggetti a fenomeni terzi: la rivista se non avevi un certo tipo di distributore non
potevi andare in alcuni circuiti e così via. Nel momento in cui è arrivato Internet, noi siamo
letteralmente esplosi, perché dal punto di vista dei contenuti la rete premia, la rete ha tante cose
negative e positive, ma nel momento in cui noi siamo usciti sulla rete è stato veramente dirompente,
avevamo fatto, oltre alla rivista cartacea che usciva ogni due mesi, anche quella on line con quattro,
cinque pezzi a settimana, sui libri, sul cinema, sui film sulla pittura ecc.
Mi ricordo che solo dopo dieci mesi il sito della rivista Orizzonti.net diventò tra i siti più visitati d'
Italia, al Premio WWW indetto dal Sole Ventiquattro Ore, suddiviso per categorie, arrivammo tra i
primi 10 posti nella sezione cultura, fummo invitati come finalisti allo Smau. Eravamo l'unica realtà
indipendente tra tutti i colossi della comunicazione. Lo studio continuo delle innovazioni ci ha poi
portato ad avere un numero sempre più ampio di persone che ci seguivano, a tal punto che il paese
della poesia nella primavera dello scorso anno ha fatto oltre 5 milioni e mezzo di persone raggiunte
con i post pubblicati senza pubblicità, e con ben 550.000 interazioni, significa che le persone non
hanno soltanto visto un post, ma ci hanno messo un like, un commento, l'hanno condiviso, ci hanno
cliccato sopra per leggere quello che avevamo scritto; sono numeri incredibili trattandosi ​
comunque principalmente di post culturali spesso legati alla poesia. Ormai complessivamente sui
social abbiamo 200.000 follower, per cui ciò che ci ha salvato è stata la possibilità di diffondere ciò
che noi proponevamo a un pubblico sempre più ampio, non mediabile dai giornali, diversamente
ogni volta per parlare alle persone dovevi andare in tv o su un grande quotidiano, cosa che noi
ovviamente non avevamo la possibilità di fare, perché non facevamo parte delle consorterie. La
rete è stata come rompere le catene; ci siamo andati a cercare da soli il nostro pubblico perché poi
nella rete la cultura sedimenta, si diffonde piano, piano, e raggiunge il tuo pubblico; c'è sempre
qualcuno ad attenderti quando la comunicazione è autentica, perché le persone davanti alla verità
fanno un passo avanti, è davanti alla finzione che fanno un passo indietro.

 


9)Come sono iniziati i rapporti e le collaborazioni con Alessandro Quasimodo, Mogol e Hafez Haidar e altri autori?


Le collaborazioni con Quasimodo, Haidar e Mogol sono tutte iniziate tramite il Federiciano perché
fino al 2019 facevamo questo enorme festival estivo, il festival è stato fatto comunque fino a poche
settimane fa, in forma diversa perché in inverno. Il federiciano va avanti dal 2009, dal 2014 al 2019
si è svolto per ben nove giorni consecutivi. Nel 2019 abbiamo fatto addirittura trentotto
manifestazioni in nove giorni per cui di anno in anno invitavamo intellettuali, poeti, artisti.
Abbiamo avuto grandi artisti, da Gianluca Grignani a Federico Moro, Giancarlo Giannini, Michele
Placido, Alessandro Hader; tutti sono passati dal Federiciano, Katia Ricciarelli, Francesco Baccini,
La Rino Gaetano band, tanti poeti contemporanei, grandi poeti internazionali: Hafez Haidar, Dato Magradze, miei carissimi amici. Quando si ha la possibilità di invitare nuovi artisti di solito ci sono
due possibilità: si fa la manifestazione dove la persona è venuta per motivi professionali, uno lo
invita, si concorda ciò che devono fare, finisce la manifestazione, si rimane in contatto in una
maniera molto superficiale, ci si saluta e finisce là; ogni tanto capita, nemmeno così tanto di rado
nel mio caso, che nascano delle amicizie o dei veri e propri sodalizi.

 

 
 
 
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finestra

Vilma (gallovil), Massimiliano Gentile e i nostri cari guidano i nostri passi dalla finestra dell'universo.

 
 
 
 
 
 
 

PREGHIERA PER IL NUOVO ANNO

 

Quando ho paura
inghiottita dalla notte scura,
vedo la tua luce
il tuo volto che riluce.

Quando perdo la speranza
sento la tua voce in danza,
che mi indica la via
e sostiene l'anima mia.

Quando non vedo coi miei occhi
tu li apri e il cuore tocchi,
la tua strada è sempre là
per chi cerca la verità.

Quando guardo le mie mani
vuote senza domani,
trovo la tua forza infinita il futuro oltre la vita

Tu ci sei non mi abbandoni
sono io che non vedo i tuoi doni,
donami Signore il coraggio
di portarti nel cuore in questo viaggio.

Manuela

 

 
 
 
 
 

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