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CIUDAD JUAREZ,13 ANNI DI MORTE

Post n°18 pubblicato il 21 Giugno 2006 da Rebeldia

Ciudad Juárez conta circa 1.900.000 abitanti. Gemellata con El Paso, Texas, tra le due città non ci sarebbe molta differenza se non fosse per un muro fatto di reticolati che le separa. Se non fosse per un confine che tanto poco spazio lascia all’immaginazione, Ciudad Juárez, Messico, ed El Paso, Usa, potrebbero sembrare un unico, grande centro abitato.

Nazioni diverse , diverso modo di vivere, ma soprattutto diverso modo di  morire… Sì perché a Ciudad Juárez, a due passi dal Paese della Libertà, da tredici anni la morte è di casa.

È nel 1993 che tra la sabbia del deserto, poco distante dal centro cittadino, sono stati rinvenuti i primi cadaveri… Tutte donne giovani, picchiate, stuprate, spesso fatte a pezzi. Si calcola che fino ad oggi siano circa 500 i corpi ritrovati quasi per caso, il più delle volte dai familiari delle vittime stesse. 500, una cifra che dà le vertigini, ma che potrebbe essere destinata a salire (calcolando che della maggior parte delle ragazze scomparse non si trova il corpo, secondo i gruppi di familiari coalizzati nell’associazione “Por nuestras hijas de regresso a casa”, le vittime sarebbero quattromila), una strage di cui, fino a pochi anni fa, non si sapeva nulla, un insulto ai diritti umani e a tutte quelle madri e quei padri  che chiedono ancora giustizia.

Nessun vero colpevole è stato finora consegnato alle autorità messicane. Certo, di benzina sul fuoco se n’è gettata molta… e tanto fumo è stato soffiato negli occhi di chi, fin dall’inizio, ha cercato di scoprire la verità. Si è parlato di serial killer, di regolamento di conti nel mondo della prostituzione o nel raket del narcotraffico (a cui, tra l’altro, il territorio di Ciudad Juárez sembra appartenere). Si è ipotizzato che le donne rapite e poi uccise servissero al mercato clandestino di organi, o addirittura siano cadute vittime di un’ipotetica setta che le ha sacrificate a qualche oscuro signore… ma forse la verità è ancora più terrificante… e resta un boccone duro da mandar giù.

Fin dall’inizio la polizia non sembra essersi preoccupata granché  della situazione.

Le indagini sono state portate avanti di malavoglia, senza prestare attenzione ai particolari, agli indizi. Le vittime fanno tutte parte degli strati  più bassi della popolazione, ragazze giovanissime, spesso indigene che arrivano in città sole, per lavorare. Vittime perfette, sradicate dalle loro terre d’origine, lontane dalla famiglia.

Il subcomandante Marcos, leader dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (Ezln) ha idee ben chiare in proposito: “I crimini di Juárez sono il prodotto di un atteggiamento razzista, maschilista e classista della classe di governo, in quanto le vittime sono tutte operaie, giovani e povere.”

È dunque così? I familiari delle ragazze uccise, non a torto hanno accusato la polizia di proteggere i responsabili degli omicidi.

Esther Chávez Cano è direttrice di un’associazione contro la violenza tra le pareti domestiche e casi come quelli di Ciudad Juárez avrebbe preferito non doverli mai affrontare. Dice: “L’incompetenza delle autorità balza agli occhi e tuttavia la polizia ha arrestato un individuo di nome Jesus Manuel Guardado Márquez, detto El Tolteca... e prima di lui i componenti della banda  Los Choferes, tutti accusati di essere gli assassini... Ma non è cambiato niente, i delitti continuano...”

Secondo la donna si ripete la situazione del 1995: “La polizia all’epoca aveva arrestato un chimico di origini egiziane, Abdel Latif Sharif Sharif, accusandolo dei delitti e affibbiandogli come complici una banda di giovani malviventi: “Los Rebeldos”. Ci era stato detto che erano loro i colpevoli, avevamo davvero creduto che quest’incubo fosse finito... e invece si sono continuati a trovare cadaveri di donne violentate, torturate...”

Sharif Sharif è tuttora detenuto in isolamento nel carcere di massima sicurezza di Chihuahua. Accusato dell’assassinio di un’adolescente, Elisabeth Castro Garcia, l’egiziano è stato condannato a trent’anni di reclusione in seguito a un processo colmo di irregolarità, ora in fase di revisione. Non ha mai smesso di gridare a gran voce la sua innocenza, affermando di essere solo un “capro espiatorio”. Ma il capro espiatorio di chi?

La sua avvocatessa, Irene Blanco, è stata costretta a rinunciare alla difesa e lasciare la città in seguito a continue minacce di morte... capitolate con un attentato ai danni di suo figlio Eduardo, sopravvissuto per miracolo.

Cosa si nasconde dietro gli omicidi di Ciudad Juárez? Senz’altro qualcosa di troppo grosso per essere rivelato.

Alla fine del ’99, alcuni cadaveri di donne e bambine sono stati rinvenuti nei pressi di un ranch di proprietà di trafficanti di cocaina. Tale coincidenza sembrava stabilire un legame tra gli omicidi e la mafia del narcotraffico, a sua volta legata a polizia e militari... ma le autorità si sono rifiutate di seguire tale pista.

Alejandro Máynez è l’esponente di una banda di criminali, ricettatori e trafficanti di droga e gioielli. Anch’egli fa parte della rosa dei sospetti, ma è il rampollo di una ricchissima famiglia proprietaria di night club... quindi non è mai stato nemmeno interrogato.

Il 6 novembre 2001 i corpi nudi di tre giovani donne sono stati scoperti in un campo di cotone alla periferia della città. Una era minorenne, aveva le mani legate dietro la schiena ed era stata sgozzata. Il giorno dopo, allargando il raggio delle ricerche, sono venuti alla luce i resti di altre cinque vittime. Messa sotto pressione la polizia di Chihuahua ha arrestato due individui che, sotto tortura, hanno confessato di essere gli autori degli otto delitti. Annunciando la soluzione del caso, il procuratore Arturo Gonzáles Rascón, senza neppure svolgere una vera inchiesta ha sottoposto i due imputati ad un procedimento penale.

E ancora, secondo alcune fonti federali, sei importanti imprenditori di El Paso, di Ciudad Juárez e di Tijuana, assolderebbero dei sicari incaricati di rapire le donne e consegnarle nelle loro mani, per poterle violentare, mutilare e infine uccidere. Questi tipi di omicidi sono comunemente definiti in gergo “spree murder”, ovvero “assassini per divertimento”. Le autorità messicane sarebbero da molto tempo al corrente di tali attività, ma rifiuterebbero di intervenire. Gli imprenditori in questione sarebbero molto vicini a certi amici del presidente Vicente Fox... e avrebbero contribuito a finanziare la campagna elettorale che ha portato Fox alla presidenza del paese...

Di fatti raccapriccianti come questi è costellato il cielo cupo sopra la città messicana... Sarebbero da elencare uno per uno, ma sono un insulto alla ragione e al dolore di quelle famiglie che ancora hanno la forza di sperare in una giustizia senza inganno...

Per ogni cadavere che viene ritrovato, le donne di Ciudad Juárez piantano una croce in un campo, una croce dipinta di rosa, a ricordo di una vita spezzata senza motivo, feticci sacri, dal legno consumato, così numerose che si perdono ormai all’orizzonte.

Articolo scritto da Carlotta Bazoli, pubblicato su "Il Nuovo Municipio" n°2, gennaio 2006

 
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