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« 11 SETTEMBREMEMORIE RIMOSSE »

TIERRA ARGENTINA (la terra dell'argento)

Post n°227 pubblicato il 18 Settembre 2013 da longu
 

desciendes y cava

Potosì - Cerro Rico

Hubo. Hugo Bolano Gutierrez, ci raccomanda di restare leggeri

mangiando una delle tante famose zuppe boliviane,

così da evitare spiacevoli malesseri dovuti all'altitudine.

Siamo a quota 4.080 mt, già respiriamo a fatica, almeno io.

Mangiamo prima un antipasto con pane e una salsa di pomodoro e peperoncino,

seguito da una zuppa di verdure tipiche della zona

poi da un piatto di pesce con riso, una patata lessa, peperoni e cipolle.

Per finire ci portano una macedonia di papaya e banane e l'immancabile mate di coca.

Alla faccia dello stare leggeri.

Hubo non ha età. Dipende dalla luce.

Dimostra una trentina d’anni, se il sole alto di mezzogiorno

gli sbatte in faccia la luce limpida dell’altopiano,

nascondendo alla vista quelle rughe

che, con la luce trasversale del tramonto o dell’alba,

disegnano invece espressioni che raccontano il sudore e la fatica della miniera,

aumentando notevolmente la sua età.

Hubo è in pensione, fa il tassista e la guida turistica adesso.

Ci aspetta un trasferimento estenuante verso le miniere di Potosi,

su per una strada tutta sfondata e piena di buche e voragini.

Hubo, dalla guida più che sportiva,

dopo una quarantina di minuti inizia a masticare foglie di coca,

così, dice, non avrà nè fame nè sonno. Ce ne passa qualcuna anche a noi.

Durante il tragitto ci dice che per anni ha lavorato in miniera, come suo padre e suo nonno.

Ci racconta delle lotte dei minatori, delle milizie private delle company,

di molti suoi parenti morti o semplicemente spariti.

Hubo, a che età si va in pensione? Domando. Dopo quanti anni di lavoro?

Ride Hubo. No cuente los años, hombre.

Noi andiamo in pensione o da morti 7.50 $ al mese alla famiglia

o da invalidi, 10.50 $, quando perdiamo il 50% della capacita polmonare.

A me ne manca più del 60%.

La mina tiene joven, qui sotto non invecchia nessuno.

Quota 4300, siamo arrivati.

Attraversiamo uno spiazzo passando fra le mogli dei minatori

sedute davanti a baracche di fango e lamiera,

mentre bambini molto piccoli giocano nella fonderia in disuso tutta sassi e polvere.

Donnone con la bombetta vendono da bere, da mangiare,

le foglie di coca, le sigarette e perfino candelotti di dinamite.

Per i minatori che andremo ad incontrare all'interno delle miniera

prendiamo un sacchetto di foglie di coca e delle sigarette. Siamo pronti.

Stivali, pantaloni di panno, giacca impermeabile, mascherina filtrante e torcia sul casco.

Unici vestiti così, raggiungiamo uno dei 400 ingressi del Cerro Rico.

L’inferno ci aspetta.

All’entrata della galleria, quando ancora filtra un po’ di luce,

c’è una statuetta colorata. Sembra un strano santo. Che santo è? TIO!

Tio es el diablo, amigos. Qui tutto è suo.

La montagna, l'argento, la vita degli uomini: tutto gli appartiene.

Lasciategli una sigaretta accesa in bocca e qualche foglia di coca, per ottenere la sua benevolenza.

Scendendo l'ambiente si presenta umido e freddo, siamo a più di 4200 metri,

cunicoli fangosi e stretti si rincorrono nelle viscere della montagna

e l'aria si fa sempre più rarefatta e irrespirabile.

Incontriamo, sommersi dalla polvere, due “minatori”

che stanno inserendo candelotti di dinamite per inseguire sogni e fortuna.

Subito Hubo ci tranquillizza, niente paura!

sono molto più preparati ed esperti degli ingegneri che studiano all'università.

I due “minatori” non hanno più di dodici anni.

Le condizioni di lavoro saltano all'occhio.

precarietà dei mezzi di lavoro, mancanza di attrezzature di sicurezza,

continua esposizione ad agenti chimici come l’arsenico e i vapori di acetilene.

Poi la polvere di silice che provoca la silicosi.

Vomito. Andiamo via! Non voglio vedere più niente!

Te l’avevo detto di mangiare poco, mi fa Hubo.

 

Oggi un ragazzo come quelli è presidente della repubblica. Hubo probailamente è morto.


El  Tio

A Potosi il cielo sembra più vicino, ma l'argento si nasconde nelle profondità della terra.

Fu fondata dagli spagnoli nel 1545 a seguito della scoperta di minerali ricchi d'argento sul Cerro Rico.

È famosa non solo per essere la città più alta del mondo, ma proprio per l'argento.

La sua storia, le sue tragedie e i suoi orrori, sono tutti inestricabilmente legati a questo metallo.

Sull'onda del motto “desciendes y cava", migliaia di indigeni furono costretti a lavorare

per portare alla luce argento di prima qualità per conto degli spagnoli.

Il lavoro estrattivo era però assai pericoloso.

A causa di incidenti e silicosi polmonare, perirono talmente tanti indios

che gli spagnoli decisero di importare milioni di schiavi dall'Africa. 

Allo scopo di incrementare la produzione,

nel 1572 il viceré di Toledo approvò la Ley de la Mina,

in osservanza della quale tutti gli indios e gli schiavi africani

dovevano lavorare alternandosi in turni di 12 ore.

Restavano sotto terra per periodi di 4 mesi

ed erano costretti a mangiare, dormire e lavorare senza mai uscire dalle miniere.

Quando poi riemergevano, se riemergevano,

dovevano proteggersi gli occhi per diversi giorni per non restare cechi.

Ovviamente questi minatori non vivevano a lungo.

È stato calcolato che nei secoli del dominio coloniale dal 1545 al 1825,

nelle miniere di Potosì siano morti complessivamente

ben 9 milioni di persone tra africani e indios.

Nove milioni!

La riforma dell'industria estrattiva del 1952 pose le miniere sotto il controllo statale,

migliorando un po’ le condizioni di lavoro.

A seguito di scioperi e proteste e a seguito del malcontento generale,

l'attività estrattiva sul Cerro Rico è gestita negli ultimi decenni da cooperative di minatori,

le quali, in accordo con le agenzie turistiche della città,

lasciano entrare visitatori curiosi che, accompagnati dalle guide,

osservano il lavoro dei minatori per i cunicoli della montagna.

 

 
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