Creato da le_corps il 27/02/2007

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Post n°211 pubblicato il 09 Gennaio 2009 da le_corps

Lei scriveva, lui leggeva. Leggeva le parole di lei, i pensieri di lei, e più leggeva più si innamorava. Di ciò che a lei mancava. Ma questo non lo sapeva, non poteva saperlo. Se scrive, lei è - lui pensava; ed è ciò che scrive, è vera come è vero ciò che scrive – lui pensava; e i bordi combaciano e c’è tutta una profondità da attraversare – lui si ingannava. Ma lui questo non poteva saperlo, perché lui non faceva in tempo a pensarlo che già amava, e se non faceva in tempo a pensarlo non poteva nemmeno contraddirlo, discuterlo, e non poteva nemmeno ipotizzarlo, un dubbio. Così ogni parola di lei aderiva alla pelle di lei, e si faceva bocca occhi naso, ed era tutto delizioso desiderabile ed era tutto plausibile godibile, perché tutto era già nelle sue parole, e le parole bastavano: a divinarla.
Lei scriveva, lui leggeva, e quel che leggeva gli piaceva, gli piaceva il suono della voce di lei, quella voce che descriveva la vita e l’accompagnava e la comprendeva, quella voce che guardava e osservava, e sceglieva un colore e una luce per ogni cosa, ecco sì, era proprio quell’essere veggente che gli apriva il cuore e affondava in mollezze che lui non ricordava; e la voce di lei era volto pur essendo muta, era carne pur essendo aria. L’aria del suo respiro di sigaretta mentre leggeva le parole di lei, e pensava a certe identità e si ingannava. Ma questo lui non poteva saperlo. Lui che non cercava più nulla – assicurava, lui che viveva come superficie scabra senza temere alcun fendente, senza curarsi di chi guardava per giudicare di chi parlava per parlare e di chi domandava per esigere.

Lui viveva assieme al suo disinteresse per la felicità, appreso o capitato non importa; lui viveva per provare; ma ad amare non provava, amava e basta, amava tutto, amava in assoluto.
Lei scriveva, lui leggeva, e più leggeva più si innamorava. Di tutto ciò che lei non era di tutto ciò che lei immaginava e ricordava, dei suoi tributi alle vite altrui dei suoi possibili mondi quelli bassi e quelli alti, quelli vicini e quelli lontani. Lei era un veicolo, con il suo corpo con le sue parole, era solo uno strumento: non era origine né fine. Era quello che era sempre stata e che solo poteva essere: un tubo. Di dimensione variabile di capacità modulabile. Tubo, che a volte era ponte, tra sponde che faticavano a trovarsi, era ponte finché la foschia non si diradava, allora diventava brezza, per chi la calura non sopportava. Essere strumento non implica riempimento, essere strumento dà il dono del servizio e dell’oblio: impermanenza.
Ogni frase fatta spora ogni fiato fatto sentore, ma tutto è di passaggio: il tubo è senza incrostazioni, soggetto a lavaggio. Ma lui questo non poteva saperlo, e pensava a dei confini sconfinati come parole che moltiplicano parole, e pensava che ciò che era scritto non poteva non essere. La vita forse non era, aveva detto qualcuno, ma lui la capiva e la conteneva, e conosceva la gioia e il piacere, e della felicità non gli importava, davvero non gli importava,  gli importava di ogni cosa che sentiva e che vedeva perché era vera: della verità, sì, gli importava. La sua era una verità che si reggeva su un piede solo ma si reggeva benissimo, la sua era una verità senza esitazioni senza cedimenti, che si sosteneva senza fatica su un piede solo, e si reggeva benissimo. A lui piaceva la verità, la naturalezza con cui tendeva ad essa, e il tendere era un aderire: alle cose alle persone alla vita stessa. Che forse non era, come qualcuno aveva ipotizzato. Ma lui sentiva e aderiva, e sentiva che anche lei aderiva, e sentiva che magari avrebbero potuto aderire insieme, godere della stessa ispirazione e tendere al medesimo orizzonte.
Lei scriveva, lui leggeva. E leggendo si innamorò.
Ma lei scriveva solo rime, scriveva per riempimento (ciò che le mancava, essendo tubo), scriveva nell’illusione di poter essere altro, magari sale.
Lei scriveva ma non era. Ma questo lui non poteva saperlo, poteva solo guardare quei cristalli brillare, prima che si sciogliessero nel suo mare, sterminato, da navigare. La fine, lei non ne vedeva la fine, di quel mare, sterminato, che lui era. Un tubo invece copre distanze misurabili, si allunga e si accorcia a seconda della funzione. E lei cosa poteva essere se non tubo gettato nel mare? Un corpo estraneo un corpo inquinante un corpo inutile (al mare) e galleggiante. Il mare è acqua e sale, contiene nutre accoglie, e divora solo se necessario. Un tubo invece è un buco, un buco utile, utile al passaggio (finché le pareti reggono); un buco che necessita di ricambio.
Lei scriveva, lui leggeva. E leggendo si ingannò.

 

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Commenti al Post:
non.sono.io
non.sono.io il 09/01/09 alle 21:39 via WEB
Sì succede. Succede che mentre si mangia una pizza bianca e mortadella, intenti a riempire il vuoto tra una una noia ed un altra, e a levarsi un pezzo di pistacchio rimasto incastrato tra il molare inferiore destro e la gengiva, le parole caschino per naturale inclinazione ereditaria. Tu vorresti dire una cosa, ma l'innata musicalità di certe frasi, basta da sola a superare il provino delle nostre attese che a quel punto si gonfiano come mongolfiere. O forse no. Non ricordo bene ora... Forse è che tu ascolti e non ti curi del pezzo di pistacchio rimasto incastrato tra il molare inferiore destro e la gengiva. Sbirci curiosa e vedi qualcosa che neanche io posso vedere. E' una foglia laggiù, dietro quel ramo. La vedi solo tu. E ti innamori. Se è un tubo, poi, rimane anche più semplice.
 
 
le_corps
le_corps il 10/01/09 alle 00:43 via WEB
Forse non dovrei curarmi del pistacchio tra i denti ma inebriarmi dell’afrore di mortadella e della pizza che mi riempie la pancia, forse dovrei badare a quel pieno che morso dopo morso si va formando, ma io non ci riesco e resto ore a toccarmi con la lingua quel pezzetto di pistacchio che mi punge la gengiva e pungendomi mi risveglia, dal sonno del pasto e della pancia piena; come se bastasse, la pancia piena, ma a me non basta, preferisco digiunare con qualcosa tra i denti che mi costringe a fermarmi e a sentire, quello che manca quello che questo tubo non riesce a digerire. E penso che forse non è il tubo ad essere difettoso, che forse qualcosa ancora si può fare che a qualcosa di diverso forse si può o si deve aspirare, che forse… ma poi non resisto alla tentazione di infilare un po’di filo cerato tra dente e dente e sollecitare la gengiva e liberarmi di quel pezzetto di pistacchio che quasi quasi mi faceva perder tempo in pensieri, che quasi quasi mi faceva deviare dal piacere di riempirmi e mettere tutto a tacere.
 
   
non.sono.io
non.sono.io il 10/01/09 alle 02:49 via WEB
Ma poi, se alla fine tutto tace, che gusto c'è? Io il mio pistacchio tra i denti l'ho accudito, e ora, ora è una bella pianta, rigogliosa, e in primavera mi darà dei frutti. Tra le mie parole e la lingua, pensa, avrò dei frutti. Ti ricordi Oscar? Bhe, lei mi ha insegnato che io affondo, tu schivi e affondi, io affondo. E' quello che siamo: un affondo, una parata e un affondo. Tu pari. Io no, io affondo e basta. Partendo da qui, come possiamo sanguinare allo stesso modo?
 
     
le_corps
le_corps il 10/01/09 alle 16:50 via WEB
Se affondi senza parare per quanto puoi affondare senza stramazzare? La difesa prepara l’attacco, Oscar me lo diceva sempre. Quanto sangue perdiamo non conta, per quello ci sono i tamponi; è per la forza d’animo e per la lucidità di visione che servono i pistacchi, ma ben incastrati. Ma, Oscar? Ho dei guanti da restituirle..
 
     
non.sono.io
non.sono.io il 11/01/09 alle 14:58 via WEB
Non so, non l'ho più vista. Non potrei più, come ben sai. Non ho più visto neanche te, né nessun altro. Ho solo qualche pistacchio tra i denti, a ricordarmi l'umanità. Per questo non mi manca.
 
     
le_corps
le_corps il 11/01/09 alle 17:18 via WEB
Oscar è una che alla fine molla tutti e tutte, restano però le sue parole: le sue parole e il suo esempio sì che sono pezzi di pistacchio belli grossi che premono sulle gengive fino a farle sanguinare. Ma si sa, lei non era una tenera: è per questo che l’abbiamo amata. O almeno parlo per me, poi tu non so, magari ti piaceva solo il riflesso della tua immagine nella sua spada.
 
     
non.sono.io
non.sono.io il 11/01/09 alle 23:57 via WEB
No, no. Ho amato lei, e te. Io amo te, e Oscar. Tu, il suo riflesso sulla spada, e lei, che tiene la spada e me. Tu, io e lei. Pensi che l'amore sia una cosa così complicata? Per te, forse, per me no.
 
     
le_corps
le_corps il 15/01/09 alle 10:30 via WEB
E ora, ora è tutto finito? L’amore forse non sarà complicato, per te. Ma tutto il resto?
 
     
non.sono.io
non.sono.io il 15/01/09 alle 10:36 via WEB
Tutto il resto, senza amore, che senso ha?
 
     
le_corps
le_corps il 15/01/09 alle 10:47 via WEB
Ma, ma l’amore è ovunque? E semplifica tutto? Anche se stesso? Ma, ma..l'amore dà senso e per sé non ne ha?
 
liubiza
liubiza il 13/01/09 alle 15:19 via WEB
ciao dolce! è bello ri-leggerti. una carezza, liù
 
 
le_corps
le_corps il 15/01/09 alle 10:31 via WEB
bello ritrovarti, cara liù.
 
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