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Post N° 90

Post n°90 pubblicato il 25 Novembre 2006 da scurerossa

Erano strani giorni

 

Giorni in cui le nuvole erano addormentate sul lago e i lampioni sembravano fantasmi in attesa di prede da impallinare.

Giorni in cui la mia mente andava a cercare il senso di un’esistenza sbagliata dal terzo incrocio.

Il giornalaio mi raccontava dei suoi amori, ma sinceramente non gli prestavo molto ascolto, parlava di tradimenti e di quel nuovo vicino, quello che dicevano fosse un pentito di mafia, una delle solite balle di paese.

Capitai così alla stazione nell’ora della nebbia, nessun treno si fermava più a quella stazione da tempo, salvo qualche problema di linea, tutti passavano senza degnarci di un saluto.

Era rimasto solo un ferroviere ma il suo era un lavoro saltuario.

Quel giorno però un treno si fermò davvero e una donna scese da un treno partito da chi sa dove e diretto a chi sa dove.

Non le vedevo i capelli nascosti da un cappuccio del suo grigio mantello e nemmeno gli occhi coperti da un paio di improbabili occhiali da sole.

La donna portava solo una borsa di pelle nera; senza esitazione si diresse verso di me.

La nebbia di colpo si alzò e vidi i gatti.

Non ho mai avuto un buon rapporto con i gatti, più che altro sono loro che hanno un pessimo rapporto con me, in genere drizzano il pelo quando mi vedono.

Quattro gatti attorno alla sconosciuta.

Un gatto nero, un gatto bianco con una macchia nera sul muso, un gatto grigio e per ultimo un gatto siamese dal pelo bianco sporco.

La donna aprì la borsetta e mi diede una pistola e mentre la guardavo sollevò il cappuccio e tolse gli occhiali.

Erano strani giorni quelli e quella donna era la donna più bella che avessi mai visto, anche se era un demonio.

Sapevo che prima o poi sarebbe successo, cercavo di non pensarci, avevo un conto da saldare.

Mi baciò, dopo aver consegnato la pistola, un bacio lungo e sconvolgente, sentivo il suo profumo e non riuscivo a tenere gli occhi aperti, volevo guardarla, ma il suo bacio mi impediva di farlo.

I gatti uno dopo l’altro si avviarono verso il ponte, mentre lei mi sussurrava in un orecchio.

La vidi andare via, senza dirmi null’altro, lasciandomi come uno stecco di gelato senza un bidone vicino.

La nebbia la ricoprì di nuovo, le nuvole avevano cessato la tregua.

La pistola pesava dentro al giacca e la misi dietro, nella cintura dei miei pantaloni.

Erano giorni strani e non pioveva da un pezzo, chi sa perché avevo voglia di pioggia sulla pelle.

Un uomo stava comperando il giornale, quel nuovo vicino, aveva pochi capelli e una pancia abbondante, però nel complesso aveva una faccia simpatica.

Tolsi la sicura.

Parlava troppo quel giornalaio, troppo.

 
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