Creato da ditz il 21/02/2005

scrittori

a fondo perduto

 

 

La finestra gioiosa

Post n°215 pubblicato il 21 Agosto 2008 da ditz

 
 
 

L'intervista a Mourinho e la granita al cioccolato

Post n°214 pubblicato il 09 Agosto 2008 da ditz

Quelli che nel loro vocabolario etico e delle buone maniere non hanno la parola Grazie. Hanno convinzioni e convincimenti, il forse non li sfiora, non gli fa accapponare la pelle l'idea instabile, la piattaforma poggiata su un mare forza otto. L'intervista a Mourinho in tv è stata all'insegna della sicumera, della calma piatta, dell'apatia dell'answer the question. Mourinho personaggio, Mourinho fabbricatore di cervelli vincenti: rebus sic stantibus, Mourinho delusione. Ma chi se ne frega di Mourinho, poi?

Era tanto per dire: si creano delle aspettative che puntualmente vanno deluse.

Ecco, Mourinho mi dà l'idea di "quello che sa tutto, ma questo è tutto quello che sa".

Come quelli che aspetti sempre che chiedano scusa, che dicano Abbiamo sbagliato! Sì, insomma, quelli maturi, belli stagionati, avanti negli anni, quelli intorno ai quali s'era formata un'aura di aspettative. Deluse.

Se m'allenasse Mourinho, con la sua filosofia del vincente, avrei un crollo di serotonina.

Non vi capita quando vi circondate di vincenti tosti? Ti dicono: "Vedi, non è come pensi tu... Ecco, ora ti spiego io..."

Pluff, botta di depressione istantanea, picco all'ingiù.

Ci si riprende, forse, solo con una granita al cioccolato con panna e brioche.

 
 
 

Camera con vista

Post n°213 pubblicato il 29 Luglio 2008 da ditz

Prendo la camera digitale e me ne vado in giro per la città. Mi fermo a ritagliare un pezzo di sud. Clicco su Camera, stringo l'inquadratura, sbaglio subito porzione, l'allargo veloce. Stop.

Tutto da rifare. Ciak, azione. Guardo nell'obiettivo e mi sembra un'immagine quasi giusta. Onesta. Realtà uguale realtà. Muovo un po' la mano perché sembri più vera. Ma ne esce una cosa diversa. La realtà deturpata. Infastidita. Cancello.

La sera c'è Mollica che parla di Federico Fellini. Su una panchina poco più in là mi sembra di vedere Margarette Von Trotta. Dopo un po' si adagia supina su quella stessa panchina. E quella è la scena che avrei voluto riprendere.

In una città del sud Italia, Mollica e la Von Trotta: omaggio a Fellini. C'è un po' di gente e sembra interessata. Il palco è allestito così così. Dietro c'è un castello aragonese: una cornice niente male. La sera dopo tutti a vedere "Rosenstrasse". Pochi chilometri più in là c'è un manicomio di decibel per sdrammatizzare: si balla, due si pestano a sangue, il lungomare è intasato.

Non sono mai stato tanto attaccato alla vita. Così me ne torno a Rosenstrasse. Qualche chilometro più in là. Con la camera a tracolla. E la memoria vuota.

 
 
 

Film rouge

Post n°212 pubblicato il 29 Luglio 2008 da ditz

"Irina Palm" è un film commovente. Plot: una nonnina speciale (Marianne Faithfull) si inventa un lavoro che non c'è, almeno non c'è per una nonna! E' una storia che trasforma magicamente ogni cosa brutta in incanto: restituisce speranza alla vita anche quando la speranza sembra una parola rarefatta, lontana, velata da ombre pesanti. Irina Palm alla fine è un film che sta dalla nostra parte. Che prende la vita dalla parte buona.

"Tutta la vita davanti" di Paolo Virzì è il film che ci riguarda come generazione P. Quella dei precari, per sempre. Che sia un call-center o una scuola poco importa. Le vicende di una ragazza che si laurea in filosofia col massimo dei voti, bacio accademico e diritto alla pubblicazione della tesi, sono vicende che raccolgono un mondo fatto di sogni frantumati alla prima curva reale. "Tutta la vita davanti" ha dimestichezza con il mondo dei precari, dei parvenu, delle mezze calzette che recitano anche con loro stesse. Quando finisce, ti sembra che Virzì abbia raccontato con i tuoi occhi. Li chiudi e pensi che hai ancora tutta la vita davanti, almeno nei sogni.

C'ho trovato un fil rouge anche con "Caramel". Non chiedetemi perché. Forse solo perché li ho visti uno appresso all'altro. Da vedere non fosse altro che per l'ambientazione. Ma anche per la leggerezza e l'intelligenza del raccontare. E i colori molto almodovariani sembrano un richiamo all'occidente, mentre il fascino del film sta nel sapersi districare dentro un Libano oltre il solito cliché.

 
 
 

Scusa Ameri

Post n°211 pubblicato il 24 Luglio 2008 da ditz

Scusa Ameri, ti interrompo dall'Olimpico: è finita con una vittoria schiacciante del Governo sui Docenti Precari. Doppietta di Gelmini, terzo gol di testa (nonostante l'altezza non propriamente vatussa) di Brunetta in sospetto fuorigioco. E rigore trasformato allo scadere dall'immune Berlusk.

Spettatori paganti: 300.000 precari.

Spettatori: i sindacati.

Arbitro: Trentamilalounge.

Terreno di gioco tenuto in buone condizioni dal personale ATA.

Umidità: quella misurata nella zona oculare vicina al cento per cento.

A fine gara il premio Sky come miglior giocatore  è andato a Umberto Bossi per l'irruenza ariana e la generosità padana con cui ha soverchiato un centrocampo avversario indebolito da anni di aggiornamento-graduatorie e da sfiancanti cavalcate fuori casa negli anni del pendolarismo totale.

Poche a questo punto del campionato le chances di salvezza della squadra Docenti Precari. La B è alle porte. Si prospetta un girone infernale per una formazione che tutto sommato non aveva demeritato. Gioco di squadra poco, certo. Ma lo schieramento con i quattro matematici in linea, i tre centrocampisi filosofi, i due fantasisti letterati e l'ariete di educazione fisica lì davanti, era parso dignitoso.

Scusa Ameri, ti restituisco la linea.

 
 
 

Lombroso e il posto di lavoro nella P.A.

Post n°208 pubblicato il 02 Luglio 2008 da ditz

Io me le ricordo le facce dei socialisti. Le facce degli assunti. Le facce di quelli che assumevano. E mi ricordo che non erano facce inquietanti. Non c'era nesso lombrosiano tra il loro aspetto pubblico e la necessità del posto, preferibilmente pubblico.

Ricordo che Ferrovie dello stato e Telecom la facevano da padroni in quel settore oggi riqualificato con la dicitura "segnalazioni".

Segnalavano i socialisti, eccome se segnalavano. Gli altri, i ciucci, votavano comunista. E perdevano. Perdevano elezioni e vita.

I socialisti di allora vincevano alla grande e ficcavano parenti e affini dietro scrivanie, dentro stanzoni che si riempivano di fotocopiatrici, di aggeggi che quasi nessuno sapeva usare: scatole computerizzate sancivano il ricorso a parole nuove: competenze, per esempio.

Non so se la scuola abbia avuto metodi simili nel reclutamento del personale.

Di certo, tra i miei insegnanti più d'uno ha giocato sporco con la propria onestà intellettuale.

La P.A. per lungo tempo ha stipendiato tanti italiani. Ha permesso loro che acquistassero case, macchine et similia: ha consentito persino che si ammalassero.

Noi abbiamo creduto che il sistema fosse ingiusto nel reclutamento, ma giusto nella tutela.

A posteriori ci domandiamo se i diritti dei lavoratori di allora debbano diventare oneri sui lavoratori di oggi, se la malattia di allora sia stata una malattia più vera della malattia di oggi, se le segnalazioni di allora non abbiano avto nemmeno un'equivalenza a perdere: che so, due lauree, un master, quattro aggiornamenti, tre perfezionamenti. No, eh?

Oggi, gli amici di quelli che allora fecero scempio della P.A. hanno deciso di razionalizzare.

Voglio credere che sappiano fare. Voglio credere in questa cosa insieme a loro. Non voglio criticarla. Non voglio pensare che le facce di questi siano come quelle dei socialisti di allora.

Non c'è nesso lombrosiano. Hanno facce pulite. Non faranno mai una cosa da criminali.

Che dite?

 
 
 

La parola "forse"

Post n°207 pubblicato il 30 Giugno 2008 da ditz

Quante volte c'è uscita di bocca. E con quale antitetica sicurezza. Pareva valesse "sicuro!". E invece no. Era "forse... ". Forse. Ci vediamo? forse. Quando torni? forse giovedì. Vai a scuola? forse. Quando entri di ruolo? forse tra un paio d'anni.

Forse. Quante volte l'abbiamo usata senza sapere perché.

Deriva dal latino forsit che significa fors sit. Sia la Fortuna.

Forsit. Oppure forsitan.

Ah, il latino. Forse lo leveranno dalle scuole. Non è manageriale.

Fors sit!

 
 
 

Quando un ministro di classe spinge un prof a diventare scrittore

Post n°206 pubblicato il 28 Giugno 2008 da ditz

(Prove tecniche di scrittura)

Dopo il primo fortunato libro di racconti minimi "Mappa per scrittori a fondo perduto", il nostro Ditz decide di chiudere per sempre con la scuola e di cimentarsi con un altro genere di finzione: il romanzo.

Non prendetevela con lui. La colpa è del ministro di classe, la Gelmini, che ha smania di porre fine al registro di classe.

Quando scrivo ho anch'io, come la mia alunna Alessandra, la faccia seria. Ho la faccia seria e schifa, tanto per intenderci. Ho la faccia di uno che ha appena perso le elezioni. O di un tifoso davanti alla tv che vede perdere la propria squadra perché il talento, il migliore, il numero dieci sbaglia un calcio di rigore.

Allora che scrivi a fare? 

 E' come un disintossicante prima di andare a vivere.




 
 
 

Il commissario esterno pararigori

Post n°205 pubblicato il 23 Giugno 2008 da ditz

Il commissario esterno è un lavoro italiano. Il più tipico dei lavori italiani. E la parola "italiano" va intesa nel senso che gli ha attribuito Francesco Merlo nella splendida prefazione di "Uno, nessuno e centomila" per i tipi Rcs - il Corriere della sera. Tradotto: doppio.

Il commissario esterno sprizza sudori schizoidi. Lo capisci dall'incedere tentennante nei corridoi affollati della scuola  presso la quale è stato invitato a espletare il suo compito di esaminatore di commissione.

Da un lato abbozza improbabili sorrisi. Dall'altro mugugna un "ma chi cazzo me l'ha fatta fare!". Da un lato deve mostrarsi autoritario e irreprensibile e ispettore impettito. Dall'altro lascia trasudare compassionevoli rassicurazioni rivolte agli alunni che non conosce ma che denigra per i consueti e raccapriccianti modi del copiare.

Il commissario nell'aula copia e incolla è una figura rocambolesca della produzione letteraria fantasiosa e bellamente insidiosa che va sotto il nome di scuola.

Diciottenni ingegneri del banco-trincea erigono cattedrali gotiche di vocabolari di italiano durante la prova scritta di matematica. Ogni tanto sgusciano a latere schiene da rettili di alunni contorsionisti al suono del pifferaio magico: rovinano al suolo in cerca di arraffare qualche foglietto smistato da tasche colte. Sembrano  attaccanti tuffatori dopo un dribbling di troppo.

Poi, di tanto in tanto, fintano di pensare. E quello è l'alibi più suggestivo: "Non è come pensi, commisario testa di cazzo. Non potrei mai scartucciare dalla cartucciera numero 12, il proiettile-tema, collocato, ignobile scherzo del destino, oltre la innaturale propensione del braccio a roteare fino alla scapola opposta".

Cioè, non è che il maturando dica proprio così. Certo, quel suo pensare profondamente, quello strabuzzare gli occhi in cerca della frase a effetto, quell'idea acchiappata al volo da chissà quale buio profondissimo e mite, quell'accavallare la gamba per una più ergonomica cattura del foglio incartucciato nel punto della più stravagante scoliosi, sono gesti commoventi che ci inducono a ribadire un secco e ammirato grazie al commissario esterno nell'aula copia e incolla, per la solerzia della sua tenacia, per l'assidua compostezza dei suoi vaffanculo trattenuti rigorosamente dentro.  

Se l'alunno è la quintessenza del contapallismo,  il commissario esterno incarna a sua volta lo stemma araldico della finzione cinematografica. Con ammirevole vocazione hollywoodiana, osserva tutti in un ignaro e lontano orizzonte senza quasi mai farsi cogliere dall'alunno nella più facile delle coniugazioni: io so che tu sai che io so.

Il commissario esterno non esterna invece alcunché. Il commissario esterno deve pazientare, è più attendista dell'Italia pallonara, tanto prima o poi finiranno questi tempi regolamentari.

I supplementari arrivano quando siamo già allo stremo delle forze. Per sfinimento, il commissario è sopraffatto. Cede allo sguardo dell'alunno. Il gioco si inverte ancora. Il commissario allora sgranchisce il suo autorevole e autoriale: DIGNITA'! SI ESCA CON DIGNITA', ALMENO!

Questo è un punto della faccenda piuttosto complicato. Le sostituzioni sono già state effettuate. Restano solo i calci di rigore.

I colloqui o prove orali sono appunto i calci di rigore. Gli alunni, almeno, così li intendono. Sperano che il commissario-Buffon lasci correre. Non provi a tuffarsi. Non si allunghi sul lato giusto a cacciare dalla porta quel bellissimo tiro dagli undici metri che ha svariati nomi: Il ruolo della donna nel salto da un secolo all'altro, oppure La ricerca della possibile felicità, o ancora Amore e morte, due facce della stessa medaglia e via discorrendo.

E invece il commissario-portiere non resiste. L'istinto lo cattura. Lo ammalia. Lo porta al tuffo, all'intercettazione. "Vuole il maturando approfondire questa tematica? Ecco, Dante nel III canto del Paradiso, ecco, la donna, vediamo la nota vicenda di Piccarda, me ne parli. Oppure, facciamo così: meglio ancora: prenda il libro: un testo, grazie. Mi analizzi l'incipit".

Parata.

Eliminazione ai quarti.

22 all'orale.

 
 
 

Ripenso il tuo sorriso che si fa smorfia, si fa ghigno

Post n°204 pubblicato il 20 Giugno 2008 da ditz

Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un'acqua limpida

a K.

R
ipenso il tuo sorriso, ed è per me un'acqua limpida
scorta per avventura tra le pietraie d'un greto,
esiguo specchio in cui guardi un'ellera e i suoi corimbi;
e su tutto l'abbraccio di un bianco cielo quieto.

Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano,
se dal tuo volto si esprime libera un'anima ingenua,
vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua
e recano il loro soffrire con sé come un talismano.

Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie
sommerge i crucci estrosi in un'ondata di calma,
e che il tuo aspetto s'insinua nella memoria grigia
schietto come la cima di una giovane palma...


(Eugenio Montale, Ossi di seppia)

Ripenso il tuo sorriso nel nitore limpido di un'acqua poco ministeriale. Ripenso a Montale, forse sul volto mi traspare una smorfia, forse un ghigno. Forse non ci sanno fare. O forse sì: ce lo ricorderemo eccome, quest'esame.

A ripensarlo quel sorriso, cadiamo dentro al liquido ancestrale, lieve e naturale, per levigarci le ferite ungarettiane, le ferite dell'ammasso rude della R, desertica e raffinata.

L'abbraccio di un bianco cielo quieto avanza nei ricordi di Montale, quando ripensa a quel sorriso, ingenuo o dolorante, anima lieve, danzante su certe infiorescenze, mentre ramingo porta la sofferenza come un talismano.

Eppure l'effigie pensata evoca calma inaudita, annulla i crucci della vita ruvida e malata: il dolore del mondo, il male di vivere, il rivo strozzato che non gorgoglia manco più. Il suo aspetto (di lei? macché, di lui!) è nella memoria del Poeta: mica si sfolla nella nebbia di sempre! Non recide la forbice quel volto. Casomai, lo trasforma come mani di Edward in una giovinetta palma, alta, distesa, lieve, elegante, calma. Come un sorriso contro i crucci del mondo.

Non c'entra la figura della donna forte e consolatoria contro quella fatale e funesta. Resta, semmai, l'ellera del panismo dannunziano. Ma nemmeno. Qui l'abbraccio calmo dei versi lunghi non è un distillato nervoso e brillante di gocciole e foglie lontane. E' invece l'approccio del pensare, il tempo lungo della parola che si fa "effigie" nel ritmo lento della "memoria grigia": poi scava abissi dentro cui nascondere crucci, da cui tirar fuori talismani e amuleti.

Ci salva la parola, allora. Soltanto quella, piena colma di miraggi e di segreti. Non ridondante o enfatica, neppure delle Rimembranze leopardiane, nonostante quel "Ripenso". Che ci rimane allora? Il ricordo di un sorriso che appiani le rughe della storia. Del tempo. Della memoria.

 
 
 

Cassano e gli Esami di Stato

Post n°203 pubblicato il 15 Giugno 2008 da ditz

Scuola a oltranza. Si finisce e già si ricomincia. Si va a valutare. Piccoli ragazzi crescono. A voti magicamente diventati crediti. Ci polverizza l'estate il dribbling di Cassano. Il dribbling di Cassano è astorico. E' irrimediabilmente antiretorico. Il dribbling di  Cassano me lo voglio portare agli Esami di Stato. Ci polverizza le certezze. Non ha un criterio né un metodo. Finiamo per sbatterci la faccia contro. Ce ne innamoriamo subito. Appena lo vediamo. Ci ammortizza il dolore degli anni fracassati contro un tempo in accelerazione. Ci fa partecipi anche se non lo capiamo. Non si capisce, né capere si può. Non lo prendi un dribbling così, nel cervello. Non ci appartiene. E' astorico. Non ha grande tradizione.

Scuola a oltranza. Noi docenti si va a valutare. A dare voti. A omologare. In mezzo a quell'egualitarismo che ha prodotto una pletora di mediani, in mezzo a nugoli di polpacci in interdizione, in mezzo a quel caos calmo di rilanci e carambole, mi porto negli occhi il dribbling di uno che a scuola manco ci voleva andare.

Di uno che non sa che cosa farsene della poesia, della matematica, della religione. Di uno che però quando lo vedi è come un libro spalancato su un banco di scuola mentre fai compito e vorresti sbirciare e tentare di copiare. Hai voglia a provare e riprovare. Non c'è copia che tenga. C'è qualcosa di alogico, di poco etichettabile. Una pagina incomprensibile, scritta con parole troppo piccole.

E noi mediani siamo. La mischia caciarona ci piace, non la fuga solitaria verso l'area di rigore dopo due finte, dopo due parole. Non la capiamo quella fuga, quando è imbastita come una poesia. Quando ci spezza il fiato a colpi di genio, se poi non porta al risultato ne condividiamo solo il peso, l'assecondiamo solo per ribadire i nostri "tuttavia". Non abbiamo scampo. La cura del fantasista ci fa paura, se l'Italia non arriva finalista. Preferiamo il torpore lento e macchinoso. Il colpo risolutore del fattore C. Il gol per caso, magari di un difensore: meglio di un marcantonio salito al cielo a spazzolare le nubi d'una estiva eliminazione.

Il Cassano che piace a pochi, quello che rompe a pezzi la tela dell'artista, come nell'incipit bello e raffinato della "Noia" di Alberto Moravia, quel Cassano ce lo raccomanda direttamente un qualche dio, e cade nel mare del talento dopo una fuga a zigzag, come un lampo che cerca strada contro ogni fatica, ogni dolorosa depressione, prima di perdersi di disperdersi nella sua eterna rivoluzione.

 
 
 

Piccoli prìncipi e grandi princìpi

Post n°202 pubblicato il 02 Giugno 2008 da ditz

Bisogna cambiare la scuola. Un cambiamento non marginale. Un cambiamento radicale. Strutturale. Non si può rimanere legati alla trasmissione di saperi. C'è una intensità, un modo di imparare. A quello dobbiamo guardare.

Dobbiamo interrogarci su che senso abbia allestire collegi dove non si accenni al valore della didattica. Dobbiamo trovare il modo di insidiare la tranquillità, la certezza, la sicumera, il sapere scolastico a oltranza.

Non sono sicuro che un ragazzo che non accetta di imparare più certe cose sia un perdente. Temo invece, ahimè, che perdono i docenti che si intestardiscono su dogmi e programmazioni.

C'è aria di disfatta quando non si riesce più a coinvolgere.

Allora basta con la scuola ossessionata da standard minimi e criteri di valutazione uguali per tutti.

Molto più semplicemente, occorre liberarsi di gran parte dei libri di testo. Tornare al testo originale. La materia Italiano deve abbandonare il dato cronologico. Deve maturare altri criteri: possibilità creative, destabilizzanti, occasionali.

Un ragazzino al terzo anno di liceo amerà la letteratura leggendo Il piccolo principe o Il principe di Machiavelli?

 
 
 

Ortografia poetica

Post n°201 pubblicato il 01 Giugno 2008 da ditz

Usalo sempre con l'accento, l'avverbio

che ci allontana con lo sguardo:  lì o là.

Mai invece lo metterai, qui o qua, nel monosillabo vicino.

Sappi affermare forte col tuo sì.

Non limitarti al misero puntino.

Rimarrebbe particella d'un qualche pronome, 

 qualcosa d'impersonale o riflessivo.

Scegli sempre con cura il cappellino

con cui coprire i tuoi perché, benché, poiché, sicché, affinché, finché:

sarebbe grave errore

usare l'accento grave

se non per zuccherare

il tuo caffè, il tuo cioè.

Levalo poi del tutto, quell'accento,

se vuoi che sia corretta

la parola po': l'apostrofo

per te che non lo sapevi

è come l'apostasia di Giuliano,

il rinnegare finalmente

quello in cui credevi prima:

ma un poco ridotto a pò con quell'accento assurdo

è una religione senza dio.

 
 
 

Sgocciola

Post n°200 pubblicato il 29 Maggio 2008 da ditz

Piovono le parole di Montale

 
 
 

La poesia non è

Post n°199 pubblicato il 25 Maggio 2008 da ditz

La poesia non è incerta.

Non echeggia. Fugurariamoci se riecheggia. Non ha echi

di segrete armonie. Non rifulge su diapason memorabili.

La poesia ha unghie

rotte su una grancassa

martellante. La poesia è la precisione di uno zàcchete.

E' puntigliosa la poesia. E' assordante.

Non ha massa mielosa al seguito. Né la clacque.

Quando è poesia te ne accorgi dal rumore

di vertebre che ritornano al loro mondo verticale

dopo una spruzzata di versi

curvi, dopo una pazienza di secoli,

a endecasillabi  e brontolii di stomaco.

 
 
 

Mezza copertina del blog-libro

Post n°198 pubblicato il 11 Maggio 2008 da ditz

 

 
 
 

Post N° 197

Post n°197 pubblicato il 10 Maggio 2008 da ditz

"L'arte ci serve per non morire di realtà"

Friedrich Nietzsche

 
 
 

Lessico (poco) famigliare

Post n°196 pubblicato il 05 Maggio 2008 da ditz

Non c'è scandalo, non c'è errore. Non c'è punizione. O costrizione. Non c'è necessità di purificazione. La catarsi non passa da un atto bulimico. Da un nervosisimo di stomaco. La catarsi vola alta e sceglie compagnìe nobili. Non si rifugia nei tormenti epatici, non semina mal di pancia e coliti spastiche. La catarsi è nel respiro del mondo. La cerchiamo ogni giorno. Ma non abbiamo colpe. Siamo umani. E i nostri sguardi gocciolano abbandoni insensati. Si manifestano nel sogno, nell'atto irrazionale. Non certo nella repressione borghese e occidentale. Come tanti Itali Svevi corriamo al nostro dottor S. Solo che poi svoltiamo l'angolo di casa e finiamo in via Pirandello: allora ci travestiamo da Vitangelo Moscarda e ci guardiamo la punta del naso. Siamo personaggi di un teatro che non sappiamo mai come gestire. Le parole non strappano l'applauso. Solo un mugolìo, un malcontento. Un capriccio bambino. Una scommessa perdente. Ma necessaria. Per vedere fino a che punto arriva la nostra forza. Per aggirare lo scoglio, per sentirci immortali. Gli sguardi degli estranei quando li racconti ti sembrano piovuti da un lessico (poco) famigliare. Chi ci capisce niente?

 
 
 

Piccolo spazio pubblicità

Post n°195 pubblicato il 27 Aprile 2008 da ditz

 
 
 

Parchitetti

Post n°194 pubblicato il 21 Aprile 2008 da ditz

 
 
 

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È RIDICOLO CREDERE

È ridicolo credere
che gli uomini di domani
possano essere uomini,
ridicolo pensare
che la scimmia sperasse
di camminare un giorno
su due zampe

é ridicolo
ipotecare il tempo
e lo è altrettanto
immaginare un tempo
suddiviso in piú tempi

e piú che mai
supporre che qualcosa
esista
fuori dall'esistibile,
il solo che si guarda
dall'esistere.



(Eugenio Montale, Satura; Satura II)

 
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TAMARA

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PARANOID ANDROID - RADIOHEAD

Please could you stop the noise
I'm trying to get some rest?
From all the unborn chicken voices in my head
What's that, what's that

When I am king you will be first against the wall
With your opinion which is of no consequence at all
What's that, what's that

Ambition makes you look pretty ugly
Kicking squealing gucci little piggy

You don't remember, you don't remember,
why don't you remember my name
Off with his head man, off with his head man
Why don't you remember my name?
I guess he does

Rain down, rain down, come on rain down on me
From a great height, from a great height, height
Rain down, rain down, come on rain down on me
From a great height, from a great height, height

That's it sir, you're leaving,
the crackle of pig skin,
the dust and the screaming
The yuppies networking
the panic, the vomit,
the panic, the vomit
God loves his children,
God loves his children, yeah

 
 

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