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Una mattina, mi son svegliato

Post n°213 pubblicato il 31 Gennaio 2009 da le_corps


Il giorno dell’investitura la mia veste era corta.
E’ un ricordo che ancora non mi abbandona, e turba i miei risvegli. La mattina spalanco gli occhi al primo chiarore, e sento subito un’onda d’ansia risalirmi la gola e strozzarmi la lingua.
Per prima cosa, faccio un respiro profondo, quindi rivolgo gli occhi alla volta del soffitto e mi concentro sui costoloni: percorro un costolone dopo l’altro, lo sguardo attento penetrante, come se ci passassi un dito; è una vista tattile la mia, tant’è che a volte ho l’impressione che la vernice si sgretoli e che una polvere dorata scenda su di me depositandosi nelle mie pupille: dorate anch’esse. Seguo i costoloni, armoniosi nella curva ed omogenei nel colore, per mettere in fila i numeri: li dispongo a intervalli regolari; so che all’incrocio dei costoloni c’è il 23, da qualunque parte io cominci a contare, e questo mi dà calma, sicurezza. Il respiro si fa regolare. Ma questo non basta. Allora mi sollevo sui gomiti e affronto la discesa a terra. I miei piedi saggiano la morbidezza della moquette, i muscoli si distendono e l’ansia sembra quasi svanire: qualche fibra si insinua tenue tra dito e dito provocandomi un gradevole solletico mentre la pianta tutta è massaggiata da una setola compatta e setosa, alta e fitta come manto d’animale. E’ come poggiare i piedi sul dorso di una volpe siberiana, e la volpe acconsente, quasi grata dell’imposizione.
E chi non lo sarebbe, dopo tutto? – convengo tra me e me, ma questo pensiero non basta a tacitare la mia ansia, che nuovamente mi assale, ghermendomi la gola come morso di animale: che sia lei, la volpe siberiana, a colpirmi? Che la volpe abbia mutato animo nei miei riguardi? Impossibile! Tuttavia mi affretto a calzare le mie babbucce a punta, di lana ricamate, e mi ergo in tutta la mia figura: bene, sono in piedi. Ma non basta. Un passo dopo l’altro, mi ripeto, un passo dopo l’altro, che ci vuole! Posso farcela: è una mattina come tante, fuori l’aria è fresca, tra poco mi serviranno latte caldo e biscotti rustici, confettura di fico e pane tostato, e una gentildonna mi farà un sorriso e insieme un inchino, e mi chiamerà santo e specificherà padre, pur non essendomi figlia, ché io l’amor carnale non lo conosco né mai lo conoscerò, semplicemente perché non ne ho bisogno: mi basta quello universale, quello che gli altri hanno per me, mi piacerebbe dire tutti gli altri, ma purtroppo non è così, non ancora; purtroppo ci sono ancora tanti uomini ottenebrati dal peccato e dall’ignoranza, tanti uomini in attesa del dono della visione, mentre altri l’hanno addirittura rifiutato, scortesemente e rozzamente, ma verrà un giorno in cui li farò miei, anche loro anche loro; un giorno non lontano li accecherò con il mio anello di fede, li tramortirò con un colpo di testa, dopo aver ripristinato - per l’occasione - l’uso della tiara: la tiara contundente.
Ordinerò al capo dello staff di andare a rovistare tra i gioielli di famiglia: sì, che mi porti una bella tiara intarsiata, di oro vetro e platino, una tiara bella tagliente: ottima argomentazione in qualunque discussione! Di certo, converrete con me che discutere è un fatto deprecabile, o meglio: inelegante - le voci che si accavallano!, e poco igienico - i fiati che si mescolano!
Alla discussione ho sempre preferito l’esposizione, che è una forma civile di imposizione.
D’altronde, la gerarchia è più costruttiva dell’orizzontalità: di certo, converrete con me anche su questo. Nella gerarchia c’è innalzamento verso l’alto c’è avvicinamento al cielo! Pensate ad una piramide, pensate al suo vertice, pensate a quanti strati occorrono per spingerlo in alto; ma in alto, ahivoi, può arrivare uno solo. Sì, ora ci sono io, su quella sommità, il giorno è arrivato: è la mia èra, ora. Una lunga èra di prosperità nell’omogeneità, con lo sguardo al passato le mani nel presente e i piedi nel futuro. Nei giorni precedenti la mia elezione, qualcosa avevo subodorato, ma non volevo darlo a vedere e continuavo a girare affettando indifferenza, con quell’abito di pessima fattura, con quel cappellaccio dozzinale e quelle scarpe dalla punta consumata. Per via dei calci. Sì, insomma, era successo, tempo addietro, che qualche fedele mi aveva confidato di non apprezzare molto il mio canto latino, dicendo testualmente: per noi già è difficile capirla, questa lingua morta, se poi lei si mette pure di spalle!
Una tale manifestazione di ignoranza e di volontà a perdurare nell’ignoranza mi sconvolsero a tal punto che me la presi con le panche della navata centrale, poi passai a quelle di fianco all’altare, infine mi scagliai con veemenza contro la porta del confessionale. Ma ero ancora inesperto, impaziente, con uno spirito da formare, e una brama da disciplinare: la brama senza strategia è nulla, ci rende bassi e mediocri, volgari e infelici. Dissi a me stesso: mio caro, troppa la luce, troppo lo splendore che promana dal tuo essere, e loro non sono ancora pronti non sono ancora proni, loro s’ingannano su loro stessi, sul loro arbitrio che pensano libero, ma quale libertà!, ci vuole pace e concordia, ovvero ordine e disciplina, per loro che sono bestie, bestie cieche bisognose di un pastore vero, dal bastone nodoso, di un pastore dalla guida forte indiscutibile e veneranda. Ma verrà, verrà un giorno in cui…! – e con le labbra serrate e le mani contratte, mi incamminai verso la sagrestia senza distogliere lo sguardo dalle punte consumate delle mie povere scarpe. Bene, pensai tra me e me, che queste scarpe siano da monito per gli anni a venire che mi siano da sprone a ripristinare l’ordine smarrito.
Negli anni ho imparato a mitigare la mia irruenza a dosare con intelligenza le mie reazioni, e a preparare la Reazione; ho imparato a sublimare la mia aggressività in sorriso (adoro mostrare i denti), ho imparato a lavorar duro, non nelle lande desolate a contatto di fedeli desolanti, ma negli uffici e nei foyer, nelle amministrazioni e nelle sale da tè, altro che banchi di chiesa, altro che calici da svuotare e lavare, e vino nelle damigiane da travasare!
Così  me ne andavo con le mie scarpe spuntate a stringer le mani di chi aveva il senso del rispetto – gerarchico, della fede – istituzionale, dell’opera – affaristica. Volevo diventare il numero uno, stare in cima alla piramide, e da lassù guardare più lontano di tutti. Ma, prima di salire, la piramide andava fortificata: basi solide e strati compatti, così non ci sarebbe stato nessun cedimento, nessun tentennamento, e, una volta lassù, avrei completato indisturbato l’opera di indurimento, avrei goduto inebriato del panorama. Forse, una volta lassù, una lacrimuccia avrebbe solcato la mia guancia destra al pensiero della povera mamma che non era lì a guardare, il suo bambino il suo bambino lassù, più in alto di tutti, al di sopra di tutto…
Mamma, mamma… - mormoro tra me e me – mamma, mammina mia cara che… - e quasi singhiozzo. Ma…ma cosa sto facendo! I sentimentalismi rendono cedevoli gli uomini e incrinano la struttura granitica della piramide, sono pericolosi quasi quanto i dissensi, e puerili e sciocchi quanto i predicatori del Duecento!
Quindi torno in me, riprendo possesso della mia figura altera e impermeabile, rammento a me stesso chi sono dove sono e cosa sto facendo.
Bene, i costoloni li ho guardati, la moquette l’ho accarezzata (e per poco quella dannata volpe non mi azzannava), le babbucce le ho infilate e… non mi resta che fare qualche passo, qualche piccolo passo in avanti, verso la finestra, e poi a destra, verso la porta.
Non aver paura! - mi incoraggio - non accadrà più, vedrai, mai più.
Incerto, metto un piede dopo l’altro, dapprima non odo nulla (e temo che l’ansia mi divori gli occhi), poi inizio a percepire un leggero fruscio (sì sì, un fruscio!). Allora alzo le braccia al cielo: è la prova del fuoco. Mi metto in ascolto e… sì, è ancora lì: è un fruscio, indiscutibilmente un fruscio, un fruscio da orlo.
Da orlo, da orlo! - vorrei urlare; ma non posso. Anche la gioia va saputa dosare, e utilizzare. Ormai sono un uomo-immagine, un esperto tessitore di intrecci umani e politici, un virtuoso della ragion di Stato, un Giano bifronte incarnato.
E compostamente allento la tensione accumulata nel mento.
Il sole è sorto, la luce di un nuovo giorno filtra dalle persiane, e tra poco la mia collaboratrice busserà ed entrerà con un vassoio tutto per me: latte caldo e confettura di fichi, pane tostato e biscotti appena sfornati.
Il sole è sorto, ed io sono qui, in piedi nella mia stanza, avvolto in una camicia da notte di seta e cachemire cucita su misura, una camicia superba, che cade morbidamente lungo il mio corpo, e lo avvolge, e tutto lo copre, tutto, caviglie comprese.

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Commenti al Post:
ragtime_fly
ragtime_fly il 02/02/09 alle 22:48 via WEB
Dio sta donna è veramente brava con le parole...ma cazzo non potevi darle pure il dono della sintesi??
 
 
le_corps
le_corps il 03/02/09 alle 17:54 via WEB
ma sì, parlaci tu. ;)
 
   
ragtime_fly
ragtime_fly il 03/02/09 alle 20:47 via WEB
Allora facciamo una colletta e compriamogli Amplifon.
 
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BU il 06/03/09 alle 22:23 via WEB
Lo stuolo di ammiratori chiede nuovi post. Su, dai. Continua.
 
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