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Creato da: Rebeldia il 26/05/2006
Morte al fascio, oggi più che mai! Ora e sempre, RESISTENZA!!!
Post n°14 pubblicato il 16 Giugno 2006 da Rebeldia
TRA UTOPIA E POTERE L’onorevole Aldo Moro, cattedratico e uomo politico, fu uno dei principali artefici della politica di centro sinistra nel trentennio italiano che andò dagli anni ’40 ai ‘70; fu più volte ministro e presidente del Consiglio. Dopo esserne stato segretario, nel 1976 divenne presidente della Democrazia Cristiana e favorì l’avvicinamento del PCI al governo. La sua vita privata trascorse lontano dalla ribalta politica tra Torrita Tiberina e Terracina, in compagnia dell’amata moglie Eleonora e dei figli Maria Fida, Anna, Agnese e Giovanni. Fu un uomo giusto, buono, gentile, che cercò sempre di dare un ragionevole valore alle cose; un uomo di sinistra che credeva in ideali che adesso sono rari, soffocati dal peso del potere e accecati dalla luce dei riflettori. Perchè allora fu ucciso dalle Brigate Rosse? Rispolveriamo un altro pò della nostra storia, che tanto spesso si vuole dimenticare, e torniamo ancora una volta indietro nel tempo, a 28 anni fa. È il 9 maggio e siamo a Roma, in via Caetani. La strada è gremita di gente, ci sono giornalisti e telecamere, c’è gran confusione e sguardi atterriti. La polizia cerca di allontanare i curiosi. La Renault rossa che sta di fronte a noi sembra essere l’oggetto di tanta agitazione. Ci accorgiamo che è stata parcheggiata tra via delle Botteghe Oscure, ove sorge la sede del PCI, e piazza Del Gesù, ove sorge la sede della DC, quasi a volerci comunicare che tra i due partiti ci sia un nesso... Se ci avviciniamo per vedere meglio, scopriamo il perchè: all’interno del baule c’è un cadavere rannicchiato. È Aldo Moro crivellato di proiettili, rapito dalle Brigate Rosse e fatto ritrovare così, dopo 55 giorni di prigionia. Ma chi sono queste “Brigate Rosse” che tengono l’Italia con il fiato sospeso, che fanno rabbrividire le persone ogni volta che accendono la tv per vedere un telegiornale? Ma perchè hanno rapito e ucciso proprio Moro? “Colpirne uno per educarne cento”. Questo è il motto delle Brigate Rosse. Non è neanche una frase loro, l’hanno copiata da Mao Tse Tung, ma nel loro delirio di onnipotenza, seguono una linea perfettamente retta. Hanno colpito Aldo Moro per impartire una lezione a chi? Allo Stato e al sistema. Se si apre un qualsiasi libro che parla di loro, o ancora meglio si naviga in internet, si trova una definizione spaventosa: “Le Brigate Rosse (spesso abbreviato in BR) sono un’organizzazione sovversiva di estrema sinistra di ispirazione marxista-leninista, considerate il maggior gruppo terroristico del secondo dopoguerra in Italia”. Operano attraverso una vera e propria struttura paramilitare compartimentata e organizzata per cellule; hanno compiuto atti di terrorismo contro persone che secondo loro rappresentano il potere politico, economico e sociale (che nella logica brigatista formano il cosiddetto Stato delle Multinazionali, il S.I.M.). Ma andiamo con ordine... Le Brigate Rosse cominciano il loro operato a partire dagli anni ’70; all’inizio l’organizzazione doveva indicare il cammino per il raggiungimento del potere e l’instaurazione della “Dittatura del Proletario”... poi scivolarono nell’errore di pretendere diritti e attenzioni con la violenza, venendo definiti “terroristi”, un termine da loro stessi aborrito. Per “risoluzioni strategiche” i componenti delle Brigate Rosse intendevano definire i documenti di analisi politica che indicavano gli obiettivi primari e come raggiungerli. Nei primi tre anni cercarono di svegliare la sopita coscienza di classe dei lavoratori contro i dirigenti e i padroni... e si cominciò con atti di vandalismo contro le automobili dei colpevoli. Successivamente decisero di “abbattere lo stato borghese”, scacciare gli occupanti statunitensi ritirandosi dalla NATO, creando così “l’uomo nuovo”. La “direzione strategica”, ossia il gruppo di comando dell’organizzazione, definiva la linea politica da seguire. All’interno della linea decisa c’erano le “colonne”, gruppi più o meno numerosi, dislocati in varie parti d’Italia, incaricati di eseguire gli ordini. Le azioni più importanti, come il sequestro di Aldo Moro, venivano decise dal “Comitato esecutivo”, composto dai membri più importanti della direzione strategica, notoriamente quelli incaricati di dirigere una “colonna”. La storia ci racconta che non esiste un vero e proprio atto di fondazione delle Brigate Rosse, anche se uno dei capi storici, Alberto Franceschini, ritiene che la nascita dell’organizzazione sia avvenuta nel 1969, all’interno dell’albergo Stella Maris a Chiavari, dove si tenne un convegno del neonato Collettivo Politico Metropolitano. L’ideologia brigatista si riconduceva ad un’incompiuta lotta di liberazione partigiana dell’Italia... Così come i partigiani avevano liberato il popolo dalla dittatura nazifascista, il nuovo movimento rivoluzionario avrebbe liberato il popolo dalla servitù dovuta alle multinazionali statunitensi. Infatti alla logica partigiana si ispiravano anche i soprannomi che i brigatisti utilizzavano per celare la loro identità. Si vedeva un nesso tra sindacalismo militante e azione partigiana, che costituiva una forza da schierare contro la “Strategia della tensione” instaurata in quegli anni dai servizi segreti deviati, complici della C.I.A. Ed è proprio dalle file del sindacato che provenne un altro capo storico delle Brigate Rosse: Mario Moretti. Altre due anime del movimento, Renato Curcio e la compagna Mara Cagol provenivano invece dalle contestazioni studentesche della Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento, in cui lo stesso Curcio fu prima studente e poi assistente del professore di sociologia Francesco Alberoni. Tra il 1970 e il 1974 le Brigate Rosse agirono prevalentemente nel milanese in ambito operaio, istituendo, all’interno delle fabbriche, piccoli gruppi clandestini. Solo successivamente si estesero in Piemonte, Liguria, Veneto e in Emilia Romagna. Vennero creati gruppi parasindacali, definiti “brigate”, al fine di fare propaganda nelle aziende soggette a piani di ristrutturazione o nelle quali il rapporto tra operai e dirigenza era conflittuale. Presero poi di mira dirigenti aziendali, incendiandone le auto o realizzando brevi rapimenti di qualche ora, allo scopo di intimidire il rapito e la dirigenza dell’azienda. Ne fecero le spese Michele Mincuzza dell’Alfa Romeo, Ettore Amerio, capo del personale FIAT e Idalgo Macchiarini della Siemens, che fu fotografato accanto a una scritta che recitava: “Mordi e fuggi. Nulla resterà impunito. Colpirne uno per educarne cento”. Ottenuti buoni risultati con il lavoro di propaganda e intimidazione nelle fabbriche, la strategia cambiò e le Brigate Rosse decisero di attaccare lo Stato colpendo quelli che ne ritenevano i rappresentanti: politici, magistrati, forze dell’ordine, definiti “I servi dello stato”. Alzatosi il livello dello scontro, la risposta dello Stato non fu da meno e l’8 settembre del ’74 dopo essere stati traditi, vennero arrestati due dei capi storici delle Brigate Rosse: Renato Curcio, Alberto Franceschini. Mario Moretti, altro membro importante dell’organizzazione, riuscì a fuggire. La risposta dei brigatisti non si fece attendere a lungo e il 18 febbraio del 1975 riuscirono a far evadere Curcio dal carcere di Casale Monferrato (evasione che tutt’oggi rimane alquanto dubbia... Pare infatti che Curcio sia stato lasciato andare con la complicità delle forze dell’ordine stesse...). Curcio rimase latitante solo per poco, poi fu di nuovo arrestato. Pochi mesi più tardi, in seguito al rapimento dell’industriale Gancia, durante uno scontro armato la polizia uccise Mara Cagol, fondatrice dell’organizzazione e compagna dello stesso Curcio. In sua memoria i brigatisti le dedicheranno il nome della colonna torinese. Da quel momento in poi, l’unico capo incontrastato delle Brigate Rosse fu Mario Moretti... e con lui gli scontri si fecero più violenti. “Di geometrica potenza” fu definito l’eccidio di via Fani, nel 1978, quando venne rapito Aldo Moro e uccisi gli uomini della sua scorta. Si racconta che durante i 55 giorni di prigionia (dal 16 marzo all’8 maggio), Moro venne sottoposto a un “processo popolare nella prigione del popolo” in seguito al quale si decise di ucciderlo. Valerio Morucci e la sua compagna Adriana Faranda furono gli unici due brigatisti del gruppo ad opporsi a quell’assurda condanna a morte... ma non furono ascoltati. Numerose furono le lettere che il Presidente della DC scrisse alla moglie e ai compagni di partito. La politica si divise tra il fronte di fermezza, sostenuto da Berlinguer e Andreotti, ed il fronte della trattativa, sostenuto da Craxi e Cossiga. Persino papa Paolo VI, tramite televisioni e giornali, cercò un canale di comunicazione con le Brigate Rosse, al fine di convincerli a risparmiare la vita di Moro, ma fu tutto inutile perchè lo Stato si rifiutò di accogliere le richieste dei brigatisti... Dunque Aldo Moro non era più utile alle istituzioni? Si disse che il presidente della DC avesse parlato agli uomini delle Brigate Rosse di una struttura parallela e segretissima denominata “Gladio” collegata a doppio filo con la loggia massonica P2, di cui soltanto i servizi segreti erano al corrente. L’operazione “Gladio”, così denominata perchè costituita da uomini addestrati alla guerriglia, sarebbe stata operativa qualora al Governo fossero saliti i comunisti... Fu ovvio fin da subito che sulla vicenda Moro s’addensavano le ombre. Tutt’oggi resta un mistero l’identità dell’uomo che sparò al presidente... e un mistero restano anche i gettoni telefonici trovati nella tasca della giacca dello stesso Moro; era noto infatti che le Brigate Rosse fornivano di gettoni soltanto i rapiti che desideravano liberare... Dopo l’omicidio Moro, lo Stato agì con incredibile durezza nei confronti dei brigatisti ed eventuali terroristi dissociati. Grazie alle confessioni del terrorista Patrizio Peci, il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa ebbe un ruolo di estrema importanza nello smantellamento dell’organo brigatista.Nell’aprile dell’81 vennero catturati Moretti e Fenzi e grazie alle loro confessioni emersero altre figure di spicco nell’universo brigatista come il professor Giovanni Senzani e Antonio Savasta appartenente alla colonna veneta. Fu proprio Savasta che nello stesso periodo rapì il generale statunitense James Lee Dozier (poi liberato a Padova nel 1982 dai NOCS, le squadre speciali della polizia). La cattura di Savasta diede il colpo di grazia a quanto restava dell’organizzazione brigatista, ormai priva di un capo autorevole... Sono parecchie le ombre che si infittiscono sopra le Brigate Rosse, tanti i giochi di potere e i fatti si confondono tra realtà e leggenda metropolitana... Ma è proprio tutto frutto dell’immaginazione?
Sappiamo che il ventennio che va tra l’inizio degli anni ‘70 alla fine degli anni ’80 fu un periodo difficile, confuso, carico di paura e smarrimento. Tante cose che sono accadute non ci verranno mai rivelate, ma alcune sono trapelate dalla fitta rete di segretezza e mistero, a cominciare da quel lontano 16 marzo 1978, in via Fani, quando Aldo Moro venne rapito e i cinque uomini della sua scorta trucidati. Era mattina, l’ora in cui parecchia gente si reca al lavoro, quindi via Fani era frequentata. Secondo i rapporti della polizia in 90 secondi vengono sparati 93 colpi da 7 armi diverse: 2 colpi provengono dall’arma di Jazzino (uno dei componenti della scorta di Moro) e 91 dai brigatisti, di cui 49 da un’unica arma automatica. Furono molti i testimoni che assistettero al rapimento del presidente. Perchè tanto spettacolo? Era noto che Moro ogni mattina usciva a passeggio con il capo della scorta Leonardi allo Stadio dei Marmi, luogo poco frequentato. Non sarebbe stato meglio sequestrarlo lì, lontano da occhi indiscreti? Altro mistero mai svelato riguarda il memoriale che Moro scrisse durante i 55 giorni di prigionia. Le Brigate Rosse ne inviarono agli organi competenti solo una copia, tra l’altro incompleta. Che fine ha fatto l’originale del memoriale, e soprattutto cosa c’era scritto di così terribile da dover rimanere segreto? Dopo il rapimento del presidente, l’allora Ministro degli Interni Francesco Cossiga istituì in fretta e furia ben tre diversi comitati per affrontare la situazione. Mai nulla in Italia era stato fatto con tanta urgenza... Oggi sappiamo che quasi tutti i membri di quei comitati, compreso lo stesso Cossiga, facevano parte della P2, la loggia massonica capeggiata da Licio Gelli con affiliati di altissimo rango (tra i quali spiccavano anche l’allora direttore del SISMI, il direttore del SISDE e il comandante della Guardia di Finanza). Ricordiamoci che nel ’78 l’Italia aveva il più forte Partito Comunista di tutta l’Europa che, grazie a Aldo Moro, era pronto per fare il grande salto verso il Governo. Poteva la P2, creato “Gladio”, permettere tutto questo? No di certo. Dunque le Brigate Rosse furono pilotate dai servizi segreti e da quelle istituzioni che fin dall’inizio avevano cercato di distruggere? Molte domande e pochi gli spettri delle risposte... l’unica triste certezza che ci resta è la morte di Aldo Moro, ucciso senza pietà per scopi che probabilmente non ci saranno mai chiari. Voglio pubblicare integralmente la lettera che il presidente scrisse alla moglie Eleonora poco prima di morire... non dissiperà le ombre ma ci lascerà un piccolo ricordo di un grande uomo. “Mia dolcissima Noretta, credo di essere all’estremo delle mie possibilità e di essere sul punto, salvo un miracolo, di chiudere questa mia esperienza umana. Ho tentato di tutto e ora sia fatta la volontà di Dio. Credo di tornare a voi in un’altra forma; ci rivedremo, ci ritroveremo, ci riameremo. A te devo dire grazie, infinite grazie per tutto l’amore che mi hai dato. Ricordati che sei stata la cosa più importante di tutta la mia vita. Bacia e accarezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno la mia immensa tenerezza che possano le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Ti abbraccio fortissimo, Aldo” Attualmente tutti i brigatisti che hanno partecipato al sequestro Moro sono liberi, in regime di semilibertà o in libertà vigilata. L’unico a non essere mai stato arrestato è Alessio Casimirri, tuttora latitante. Sei anni fa, nel 2000, quando tutti pensavano che non avessero più motivo di esistere, le Brigate Rosse sono tornate a farsi sentire. Due esponenti delle Nuove Brigate Rosse – Nuclei Comunisti Combattenti Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce, sono stati coinvolti in una sparatoria su un treno. Galesi è morto sotto i colpi della polizia ferroviaria e la Lioce, dopo essere latitante per molti mesi, è tuttora detenuta in carcere. Si apre un nuovo capitolo di sangue e morte culminato con l’omicidio di due tecnici che lavoravano alle dipendenze di due primi ministri: Massimo D’Antona (sotto l’onorevole Massimo D’Alema) e Marco Biagi (sotto l’onorevole Silvio Berlusconi). “Colpirne uno per educarne cento” e la lotta armata contro gli esponenti dello Stato di qualunque partito, prosegue... ESSENDO APPARTENUTE AD UN PERIODO STORICO PARTICOLARMENTE DIFFICILE E CARICO DI TENSIONI, CON ALCUNI PUNTI OSCURI DA CHIARIRE E TANTI ALTRI CHE SI DESIDERA DIMENTICARE, SONO POCHI I FILM CHE PARLANO DELLE BRIGATE ROSSE... TRA QUELLI FACILMENTE REPERIBILI CI SONO: “BUONGIORNO, NOTTE” DI MARCO BELLOCCHIO E “PIAZZA DELLE 5 LUNE” DI RENZO MARTINELLI... Scritto da Carlotta Bazoli, pubblicato su "Il Nuovo Municipio" n°4
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