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Artemisia Gentileschi

Post n°26 pubblicato il 28 Aprile 2010 da sergiu310
 

 

Artemisia Lomi Gentileschi (Roma, 8 luglio 1593 – Napoli, 1653) è stata una pittrice italiana di scuola caravaggesca.

Autoritratto come allegoria della Pittura, 1638-39, Royal Collection, Windsor

Vissuta durante la prima metà del XVII secolo, riprese dal padre Orazio il limpido rigore disegnativo, innestandovi una forte accentuazione drammatica ripresa dalle opere del Caravaggio, caricata di effetti teatrali; stilema che contribuì alla diffusione del caravaggismo a Napoli, città in cui si era trasferita dal 1630.

L'apprendistato presso Orazio rappresentò per Artemisia, pittrice donna, l'unico modo per esercitare l'arte, essendole precluse le scuole di formazione: alle donne veniva negato l'accesso alla sfera del lavoro e la possibilità di crearsi un proprio ruolo sociale. Una donna non poteva realizzarsi puramente come lavoratrice, ma doveva perlomeno sostenersi col proprio status familiare; il lavoro femminile non era riconosciuto alla luce del sole, ma si realizzava perlopiù "clandestinamente", come dimostrano i registri delle tasse e i censimenti. La prima opera attribuita alla diciassettenne Artemisia (sia pur sospettando aiuti da parte del padre, determinato a far conoscere le sue precoci doti artistiche) è la Susanna e i vecchioni (1610).

Per la critica è stato impossibile non associare la pressione esercitata dai due vecchioni su Susanna al complesso rapporto di Artemisia con il padre e con Agostino Tassi, il pittore che nel maggio 1611 la stuprò: tra l'altro, uno dei due Vecchioni è particolarmente giovane e presenta una barba nera come quella che, secondo alcune fonti, sembra avesse Tassi (ma la sorellastra di lui, Donna Olimpia, ad un altro processo intentatogli contro lo descrisse "piccolotto, grassotto et di poca barba"); l'altro Vecchione ha fattezze simili a quelle ritratte da Anthony Van Dyck in un'incisione raffigurante Orazio Gentileschi. In molti hanno pensato che Artemisia avesse volutamente retrodatato il quadro al 1610 per alludere, attraverso esso, all'inizio dell'oppressione subita da figure troppe ingombranti per la sua esistenza di donna e di pittrice. Durante il processo, Tassi affermò che Artemisia si era spesso lamentata con lui della morbosità del padre, svelandogli che egli la trattava come fosse sua moglie. La datazione dell'opera in passato è risultata controversa anche a causa di fonti discordanti sulla data di nascita di Artemisia: si è scoperto recentemente che Orazio, per impietosire il giudice al processo, mentì sull'età di Artemisia al momento della violenza, attribuendole appena quindici anni (e collocandone la nascita, quindi, nel 1597). Il padre denunciò il Tassi che dopo la violenza, non aveva potuto "rimediare" con un matrimonio riparatore. Il problema è che il pittore era già sposato (e nel frattempo manteneva anche una relazione incestuosa con la sorella della moglie). Del processo che ne seguì è rimasta esauriente testimonianza documentale, che colpisce per la crudezza del resoconto di Artemisia e per i metodi inquisitori del tribunale. Gli atti del processo (conclusosi con una lieve condanna del Tassi) hanno avuto grande influenza sulla lettura in chiave femminista, data nella seconda metà del XX secolo, alla figura di Artemisia Gentileschi. È da sottolineare il fatto che Artemisia accettò di deporre le accuse sotto tortura, che consistette nello schiacciamento dei pollici attraverso uno strumento usato ampiamente all'epoca.

L'abbandono di Roma fu quasi obbligato: la pittrice aveva ormai perso il favore acquisito e i riconoscimenti ottenuti da altri artisti, messa in ombra dallo scandalo suscitato, che fece fatica a far dimenticare (come dimostrano anche gli epitaffi crudelmente ironici alla sua morte).

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