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Filosofia del viaggio
Il viaggio fornisce l'occasione per dilatare i cinque sensi: sentire e comprendere in modo più profondo, guardare e vedere in modo più intenso, assaporare e toccare con maggiore attenzione. Teso e pronto a nuove esperienze, il corpo in subbuglio registra più dati rispetto al consueto.
Viaggiare intima il pieno funzionamento dei sensi.
Emozione, affezione, entusiasmo, stupore, domande, sorpresa, gioia e sbalordimento, ogni cosa si mescola nell'esercizio del bello e del sublime, dello spaesamento e della differenza.
Michel Onfray
James Michener
Man learns what he sees
and what he learns
influences what he sees
Visto da vicino, nessuno è normale.
Strana questa cosa dei viaggi, una volta che cominci, è difficile fermarsi. È come essere alcolizzati. |
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Erano anni che non prendevo parte al GLBT TFF, dai tempi in cui probabilmente si chiamava ancora “da Sodoma a Hollywood”. E la location era al Teatro Nuovo. Non ho idea di quanti anni siano passati, ma credo parecchi. Quest’anno ho deciso di tornare e così, nel week end, sono riuscita a vedere un paio di film. Sabato sera è stata la volta di “Keep the lights on” di Ira Sachs, che si basa sulla relazione del regista con Bill Clegg. La storia inizia alla fine degli anni 90, quando Erik incontra Paul, che al momento nasconde la sua omosessualità relegandola ad incontri sporadici organizzati tramite hot-line. Dopo qualche tempo il rapporto si consolida, Paul lascia la fidanzata e va a vivere con Erik. Ma i problemi non sono finiti, anzi. Paul, come dice lui stesso in uno dei primi incontri con Erik ha un “segreto inconfessabile”: si fa di crack. Fra rehab e riappacificazioni la storia si trascina per anni, fino al momento in cui, all’ennesimo ritorno di Paul dalla comunità, i due decidono di prendersi una “pausa di riflessione”. Nonostante il film abbia vinto il Teddy Award all’ultimo festival di Berlino a me la storia in sé non ha detto molto. La domenica ero molto indecisa se vedere o meno il film delle 16.00, “Bye Bye Blondie”, con protagoniste Emmanuelle Beart, la fintissima bocca di Emmanuelle Beart e un amore dei miei 20 anni: Beatrice Dalle. Il film è la storia di Gloria (Dalle) e Frances (Beart + bocca di Beart) che si ritrovano dopo un amore adolescenziale, nato nella clinica psichiatrica in cui tutte e due erano ricoverate e, nonostante siano passati anni e le loro vite abbiano intrapreso percorsi totalmente diversi (Gloria vive col sussidio di disoccupazione, Frances è un’affermata conduttrice televisiva), la passione torna prepotente a farsi sentire. La mia per Beatrice Dalle, in compenso, si è un po’ affievolita. Interessante colonna sonora, con alcuni pezzi, come questo, che mi hanno portato indietro nel tempo. Una doverosa pausa, un caffè, una birra, un cassone (che non ho mai capito se mangiare un cassone a Torino sia considerato etnico o meno) e poi di nuovo in coda per il film della sera. “The Perfect Family”, dove troviamo una Kathleen Turner invecchiata senza ricorrere al botox nei panni della devota Eileen Cleary, tutta casa e chiesa (cattolica) che, quando padre Murphy (Richard Chamberlain, l’uccello di rovo più famoso del mondo) le annuncia che è una delle candidate al premio “Donna cattolica dell’anno” (sti cazzi) è la donna più felice del mondo, ma dovrà prima attendere la visita casalinga dell’arcivescovo. E riuscire a conciliare la sua immagine irreprensibile con quella della sua famiglia, composta da un marito alcolista, un figlio che ha lasciato la moglie per mettersi con una donna più vecchia e una figlia incinta di cinque mesi che sta per sposare la sua fidanzata Angela. Applausi in sala durante il film per un paio di battute strepitose. Se verrà distribuito, non perdetelo. |
Credo che vedrò ancora "Parada" di Srdjan Dragojevic, ma non so ancora se domani sera o mercoledì pomeriggio...